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I serial killers: la nuova ossessione televisiva. A proposito di pericolosità sociale

21 Gen 14

A cura di A_SIBILLA@libero.it

Negli anni 80 compare l’assassino seriale per eccellenza, il dott. Hannibal Lecter psichiatra con l’hobby dell’antropofagia. Secondo l’autore, Thomas Harris è “uno psicopatico puro, personaggio unico e raro.” L’iconografia degli psichiatri pazzi è di vecchia data e ricca di personaggi (vedere Psichiatria e cinema di Gabbard) ma Hannibal the Cannibal è quello che offre più spunti di riflessione, perché per lungo tempo sembra rappresentare il male allo stato puro, accompagnato da un’intelligenza superiore e dalla totale assenza di qualsiasi conflittualità intrapsichica. Non ostante queste caratteristiche ottiene un successo di pubblico oltre ogni aspettativa, riproponendo quanto ho già detto in precedenza sul fascino di queste storie. Con Il silenzio degli innocenti inizia una lunga serie di film e solo ultimamente nella ricostruzione del passato di Lecter vengono messi in luce i traumi infantili che sarebbero alla base del suo comportamento criminale. Aggiungo che nel corso degli eventi non viene sconfitto, anzi ha un’influenza decisiva sull’altra protagonista, Clarice Starling, agente del FBI tormentata e piena di sofferenza. Si scontra con altri serial killer, che vengono sconfitti non perché sono più criminali, ma unicamente perché sono meno abili e meno intelligenti. Nella recente narrazione dell’infanzia (Le origini del male) non ci sono dinamiche intra famigliari, ma il comportamento delittuoso è collegato con i traumi provocati dalla guerra e dalla violenza di quegli anni. Il dott. Lecter è descritto in maniera che definirei fenomenologica e senza particolari problemi a parte un prorompente narcisismo. I suoi delitti non seguono un filo logico particolare, ma sono contro persone che intralciano la sua personalità “superiore”. Il dott. Lecter fa il suo mestiere di psichiatra e comprende meglio di tutti la mente del serial killer aiutando gli investigatori a fermarlo.


La superiorità intellettuale dei serial killer viene confermata anche in un film di David Fincher Seven del 1995, in cui si definisce meglio il concetto di serialità che non è riconducibile unicamente alla recidiva. Nella storia sono secondarie le dinamiche psicologiche alla base del comportamento criminale del serial killer, ma emerge una struttura narrativa che collega i vari omicidi con un filo logico. In questa storia l’assassino sceglie le sue vittime in base ai peccati originali: ogni vittima è l’incarnazione di un peccato in un crescendo di tensione che alla fine coinvolgerà l’investigatore simbolo della rabbia e il killer che invece è l’invidia. Questa costruzione narrativa diventerà una struttura stabile dei numerosissimi successori. Ci sarà quasi sempre una logica che collega il serial killer alle vittime, spesso di natura religioso/demoniaca o letteraria. Questo collegamento tra le vittime non è necessariamente legato alla storia esistenziale del protagonista, assume sempre di più importanza fondamentale nello svolgimento dell’inchiesta. La progressione pseudorazionale della serialità degli omicidi con il tempo assume più importanza della personalità del killer. Quest’aspetto è molto marcato nelle serie televisive di maggior successo come CSI, dove spesso per numerosi episodi i detectives sono alla ricerca non soltanto del killer, ma della connessione che unisce le vittime. I detectives diventano psicanalisti e nel momento dell’interpretazione giusta il killer è fritto. Le spiegazioni diventano sempre più astruse e fantastiche. Cito la serie Followers molto curata sul piano formale e con attori di primo piano, in cui l’assassino, un dott. Lecter scrittore, anche lui psicopatico puro uccide seguendo gli spunti dello scrittore Edgar Allan Poe e in questi omicidi trova un numero elevato di seguaci, i followers del titolo. Percorso analogo è quello di Dario Argento in Italia che inizia con serial killer in cui le dinamiche psicologiche (direi schizofreniche) sono fondamentali per la storia. Nel corso degli anni si fa prendere la mano dal demoniaco a scapito di qualsiasi approfondimento degli assassini.


Una successiva evoluzione è quella proposta da Dexter, serie televisiva giunta all’ottava stagione in cui il serial killer dalla doppia vita diventa l’eroe (quasi) positivo. Un successivo passo viene fatto nella depsicologizzazione delle motivazioni aggiungendo una sorta di spinta morale nel serial killer. Dexter di per sé sarebbe una brava persona, ma sin da piccolo manifesta un’aggressività patologica sempre più genetica e meno reattiva e il suo comportamento criminale corrisponde a una forma di sublimazione, che non gli impedisce di uccidere, ma riduce i danni e anzi rende socialmente utile l’aggressività. Dexter uccide (sembra più di 120 vittime), ma caccia altri serial killer e quindi recupera una sua etica, almeno davanti agli spettatori e infatti ha successo e ormai ha raggiunto l’ottava serie. Come i precedenti serial killer ha una intelligenza superiore.
La mia è un’analisi per difetto. Ci sono in tv almeno venti serie basate sui serial killers e negli USA si stanno chiedendo quali siano le conseguenze di questo bagno di sangue televisivo: solo in Criminal Minds ci sono 100 serial killer, mentre negli archivi dell’FBI sono stati depositati da 35 a 50 casi reali.


Si può obbiettare che le mie considerazioni fanno riferimento a una televisione che in Italia è meno popolare. Non è così e a parte il grande successo che hanno queste serie televisive anche da noi entrate da tempo nell’immaginario collettivo. Per ribadire come le definizioni incidano, voglio citare un drammatico episodio recente (17 gennaio 2014). Dopo un litigio per una luce accesa in camera un paziente psichiatrico ospite in una comunità terapeutica ha afferrato un'accetta e ha massacrato il compagno di camera. L’omicida era recidivo, aveva compiuto un omicidio 15 anni orsono. In questo caso non è stata usata la definizione “serial killer” e la notizia non ha avuto una risonanza, in particolare è stata ignorata in televisione. Per Gagliano si è scatenata una caccia all’uomo incredibile, ribadendo la pericolosità di questi individui e la minaccia sociale dei permessi ai pazienti autori di reato.
Le parole sono macigni e i media stratificano un immaginario di cui siamo solo parzialmente consapevoli e per niente padroni. Bisogna sempre ricordare che Serial killer è una definizione letteraria e televisiva e non psichiatrica o legale. La realtà è diversa e racchiude situazioni totalmente differenti. Temo che con la trasposizione da un piano immaginario a uno reale si metta Gagliano con Lecter e Dexter sullo stesso piano. Noi come psichiatri (e i magistrati con cui spesso condividiamo la responsabilità di definire la pericolosità sociale ) non possiamo fare niente? Ci ritornerò, cercando anche di capire perché queste storie affascinano così tanto.

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