Mente ad arte
Percorsi artistici di psicopatologia, nel cinema ed oltre
di Matteo Balestrieri

La depressione, una questione cognitiva o di mentalizzazione?

Share this
12 febbraio, 2014 - 13:08
di Matteo Balestrieri

  Lo stato d’animo e il pensiero depressivo sono stati descritti da millenni e sono stati attentamente analizzati da alcuni secoli. Tra le numerose spiegazioni psicologiche un ruolo importante è quello della psicoanalisi, a partire dalle ipotesi freudiane originarie sulla autoaggressività, passando per quelle relative ai fallimenti narcisistici di Bibring, Arieti e Kohut ed arrivando infine alle concettualizzazioni interpersonali di Sullivan e Winnicott.
  In maniera più descrittiva, le teorie cognitiviste hanno tratteggiato il funzionamento mentale del depresso attraverso la descrizione di assetti mentali caratteristici. Per Aaron Beck il depresso è caratterizzato da una triade cognitiva: a) una visione negativa di sé sotto il profilo del valore personale (“sono un perdente”; “sono un fallito”) e dell’amabilità (“nessuno mi ama”; “non sono degno di amore”); b) una visione negativa del mondo (“il mondo è un luogo cattivo e infelice”; “gli altri approfittano di me”; “la vita è ingiusta nei miei riguardi"); c) aspettative negative circa il futuro (“non cambierà mai nulla”; “sarò sempre un fallito”).
  Il cognitivismo classico (detto anche “razionalista”) descrive poi nel depresso pensieri stereotipi caratteristici che tendono a prevalere nei periodi critici. I più noti tra questi sono:

  1. L'inferenza arbitraria si riferisce al procedimento di trarre una conclusione in assenza di un’evidenza che supporti tale conclusione, o quando un'evidenza accettabile è contraria alla conclusione stessa. Ad esempio, una persona vede un vecchio amico attraversare la strada e pensa: "Non avrà voluto vedermi".
  2. L'astrazione selettiva consiste nel focalizzare dettagli estrapolati dal contesto, ignorando altri aspetti più salienti della situazione, e nel rappresentarsi la totalità dell'esperienza sulla base di questo elemento. Ad esempio, il docente nota che alcuni studenti sono annoiati durante una sua lezione e conclude che "tutti sono annoiati", anche se riceve domande da parte di altri studenti.
  3. L'eccessiva generalizzazione si riferisce al trarre conclusioni generali in tutte le situazioni, sulla base di un singolo incidente. Ad esempio un ragazzo si è trovato in una situazione di disaccordo con i suoi genitori e ha pensato: "Io non posso avere rapporti durevoli con nessuno". Si generalizza quando qualcosa non va per il verso giusto e diciamo a noi stessi: “tutta la mia vita è un fallimento”.
  4. L'esagerazione e la minimizzazione riguardano valutazioni sull’importanza relativa degli eventi. Ad esempio si sottolineano le enormi difficoltà di un compito e si evidenziano le proprie incapacità ad affrontarlo. Oppure in caso di avvenimenti luttuosi si amplificano le proprie responsabilità e si negano quelle degli altri, come ad esempio nel caso dell’auto-colpevolizzazione.
  5. La personalizzazione descrive la tendenza a correlare eventi esterni a se stessi, quando non vi sono ragioni per operare una tale connessione. “E’ tutta colpa mia se nell’azienda gli affari stanno andando male”.
  6. Il pensiero dicotomico: si tende a ritenere che nella vita se non si ottiene tutto non si otterrà nulla. Se vediamo il mondo attraverso il pensiero dicotomico penseremo che non ci siano vie di mezzo tra successi e insuccessi. Il depresso utilizza questa modalità per dimostrare a se stesso che non vale nulla finché non ha ottenuto il massimo.

  Un esempio filmico che esemplifica un’auto-colpevolizzazione è in una delle scene iniziali di Antichrist (2009) di Lars von Trier, quando la protagonista (interpretata da Charlotte Gainsbourg) è affranta dal senso di colpa per la morte del figlio. Tutto il seguito del film ruota poi attorno al tentativo di superare questo pensiero non cosciente. Anche se il film ha suscitato molto scalpore e critiche, al di là degli effettacci è raccomandabile per una riflessione sulla psicosi e il lutto.
 


  L’interpretazione della realtà attraverso i concetti della mentalizzazione (teoria MBT) riprende alcune delle distorsioni cognitive che ho qui sopra riportato, con l’intenzione di spiegarle, obiettivo che il cognitivismo classico non si pone. Ad esempio l’inferenza arbitraria o l’astrazione selettiva sono modalità che la teoria della mentalizzazione descrive nei termini di equivalenza psichica. Un paziente che usa questa modalità ha difficoltà a riconoscere le emozioni e non è in grado di stabilire connessioni tra pensieri e sentimenti da un lato e azione dall’altro. Egli tende ad interpretare il comportamento in termini concreti, come dovuto all’influenza esercitata da vincoli di natura fisica o situazionale e non in relazione a pensieri o stati d’animo. Negli esempi sopra riportati i protagonisti non sono stati in grado di tenere a mente la mente degli altri. Ciò che accadeva davanti ai loro occhi era di per sé autoesplicativo, perché altre spiegazioni potevano emergere solo cercando di capire il pensiero e lo stato d’animo degli altri.
  Invece la gran parte degli altri pensieri automatici (eccessiva generalizzazione, esagerazione e minimizzazione, personalizzazione, pensiero dicotomico e diversi altri) sono descritti dalla teoria della mentalizzazione come modalità di pseudomentalizzazione, o del far finta (“pretend mode”). Questa modalità descrive uno stato interno del soggetto che non è in connessione realistica con la realtà esterna. Il depresso vive in un mondo interno a cui dà una spiegazione falsamente aderente a ciò che accade all’esterno. E’ una sorta di ipermentalizzazione errata attraverso la quale il soggetto esprime certezze assolute senza riconoscere l’incertezza intrinseca alla possibilità di conoscere la mente dell’altro e la realtà circostante. E’ pure scarsa la percezione del concetto di ambivalenza (ad esempio, la possibile coesistenza di un sentimento di affetto e di una forte aggressività nei confronti della medesima persona) con prevalenza della tendenza a idealizzare o svalutare alternativamente le figure di attaccamento, mantenendo una visione evolutivamente rigida dell’altro.
  Un esempio filmico che rappresenta una situazione di alterata mentalizzazione è quella offerta dal film Interiors di Woody Allen, dove Eve (Interpretata da Geraldine Page), moglie che subisce un abbandono da parte del marito, esibisce in diverse occasioni pensieri di tipo concreto, incapace di comprendere il pensiero del coniuge e delle figlie, nonché del tipo “fare finta”, parlando in maniera circostanziata (ad esempio esprimendo il proprio mondo interno nei termini “mi piace restare nei miei beige e nei miei écru”) e riferendosi essenzialmente al mondo delle buone maniere e del buon gusto.
 

