Cosa viene in mente riflettendo sul significato di decoro e dignità della professione? Si tratta di un tema difficile proprio in quanto nessuna codificazione rigida pare possibile. Decoro potrebbe far pensare ad etica. Ci potrebbe essere molto da approfondire in questa associazione. Cosa è il codice deontologico? E' ciò che si deve essere, ciò che si deve fare e sostanzialmente ha a che vedere con i valori; si tratta, però, della loro rappresentazione collettiva.
Infatti il codice deontologico, che è la presentazione dei valori di una comunità professionale, cioè di un gruppo ed il codice penale, che è la presentazione dei valori della società sono entrambi scritti. Anche l'etica ha a che fare con i valori, seppur in modo diverso, in quanto appartiene maggiormente alla dimensione del soggetto. Ad esempio ci possono essere comportamenti altamente etici, ma deontologicamente o penalmente scorretti.
Decoro e dignità sono due termini che appaiono spesso nel codice deontologico, e non solo in quello degli psicologi, bensì in quello di tutte le altre professioni; la loro definizione, come dicevamo, è però vaga e generale.
Nel codice deontologico degli psicologi italiani vi sono tre articoli che parlano in maniera specifica di decoro e dignità:
Art 2 "L'inosservanza dei precetti stabiliti dal presente codice deontologico, ed ogni azione od omissione comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al corretto esercizio della professione, sono punite secondo quanto previsto dall'articolo 26, comma 1°, della legge 18 febbraio 1989, n° 56, secondo le procedure stabilite dal Regolamento disciplinare".
Art 38 "Nell'esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto ad uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della dignità professionale".
Art 40 "Indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in materia di pubblicità, lo psicologo non assume pubblicamente comportamenti scorretti, finalizzai al procacciamento della clientela. In ogni caso, la pubblicità e l'informazione concernenti l'attività professionale devono essere ispirate a criteri di decoro professionale, di serietà scientifica e di tutela dell'immagine della professione".
Vale a questo punto la pena di fare un excursus anche nel codice deontologico dei cugini medici che condividono con noi l'esercizio della psicoterapia (art. 3 l. 56/89). Cosa dice il loro codice a proposito della dignità e del decoro della professione (medica)?
Art 1 "…Il comportamento del medico, anche al di fuori dell'esercizio della professione, deve essere consono al decoro ed alla dignità della stessa…"
Art 13 "La potestà di scelta di pratiche non convenzionali nel rispetto del decoro e della dignità della professione si esprime nell'esclusivo ambito della diretta e non delegabile responsabilità professionale, fermo restando comunque, che qualsiasi terapia non convenzionale non deve sottrarre il cittadino a specifici trattamenti di comprovata efficacia e richiedere l'acquisizione del consenso…"
Art 34 "Il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e dell'indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona…"
Art 67 "…Il medico non deve partecipare a imprese industriali, commerciali o di altra natura che ne condizionino la dignità e l'indipendenza professionale…"
Solo apparentemente i due codici trattano del decoro e della dignità professionale nella stessa accezione; infatti, se approfondiamo appena un poco, vediamo che, mentre nel codice degli psicologi i termini decoro e dignità sono associati alla tutela dell'immagine della professione e dunque ad un valore collettivo, in quello dei medici i suddetti termini sono più fortemente associati a indipendenza e responsabilità professionale. Ma sul punto ne disquisiremo in seguito.
Etica e Deontologia
Prendiamo ora in esame due specifici articoli del codice deontologico degli psicologi che, almeno nell'immediato, nulla hanno a che vedere con il tema del decoro e della dignità professionale.
Art 8 "Lo psicologo contrasta l'esercizio abusivo della professione come definita dagli articoli 1 e 3 della legge 18 febbraio 1989, n 56 e segnala al Consiglio dell'Ordine i casi di abusivismo o di usurpazione di titolo di cui viene a conoscenza. Parimenti, utilizza il proprio titolo professionale per attività ad esso pertinenti, e non avvalla con esso attività ingannevoli o abusive".
Art 21 " Lo psicologo, a salvaguardia dell'utenza e della professione, è tenuto a non insegnare l'uso di strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti estranei alla professione stessa, anche qualora insegni a tali soggetti discipline psicologiche. E' fatto salvo l'insegnamento agli studenti del corso di laurea in psicologia, ai tirocinanti, ed agli specializzandi in materie psicologiche".
