L’antropologo fiorentino Lidio Cipriani (1892-1962) fu tra quegli studiosi italiani che più si impegnarono per argomentare sulla diversità, sulla “innata inferiorità mentale” degli africani. Egli al riguardo scriveva nel 1932:
“Generalmente il Negro impressiona per il suo contegno da fanciullone incorreggibile, per la sua disposizione ad una allegria infantile e ai passatempi ingenui a cui nessun Bianco normale si darebbe. Sfugge quanto più può dall’applicare, alla maniera nostra, le sue facoltà mentali ed il suo agire è assai poco per ragionamento e molto per imitazione, specialmente quando trasportato a vivere nel seno della civiltà.
Dominati dagli impulsi naturali e dalla ricerca dell’ozio e dei piaceri individuali, i «negri»sono privi di qualsiasi capacità logico-critica e non concepiscono l’idea del lavoro: piuttosto che costruire una strada o scavare un pozzo, il «negro» preferisce abbandonarsi ogni giorno, senza preoccupazioni di sorta, ai suoi piaceri prediletti, quali il cicaleggiare per ore e ore su argomenti insulsi ripetuti all’infinito, il saltare, il far rumore e talora il litigare o il sollazzarsi con le sue donne. Tutto il resto, per qualsiasi di loro, vale assai meno”[1].
Dall’ assunto della inferiorità biologica dei «neri» egli faceva derivare il diritto del «bianco» allo sfruttamento coloniale dell’Africa.
Luigi Benevelli
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