  La terza modalità di fallimento della mentalizzazione, denominata come modalità teleologica, corrisponde alla impossibilità a dare valore a pensieri e affetti, se non in funzione di un’evidenza fisica e concreta (sindrome di “San Tommaso”). In questa modalità un affetto può diventare reale soltanto quando si accompagna a un’esperienza fisica, solo perché una modificazione della realtà fisica è sentita capace di avere un impatto sugli stati mentali propri e altrui. Nessun indizio reale delle intenzioni dell’altro che non si manifesti in una modificazione della realtà concreta viene preso in considerazione. Non è possibile il riconoscimento degli stati intenzionali antecedenti né la previsione delle conseguenze di un’azione, e l’esperienza è percepita come valida solo quando le sue conseguenze sono manifeste per tutti: la realtà fisica ha quindi un primato su motivazioni e intenzioni. Poiché un’esigenza fondamentale del depresso è quella del sentirsi amato, non essendo in grado di mentalizzare le persone care attorno a sé, egli è alla ricerca di “prove d’amore”. Ciò determina un atteggiamento che può diventare assillante, con richieste continue agli altri di comportamenti che segnalino di essere oggetto di attenzione, come regali, telefonate (“se mi telefoni vuol dire che mi ami”), gesti concreti (“se non mi prepara la cena vuol dire che non mi ama”). La modalità teleologica è conseguente alla equivalenza psichica ed è sostanzialmente una forma di pseudomentalizzazione finalizzata a raccogliere prove dell’esistenza di una mente nell’altro.
  Un esempio perfetto di atteggiamento teleologico lo troviamo in The Hours (2002) diretto da Stephen Daldry. In questo film, ricchissimo di significati, la signora Laura Brown (interpretata da Julianne Moore) è una donna infelice che vive col marito Dan e il figlio Richie. In una scena Laura interagisce con il figlio e dice “preparo la torta così il papà saprà che gli vogliamo bene” e il figlioletto risponde “perché, sennò non lo sa che gli vogliamo bene?”, e lei conclude “esatto!”. Laura sente che il marito potrà pensare che lei gli vuole bene solo se lei gli porta qualcosa di concreto.
 


  Ci si potrebbe chiedere qual è il senso e il vantaggio di usare termini diversi per descrivere modalità di funzionamento mentale già descritte dalle teorie cognitiviste? In realtà non è proprio così. Innanzitutto le modalità cognitive già descritte sono state formulate dal cognitivismo razionalista, che essenzialmente concettualizza il trattamento nei termini di un passaggio da un “pensiero sbagliato” a un “pensiero corretto”. Al contrario, per l’approccio cognitivo costruttivista (o evoluzionista) di Guidano e Liotti gli aspetti sintomatici non vengono normalmente trattati in modo diretto, ma l’intervento è finalizzato alla ricerca del significato che permette al paziente di ricostruire quali obiettivi personali li sostengono. Al criterio della razionalità si contrappone quello della coerenza interna tra costruzioni soggettive, scopi individuali e azioni. L’obiettivo della psicoterapia può essere definito in un aumento della complessità del sistema cognitivo del paziente, raggiungibile mediante l’incremento dell’articolazione, della differenziazione e dell’organizzazione gerarchica delle sue strutture. Ciò che è particolarmente importante è l’aspetto adattativo evoluzionistico dell’individuo, con uno specifico riferimento alla teoria dell’attaccamento (TA) di Bowlby, che definisce l’identità a partire dalle prime relazioni di adattamento. Ed è da qui che parte il legame particolarmente significativo tra cognitivismo e mentalizzazione, che deriva esplicitamente dalla TA. L’elemento della TA che maggiormente ha permesso di ampliare gli orizzonti teorici e clinici della psicoterapia cognitiva è in linea con quanto sostiene la mentalizzazione: vi sono motivazioni che spingono alla costruzione di legami interpersonali e questi guidano la costruzione dei significati personali.
  In sintesi, quindi, la MBT propone una modalità di interpretazione della realtà che valorizza sia gli aspetti cognitivi che quelli emotivi in un’ottica relazionale, spostando l’interesse dai contenuti del pensiero al processo del pensare (o ancor meglio, del mentalizzare). Viene enfatizzata la flessibilità del pensiero piuttosto che la sua presunta correttezza. Questo approccio appare a mio avviso molto adatto a descrivere la complessità della esistenza umana, che si svolge in condizioni e contesti spesso mutevoli.

> Lascia un commento



Totale visualizzazioni: 11663