Due articoli, a nostro parere, molto discutibili. Infatti, per una visione liberale delle professioni intellettuali, la parola abusivismo fa venire in mente corporativismo. Noi abbiamo invece una diversa visione dell'articolazione delle professioni nella società, all'interno della quale tutte le professioni sono possibili, e tocca alle autorità esterne alle professioni stesse controllarne la veridicità e la non ingannevolezza. In quanto all'articolo 21 (articolo assurdo, secondo il quale chi non essendo psicologo volesse apprendere qualcosa di psicologia dovrebbe farsi insegnare da tutti fuorché dagli psicologi stessi!) esso pare assai discutibile e rasenta l'incostituzionalità, tant'è vero che il Mopi ha ottenuto che l'Antitrust si pronunciasse sulla decisione che la limitazione dell'insegnamento della psicologia ai non psicologi valesse solo per i test, ovvero per quegli strumenti che, se diffusi, potrebbero perdere la loro validità.
Non è questa la sede di ulteriori approfondimenti degli articoli 8 e 21, ma vale la pena rilevare che il nostro sistema di valori, legato all'organizzazione delle professioni, è difforme da quello che è previsto dal codice deontologico. Ciò non significa che, una volta che la categoria ha approvato il codice deontologico, noi non lo si debba rispettare.
Dunque, il termine deontologia, come espressione di un valore medio della collettività, è la rappresentazione dell'etica di una categoria.
D'altra parte spesso possono esserci dei valori tanto importanti quanto decoro e dignità, a volte più significativi, di tipo individuale, che si contrappongono o si differenziano sensibilmente dal codice deontologico.
Dignità e decoro nella pluralità
Dignità e decoro della professione sono norme in bianco, definibili solamente tenendo conto del contesto. Questo può essere un problema, perché significa che il decoro e la dignità della professione variano al variare della situazione, dell'evoluzione del pensiero scientifico e dell'immagine della professione nella società; tutto ciò porta a infiniti cambiamenti nel trascorrere del tempo.
Potremmo aggiungere inoltre che la nostra disciplina non ha raggiunto un paradigma unico, ma ci sono modelli diversi, per cui la questione diventa ancora più complessa. Ad esempio per uno psicanalista può essere indecoroso toccare un paziente, mentre per un bioenergetico lo è il contrario. Parlare di sogni con un analista junghiano può includere i significati più particolari (ricordiamoci ad esempio che Jung ha fatto la prefazione dei Ching). Probabilmente per un comportamentista è indecoroso anche il solo pensare che i Ching possano contribuire all'evoluzione di una psicoterapia.
Inoltre il nostro codice deontologico sancisce duramente le relazioni che si possono instaurare tra paziente ed analista.
Art 28 "Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possono interferire con l'attività professionale o comunque arrecare nocumento all'immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti dei colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale".
Apparentemente si tratta di un articolo che ha una profonda coerenza e rappresenta il sentire medio di uno psicologo psicoterapeuta.
E' cultura comune della nostra categoria tenere il giusto setting; ciò comporta che non ci si invischi affettivamente o in altro modo con il paziente, a tal punto da perdere la distanza necessaria per essere terapeutici. Ed è interessante notare che nulla di analogo vi è nel codice deontologico dei medici che, all'articolo 6 si limita a citare: "In nessun caso il medico deve abusare del suo status professionale. Il medico che riveste cariche pubbliche non può avvalersene a scopo di vantaggio personale".
Ma il decoro e la dignità della professione dello psicologo psicoterapeuta sono altra cosa rispetto a quelli del medico psicoterapeuta? Paradossalmente un medico psicoterapeuta che tratti un'amenorrea senza prescrizione di farmaci potrebbe essere sottoposto a procedimento disciplinare ai sensi dell'art. 13 del codice deontologico dei medici, mentre, per il suo collega psicologo psicoterapeuta lo stesso trattamento sarebbe perfettamente lecito. Viceversa uno psicologo psicoterapeuta che abbia una storia amorosa con una sua paziente va certamente incontro a maggiori complicazioni deontologiche di quanto non possa accadere ad un medico psicoterapeuta.
Inoltre, in psicoterapia esistono modelli come la bioenergetica o la psicoterapia della gestalt; queste applicazioni sono molto cambiate negli anni, in particolar modo da quando si è costituito l'ordine degli psicologi, dopo che è stato approvato il codice deontologico. La deontologia in qualche misura ha avuto un riflesso sulla modifica del modello che ha teso ad accostarsi a questo comune sentire.
Pluralità dei modelli da una parte, due codici deontologici dall'altra, altri codici di associazione (pensiamo alla psicoanalisi) dall'altra ancora.
