Rivolte del pensiero di Mario Galzigna - Aprire il tempo alla speranza, dopo Foucault

Share this
12 gennaio, 2020 - 18:54
Autore: Mario Galzigna
Editore: Bollati Boringhieri
Anno: 2013
Pagine: 174
Costo: €18.00
Rivolta e speranza come esperienze di un pensiero che si fa cura: il nuovo libro di Mario Galzigna, Rivolte del pensiero. Dopo Foucault, per riaprire il tempo, edito da Bollati Boringhieri nel luglio 2013, intreccia epistemologia ed esperienza pratica, argomentazione filosofica e ricerca antropologica sul campo, critica letteraria e indagine estetica. A partire da un’attenzione diagnostica a quella che secondo Galzigna è la principale patologia contemporanea, la di-speranza, il testo avvia un’esplorazione “molecolare” (in senso deleuziano) di possibili aperture al futuro, un futuro allo stesso tempo operoso (il libro ha in copertina un’immagine programmatica, la Costruzione di un edificio di Piero di Cosimo) e realmente utopico, in senso blochiano, che sia cioè strutturalmente aperto alla realizzazione di ciò che ancora non è, di quel bene plurale che Bloch chiamò multiversum. L’eccezionalità del libro di Galzigna sta però nel fatto che non si tratta soltanto di una proposta teorica, ma anche del resoconto di esperienze personalmente vissute: gli strumenti inediti della ragione qui presentati, sopra tutti le «sintesi disgiuntive», vengono da lui coerentemente messi in opera in territori eterogenei all’ambito filosofico nel quale nascono.



