PSICHIATRIA E RAZZISMI
Storie e documenti
di Luigi Benevelli

Gli ottentotti (e le ottentotte)

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9 settembre, 2013 - 09:06
di Luigi Benevelli
Nel corso dell’Ottocento, gli ottentotti  occuparono una posizione infima  nella scala delle razze umane stilata dagli antropologi europei. Una loro donna, Saartjie Baartman (1789-1815) fu portata in Europa ed esibita come fenomeno da baraccone:  fu soggetta ad innumerevoli illustrazioni al Jardin du Roi e visitata da eminenti naturalisti francesi, fra cui Georges  e Frederici Cuvier che disse di lei: “era abbastanza servizievole da spogliarsi e permettere di ritrarla nuda".  Il suo scheletro, i suoi genitali e il suo cervello furono in mostra al Musee de l'Homme di Parigi fino al 1974, quando furono rimossi e conservati in un luogo fuori dalla vista. Stephen Jay Gould  ne ripropose la storia con il libro The Hottentot Venus. Nelson Mandela, dopo  la vittoria di alle elezioni del Sudafrica nel 1994, chiese alla Francia e ottenne la restituzione dei suoi resti. Saartjie Baartman è divenuta un'icona del nuovo Sudafrica. La  sua vicenda è stata riproposta nel film «Venere nera» del regista tunisino Kechiche, presentato al Festival di Venezia del 2010.

Anche Cesare Lombroso parlò degli Ottentotti nel 1865 nei termini di seguito riportati:

 “L’ottentotto forma una varietà ancor più singolare della razza umana: l’ottentotto è, si può dire, l’ornitorinco dell’umanità perché riunisce insieme  le forme più disparate  delle razze negre e gialle ad alcune sue proprie, le quali egli ha comuni con pochi animali che brulicano vicino a lui.
Al muso sporgente del negro mescola il muso allargato del cinese; i suoi denti incisivi sono foggiati a modo di incudine; l’ulna, che è un osso dell’antibraccio, conserva, come in alcuni animali, quel foro, detto foro olecranico, che presenta il nostro feto; le ossa delle dita del piede sono disposte a gradi come le cannucce di una zampogna; le apofisi spinose delle vertebre cervicali mancano della solita biforcazione; i capelli sono inseriti tutt’intorno alla testa, ed escono a fascetti, a gruppi, fuori dai tegumenti come i pennelli di una scopetta  da panni, cosicché il barbiere che radesse per bene un boscimano si troverebbe  dinanzi una testa marezzata qua e là come una tavola di mogano, sparsa di grani di pepe. L’organo femmineo è conformato differentemente dal nostro per lo sviluppo singolare delle grandi labbra in giù a guisa di cortina o di doppio grembiale. Dalla regione posteriore, pelvica,  delle loro donne  sporge un piccolo baule di grasso, sul quale comodamente s’adagia il bambino che poppa, stirando dietro le spalle le lunghissime mammelle della madre. Se dopo tutto ciò si volesse ancora fare una specie sola dell’ottentotto e del bianco converrebbe allora comprendere in una sola specie pur anche il lupo ed il cane, l’asino e il cavallo, il capro e la pecora”.
 
Da L’uomo bianco e l’uomo di colore, a cura di Lucia Rodler, Bologna, Archetipo libri, 2012.
 

 
 
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