Il pensiero occidentale è contrassegnato dalla prepotenza.
Il grande sviluppo della sistematica ebbe pienamente luogo solo nel Settecento, con il botanico Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778), che cominciò a organizzare le specie raggruppandole in generi, e quindi raggruppando i generi in una serie di categorie superiori basandosi sulle somiglianze morfologiche e anatomiche. Da quando nel 1735 venne introdotta la sua nomenclatura binomiale- basata sul modello aristotelico di «genere prossimo» e di «differenza specifica»- si è iniziato a declinare in latino il genere e la specie degli organismi.
Linneo ha teorizzato un sistema di classificazione in cui il genere HOMO, posto in cima al regno animale, viene suddiviso in due specie: l’uomo «diurno», o homo sapiens, e l’uomo «notturno» o homo troglodytes, altrimenti detto uomo delle foreste o orangutan. È curioso come la nostra cultura abbia sempre teso a vedere la luce come il divino, l’alto, il sublime, e il buio come il demoniaco, il basso, il territorio dei bruti. Secondo il sistema delle similitudini e analogie, il Sole- simbolo platonico del Bene, che sempre nella sua corsa, tende a occidente- segna l’uomo occidentale. Il secolo dei Lumi, nelle retorica settecentesca, porta la ragione nelle menti ottenebrate dalla superstizione e dall’ignoranza; allo stesso modo, nella retorica coloniale del secolo successivo, dall’uomo occidentale procede la civilizzazione che porta la luce nel “cuore di tenebra” dei continenti selvaggi. Il che è perfettamente in sintonia con la classificazione linneiana di Homo sapiens in sei decrescenti varietà diurne, quattro varietà di «uomini normali», catalogabili secondo la provenienza geografica, il colore della pelle e le corrispettive «qualità morali», e due varietà di «uomini anormali». Nella tassonomia di Linneo abbiamo
o Homo sapiens europaeus descritto come bianco ordinato, ingegnoso, inventivo, retto da leggi,
o Homo sapiens americanus,, rosso, amante della libertà, soddisfatto del proprio destino, irascibile,
o Homo sapiens asiaticus, giallastro, orgoglioso, avaro, melanconico,
o Homo sapiens afer, nero, indolente, infido, scarsamente intelligente e incapace di autogoverno,
o Homo sapiens ferus o uomo selvaggio, muto, quadrupede, villoso che comprende anche gli enfants sauvages, bambini abbandonati a se stessi e incapaci di parlare e apprendere, molto numerosi nella letteratura settecentesca,
o Homo sapiens monstruosus o uomo teratologico, portatore di “forme devianti”, ovvero di malformazioni congenite e deficit cognitivi.
Nella decima edizione del Systema naturae (1758), compare la classe dei primati, che sostituisce il precedente Anthropomorphae; qui avviene l’abbinamento del genere Homo con la specie sapiens. Dopo la scoperta dei fossili nella valle tedesca di Neanderthal, l’Homo sapiens divenne sapiens sapiens.
Da Luigi Luca Cavalli Sforza, Daniela Padoan, Razzismo e noismo- le declinazioni del noi e l’esclusione dell’altro, Einaudi, Torino, 2013, pp. 72-75, passim.
Il grande sviluppo della sistematica ebbe pienamente luogo solo nel Settecento, con il botanico Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778), che cominciò a organizzare le specie raggruppandole in generi, e quindi raggruppando i generi in una serie di categorie superiori basandosi sulle somiglianze morfologiche e anatomiche. Da quando nel 1735 venne introdotta la sua nomenclatura binomiale- basata sul modello aristotelico di «genere prossimo» e di «differenza specifica»- si è iniziato a declinare in latino il genere e la specie degli organismi.
Linneo ha teorizzato un sistema di classificazione in cui il genere HOMO, posto in cima al regno animale, viene suddiviso in due specie: l’uomo «diurno», o homo sapiens, e l’uomo «notturno» o homo troglodytes, altrimenti detto uomo delle foreste o orangutan. È curioso come la nostra cultura abbia sempre teso a vedere la luce come il divino, l’alto, il sublime, e il buio come il demoniaco, il basso, il territorio dei bruti. Secondo il sistema delle similitudini e analogie, il Sole- simbolo platonico del Bene, che sempre nella sua corsa, tende a occidente- segna l’uomo occidentale. Il secolo dei Lumi, nelle retorica settecentesca, porta la ragione nelle menti ottenebrate dalla superstizione e dall’ignoranza; allo stesso modo, nella retorica coloniale del secolo successivo, dall’uomo occidentale procede la civilizzazione che porta la luce nel “cuore di tenebra” dei continenti selvaggi. Il che è perfettamente in sintonia con la classificazione linneiana di Homo sapiens in sei decrescenti varietà diurne, quattro varietà di «uomini normali», catalogabili secondo la provenienza geografica, il colore della pelle e le corrispettive «qualità morali», e due varietà di «uomini anormali». Nella tassonomia di Linneo abbiamo
o Homo sapiens europaeus descritto come bianco ordinato, ingegnoso, inventivo, retto da leggi,
o Homo sapiens americanus,, rosso, amante della libertà, soddisfatto del proprio destino, irascibile,
o Homo sapiens asiaticus, giallastro, orgoglioso, avaro, melanconico,
o Homo sapiens afer, nero, indolente, infido, scarsamente intelligente e incapace di autogoverno,
o Homo sapiens ferus o uomo selvaggio, muto, quadrupede, villoso che comprende anche gli enfants sauvages, bambini abbandonati a se stessi e incapaci di parlare e apprendere, molto numerosi nella letteratura settecentesca,
o Homo sapiens monstruosus o uomo teratologico, portatore di “forme devianti”, ovvero di malformazioni congenite e deficit cognitivi.
Nella decima edizione del Systema naturae (1758), compare la classe dei primati, che sostituisce il precedente Anthropomorphae; qui avviene l’abbinamento del genere Homo con la specie sapiens. Dopo la scoperta dei fossili nella valle tedesca di Neanderthal, l’Homo sapiens divenne sapiens sapiens.
Da Luigi Luca Cavalli Sforza, Daniela Padoan, Razzismo e noismo- le declinazioni del noi e l’esclusione dell’altro, Einaudi, Torino, 2013, pp. 72-75, passim.
0 commenti