La prima formulazione teorica delle sintesi disgiuntive risale infatti a un articolo del 1970 di Deleuze e Guattari, i quali a loro volta forzarono il concetto kantiano di giudizio disgiuntivo – per Kant si tratta di un giudizio relativo a parti che si determinano l’una con l’altra quali elementi complementari di un tutto – nella direzione di un tutto disomogeneo, composto da parti non assimilabili e non sintetizzabili in alcun insieme unitario. Le sintesi disgiuntive sono, per Galzigna, lo strumento concettuale privilegiato, oggi, per custodire le differenze, mantenendone l’ambiguità, considerandole quindi nella loro potenzialità distruttiva e allo stesso tempo creativa.
Ma quali sono i territori in cui le sintesi disgiuntive vengono messe in opera, oltre che teorizzate? Quali le differenze che disgiungono il nostro reale rendendolo leggibile solo come agencements, concatenazioni di singolarità disomogenee? Innanzitutto, la psichiatria. O meglio, ancor prima, la follia, la disgiunzione par exellence, che scardina le categorie della ragione e, come diceva Deleuze, le deterritorializza. Come fare allora psichiatria territoriale, psichiatria di comunità, come curare la follia senza incardinarla in quella che Galzigna chiama «la gabbia del trascendentale»? Liberandosi di Heidegger, ad esempio, eletto a prototipo del filosofo accademico e disincarnato, pur dopo averne ereditato la disgiunzione tra ontico e ontologico, tra evento ed essere:  bisogna «abbandonare l’essere», scrive Galzigna, «per lasciar irrompere l’evento» e «le ragioni inesplorate del Noi». Cosa questo significhi è illustrato mediante il racconto della sua esperienza di partecipazione, in qualità di epistemologo, a un’attività riabilitativa di gruppo in un Centro di Salute Mentale del Nord Italia. Chi non riesce ad abbandonare l’essere è lo psichiatra in posizione difensiva, chiuso nella brutalizzazione delle sue categorie nosografiche (allo stesso modo del filosofo à la Heidegger, chiuso nella propria teorizzazione disincarnata), come lo psichiatra che, di fronte al racconto lirico e partecipato di un paziente su una propria esperienza vissuta, ascoltato e commentato dal gruppo, sussurra a Galzigna «è uno psicotico duro», senza alcuna partecipazione umana a ciò che invece, nel gruppo, accade tra i pazienti: l’evento di una condivisione, di un noi pur momentaneo e labile che emerge dalla separazione. Non si tratta naturalmente di sminuire il lavoro specialistico del personale medico, ma di sollecitare i soggetti che curano a liberarsi dalle gabbie del pregiudizio e della classificazione (foss’anche una classificazione nosograficamente corretta) per incontrare l’Altro nella sua singolarità e aprirgli così, grazie all’avvenuto riconoscimento di alcune sue reali potenzialità, nuove possibilità di futuro, come accade al “paziente artista” a cui l’autore acquista un’opera.
Dalla psichiatria, con una torsione tematica ardita ma coerente, si passa agli spaesamenti estetici, con un viaggio perturbante nell’opera di Magritte, nel mistero delle sue immagini e in particolare dell’opera L’impero delle luci, in cui la logica disgiuntiva è portata al suo estremo nell’opposizione tra luce e buio, che si escludono ma si evocano anche a vicenda. Se qui l’attrazione fatale per la follia ricorre nel nesso tra il perturbante freudiano e il mistero delle immagini di Magritte, nel capitolo seguente è l’itinerario nell’opera di Ronald Laing a introdurre il tema della disgiunzione, da Galzigna distinta in disgiunzione intrapersonale e interpersonale, la prima interna al soggetto, la seconda relativa al rapporto con l’Altro. Così poi il viaggio in Brasile, virtuale nell’analisi dell’opera di Darcy Ribeiro e reale nel resoconto del proprio viaggio che ha incluso l’incontro con una tribù guaranì, è declinato all’insegna dell’interdipendenza tra queste due dimensioni: «senza il riconoscimento dell’alterità che mi abita, che sta dentro di me, non potrò mai avere un accesso pieno e produttivo – produttivo anche sotto il profilo terapeutico – all’alterità che sta fuori di me».
Alterità in sé e fuori di sé che si intrecciano e si dipanano ancora in altri due territori elettivi: quello erotico, con il capitolo dedicato a libertini e perversi, ovvero alla «passione del molteplice», e infine quello letterario, seppur si tratti di una letteratura ribelle e fuori da ogni schema nel caso di Antonin Artaud, «scrittore insorto». Quello nell’eros è un viaggio colto e seducente tra soggettività enigmatiche, inquietanti, paradossali, in cui il libertinismo à la Diderot è contrapposto alla carnalità di De Sade: «se l’erotismo, nella sua versione sadiana, è violenza, violazione, caduta nell’inferno dell’Alterità – è percezione dell’Alterità attraverso la carne: dimensione anonima, impersonale, indifferenziata – l’amore è invece quell’esperienza personalizzata che trasforma l’Alterità in Altro». Anche qui il tema del riconoscimento o disconoscimento dell’altro nella passione s’intreccia con la storia della psichiatria: da Esquirol a Freud, da Magnan a de Clérambault, Galzigna indaga con lo sguardo genealogico che eredita da Foucault il costituirsi della perversione come categoria psichiatrica.
Il culmine teorico ed emotivo del testo è però, a mio parere, l’immersione nel teatro della crudeltà di Artaud, grazie all'abile integrazione formale dell’autore con il testo e lo stile – o l’assenza di stile, l’«assenza d’opera» (Foucault) - di Artaud. Qui i vari piani del libro tornano tutti per riconfigurarsi in una nuova, originale concatenazione, in cui lo sguardo genealogico, l’indagine estetica, quella filosofica e quella psicoanalitica si intrecciano svincolandosi a vicenda dai percorsi preordinati della logica interpretativa (non a caso Gadamer ha teorizzato la precomprensione come presupposto dell’interpretazione), penetrando invece la logica di ciò che Derrida aveva definito irrappresentabile, senza tuttavia violarne l’immediatezza espressiva. La parola di Artaud vuol negare ogni dualismo tra vita e pensiero, è dunque piuttosto gesto e grido, metafisica della carne che mira a «spezzare il linguaggio per toccare la vita», come scrisse Artaud stesso, e così approda alla mancanza, al perduto che la corrode.
Si potrebbe discutere del noto dissidio tra Foucalt e Derrida rilanciato da Galzigna sul terreno del teatro di Artaud, così come opporre una visione incarnata del trascendentale a quella disincarnata criticata nel corso del libro, ma non è il gusto dello scontro teorico che guida l’autore nel suo testo, bensì il piacere del viaggio nello spaesamento e nella disgiunzione per riguadagnare, proprio laddove il buio si fa creazione, l’apertura alla speranza e quindi al tempo della vita e dell’esperienza. Ed è quest’apertura che del libro merita di essere raccontata, salvata e di nuovo goduta dai futuri lettori.

> Lascia un commento



Totale visualizzazioni: 2086