Per meglio illustrare il concetto può essere interessante esporre un caso. Recentemente sulla rubrica di Vertici "chiedi all'esperto", network di psicologia, ha chiesto un consiglio una collega medico psicoterapeuta, che nel suo reparto aveva costituito un servizio di psicoterapia, molto gradito all'amministrazione, anche se era stata assunta come medico. Però in un periodo in cui affluivano molti pazienti, con il concomitante arrivo di nuovi medici in reparto, che non gradivano dover fare anche le guardie della collega psicoterapeuta, l'amministrazione ha preso posizione, assegnandole il servizio di psicoterapia, costringendola di fatto a fare le guardie notturne. Qui viene fuori un problema che il codice degli psicologi avrebbe risolto, mentre quello deontologico del medico non risolve, in quanto quest'ultimo è tenuto per prima cosa all'intervento medico. Avendo la collega un'impostazione psicoanalitica, si chiedeva come potesse mai di giorno fare l'ascolto e la notte visitare i pazienti; però è stata costretta a cedere. Dunque il codice deontologico dello psicoterapeuta non esiste e gli psicoterapeuti medici e psicoterapeuti psicologi devono rendere conto ai rispettivi ordini di appartenenza.
L'immagine della professione
E' dunque chiaro a questo punto che per definire il decoro e la dignità della professione occorre valutare un contesto che è assolutamente complesso. Esistono dei conflitti interni alla nostra professione anche sull'immagine: qual è l'immagine giusta dello psicologo e della psicologia? E' quella che passa attraverso questo o quel professore? O quella che può emergere ascoltando interviste o leggendo articoli di questo o quel personaggio? O ancora quella istituzionale veicolata dai Presidenti degli Ordini Regionali o dai colleghi Presidi di facoltà? Chi è lo psicologo?
Chi dovrebbe dire qual è l'immagine giusta, quella veramente decorosa? Lo dicono forse i Consigli degli Ordini nei loro provvedimenti disciplinari, in base agli orientamenti che il conflitto assume, in base ai rapporti di forza tra le varie anime della psicologia?
E' accaduto così che uno stesso evento organizzato da un medico e da uno psicologo, nel quale veniva usata una frase dubbia, del tipo "buon weekend erotico amoroso", a conclusione di una locandina che presentava l'incontro, potesse ottenere contemporaneamente il patrocinio dell'ordine dei medici ed il deferimento alla commissione disciplinare dello psicologo coinvolto.
Come ci vede il mondo
La professione deve essere consapevole del proprio ruolo nella società e sapersi assumere le proprie responsabilità (dignità), presentandosi alla società in un modo accettabile (decoro). Spesso veniamo immediatamente rimandati a cosa sia accettabile, cosa da scartare o cosa sia essere dignitosi nello specifico. La professione può offrire alla società certi strumenti, che, penetrandola trasversalmente, la aiutano a crescere.
Dunque, lo psicologo che ha paura delle fantasie sessuali, delle ambiguità, del confrontarsi con pensieri dai confini indefiniti, della spiritualità, può essere un cattivo psicologo, perché nella nostra storia, nel nostro lavoro quotidiano,nello stesso modo in cui il mondo ci percepisce, ci troviamo ad essere anche esploratori di confini. Se facciamo un seminario sulla sessualità o sull'anima, usando termini come anima, sesso, potere e svolgendo su di essi delle attività formative, di ricerca, di provocazione, di fantasie, siamo dentro il nostro ambito professionale. Ma probabilmente alcuni colleghi, ad esempio quelli che si dedicano alla ricerca sperimentale, hanno fastidio ad esser rappresentati da qualcuno che si occupa di anima. Potrebbero trovare indecoroso che lo psicologo si cimenti con tante… vaghezze, o comunque cose non scientificamente dimostrabili. Non è un caso infatti, che, se cerchiamo la parola scientificità nel codice deontologico, ci rendiamo conto che tale parola ricorre innumerevoli volte, troppe, quasi a significare il bisogno di rivendicare una scientificità della nostra professione sempre suscettibile di sfuggirci.
C'è una gran paura di essere poco scientifici (e dunque poco decorosi?), se si osa esplorare terreni indefiniti ed indefinibili, paura di perdere scientificità e credibilità agli occhi dei cugini medici, della gente, della società civile.
Prendiamo per esempio il decoro della professione di dentista. E' una cosa piuttosto semplice da immaginare. Possiamo pensare che il dentista "decoroso" sia medico dentista, non odontotecnico, sappia fare il suo lavoro (ovviamente), abbia uno studio pulito, un'assistente, sia ragionevole nelle tariffe che applica, sia ben educato, etc. Questo è sostanzialmente quello che noi profani, che non siamo dentisti possiamo percepire circa il decoro e la dignità della professione di dentista. Poi se il mio dentista si occupa di esoterismo oppure di astrologia non mi preoccupa molto, piuttosto mi preoccupo dei miei denti.
Proviamo a spostare questa riflessione sullo psicologo e ci rendiamo conto che tutto diventa difficilissimo. Perché? Semplice, noi non lavoriamo con trapani e siringhe, i nostri strumenti di lavoro sono i nostri pensieri, le nostre emozioni, la nostra capacità di lettura e decodifica delle emozioni e pensieri altrui.
Esiste una parte della società che considera decoroso e dignitoso, in senso lato, ciò che è scientifico in senso positivista, che fa l'equazione scienza uguale decoro e dignità e che di conseguenza afferma che arte e altro sono invece cose ambigue, non rigorose e dunque non particolarmente dignitose.
Può allora venire in mente che noi psicologi si usi il codice per dire che non siamo così diversificati e poliedrici, vaghi e multiformi, come ci potrebbero giudicare gli altri, abbiamo delle regole comuni, siamo scientifici, dunque credibili.
Ma proviamo ad approfondire. Viviamo in una realtà (italiana) in cui sei milioni di persone si curano con la medicina omeopatica o naturopatica; siamo in una società che mostra di apprezzare ogni sperimentazione possibile riguardo movimenti che vogliono chiamarsi scientifici pur posizionandosi fuori dall'ottica positivista. Allora qual è il problema? Forse bisogna spostare il tiro all'interno della comunità professionale. Non è tanto la società esterna che dice che ciò che è scientifico (in senso strettamente positivista) è di per sé decoroso, ma la comunità professionale che adotta questo tipo di ottica.
Potremmo allora pensare che c'è una società disponibile ad accoglierci per come siamo, con tutte le nostre differenze interne, professionali, con tutti gli ambiti di cui ci occupiamo, e quindi una società recettiva. Di contro abbiamo una comunità professionale con il complesso di non essere mai abbastanza scientifica, legata all'idea di un decoro e dignità rigidamente sinonimi di scientificità intesa in senso positivistico.
Del Decoro e della Dignità
Dovremo necessariamente confrontare l'atto indecoroso con una definizione di decoro. Occorre costruire un indice? Occorre capire come, in un panorama così composito, questo indice possa essere costruito, oppure assumere delle decisioni coraggiose e alternative. Ne proponiamo una. Il decoro e la dignità della professione attengono semplicemente al codice penale e civile. E' indecoroso e non dignitoso ciò che è perseguibile dalle leggi dello stato. Andare verso questa scelta implica dire che non esiste un particolare decoro o una particolare dignità della professione.
Ma una simile linea eccessivamente radicale può non essere soddisfacente. Potremmo allora ricorrere al concetto di rispetto. Potremo ammettere che è non decoroso e non dignitoso un comportamento che sia irrispettoso nei confronti dei nostri utenti o dei nostri colleghi, cioè che sia fuori contesto, non giustificato da storia e tradizione. Centrando il pensiero sulla pluralità diventa dignitoso e decoroso ciò che non ci costringe a un'amputazione, dato che la pluralità ci appartiene come ci appartengono modelli e paradigmi diversi.
La dignità della professione, degli individui e dei gruppi, è collegata all'avere rispetto e apprezzamento per quello che si è; è legata all'essere capaci di tenere fede ai propri valori. La dignità è l'idea di non "strisciare", non essere opportunisti, di avere una coerenza, di credere nei propri modelli e contemporaneamente rispettare quelli altrui. Dunque per lo psicologo che si occupa di benessere, compiendolo con degli strumenti di intervento, sui gruppi e sui singoli, la dignità potrebbe essere intesa come un non abbracciare ipocritamente le ansie e le paure di questo o di quel particolare gruppo sociale, essere in grado di parlare apertamente, secondo un linguaggio vicino alla gente e non offensivo, che usa termini non scientifici per spiegare, ma che è ancorato a modelli e studi noti alla ricerca psicologica.
La dignità è anche la capacità di assumersi delle responsabilità rispetto a ciò che si è e si fa, essendo capaci quando occorre di opporsi o comunque differenziarsi rispetto ai luoghi comuni e ai contesti che se ne avvalgono.
Il decoro della professione non può confondersi con l'appiattirsi su ciò che la società complessiva intende come decoro. Il decoro è capacità critica, continuo confronto con i singoli contesti, è rispetto e buona educazione ma anche presa di distanza dagli stereotipi sociali o di piccolo gruppo.
Chiudiamo questa riflessione citando l'articolo del nostro codice che pur non usando i termini decoro e dignità, più approfonditamente illustra ciò che tali concetti vogliono rappresentare. A nostro avviso l'attenersi a questo tipo di impostazione configura un'attività dignitosa e decorosa e proprio l'articolo 3, certo con tutta la sua inevitabile sfuggevolezza, può essere in qualche modo lo "strumento di misura" utile quando si debbano valutare conflitti inerenti questo tema.
Articolo 3 Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell'individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell'esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici , al fine di evitare l'uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale. Lo psicologo è responsabile dei propri atti.
titolo: Del decoro e della dignità della professione
autore: R. Ciofi, C. Nepi, L. Vasell
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