D’altro canto, però, se non vogliamo fare la fine della leggendaria rana che nuota nella pentola prima tiepida e poi bollente, dobbiamo per forza inerpicarci fino al bordo del pentolone e provare a guardare cosa c’è davanti a noi nel tempo futuro. E dobbiamo farlo presto.
Il documentario in calce all’articolo racconta il nostro presente e il nostro futuro, visto dalla prospettiva di una razionalità umanitaria. L’umanitarismo scientifico che animò il gruppo di scienziati del MIT (promosso dal Club di Roma e finanziato dalla fondazione Volkswagen), allorquando pubblicò nel lontano 1972 le previsioni sul futuro del mondo nel notissimo e dibattutissimo libro “I limiti dello sviluppo”. Il documentario oltre ad illustrare alcuni capisaldi di quella iniziativa attraverso la voce diretta dei suoi autori a 40 anni di distanza, si sofferma anche sul clima culturale di quel gruppo, cosa che dal punto di vista di uno psicologo di gruppo come me risulta estremamente interessante.
Un solo spunto di riflessione a latere: età media del gruppo di quei ricercatori, 26 e mezzo! Oggi a 26 anni se non sei un neet, stai cercando un lavoro precario per provare a spesarti dalla paghetta dei tuoi genitori o dei tuoi nonni, non hai certo tempo di occuparti del futuro del mondo. Oggi ti trovi in quella odiosa condizione intermedia per la quale non sei abbastanza affamato e disperato da obbligarti alla ricerca di un mondo migliore, ma sei così precario che non hai più tempo nemmeno per sognarlo.
Volendo fare una estrema sintesi di questo documentario, emerge il tentativo degli scienziati del MIT di mettere assieme un modello di complessità con molte variabili: economiche, ecologiche, sociali e di trarne le conseguenze a breve, medio e lungo termine. Un’impresa mai tentata prima che richiedeva una certa sfrontatezza. Tutte le singole crisi erano, profeticamente, intese come sintomi di un’unica crisi globale per la quale è la stessa sostenibilità planetaria in discussione.
La mente umana è “tarata” per concepire sistemi semplici e non è in grado di proiettarsi né su sistemi complessi, né su dimensioni relazionali molto più estese della famiglia, né su prospettive temporali più ampie della propria vita. E questo limita molto la comprensione di sistemi più complessi.
Jay Forrester, esperto in dinamica di sistemi del MIT incarica un gruppo di giovani scienziati tra cui i prinicipali autori sono: Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens. Il libro descrive 12 possibili scenari futuri dai peggiori a quelli sostenibili, la sostenibilità è determinata dalle scelte umane. Lo scenario degli scenari riguarda essenzialmente la crescita esponenziale di demografia, economia, consumi e sfruttamento delle risorse in un pianeta fisicamente finito, cioè limitato.
Non ci sarà un adattamento graduale, visti i ritardi sulle decisioni importanti, e sfondata la soglia della sostenibilità ci potrebbe essere una riduzione organizzata, un declino assistito oppure sarà la natura stessa a riportarci nei limiti della sostenibilità.
Nel 1985, il presidente Reagan in un discorso inaugurale, rispondendo proprio a quel rapporto afferma: “non ci sono limiti allo sviluppo e all’espansione umana quando gli uomini sono liberi di seguire i propri sogni”. Riporta così al centro una visione miope, cioè a breve termine, che consente lo sviluppo incontrollato e deregolamentato dell’espansionismo economico, ben presto divenuto il neoliberismo finanziario che ci ha portato all’attuale crisi.
Nel 1992 Bush padre alla conferenza per l’ambiente di Rio dice: “20 anni fa alcuni parlarono dei limiti dello sviluppo, oggi sappiamo che lo sviluppo è il motore del cambiamento ed è amico dell’ambiente”.
Insomma gli appelli documentati degli scienziati sull’andamento insostenibile cadono sistematicamente nel vuoto neutralizzati in genere da una sorta di miope scetticismo alimentato dall’impossibilità di concepire modelli di vita e modelli economici sostenibili alternativi a quelli attuali. Lo scioglimento dei ghiacciai e i vistosi cambiamenti climatici già in parte in atto e quelli che ci attendono nei prossimi decenni (saranno i nostri figli e nipoti ad occuparsene) non sembrano riguardarci e forse solo quando Manahattan sarà sott’acqua potremo globalmente muoverci verso una correzione dei nostri stili di vita, ma forse sarà troppo tardi.
In questo senso, dice Dennis L. Meadows, uno degli autori del rapporto, “un modo per cambiare è smettere di immaginare di raggiungere la sostenibilità spostandosi sulla resilienza, spostandosi cioè da uno sviluppo sostenibile ad uno sviluppo di sopravvivenza. La resilienza è la capacità di assorbire un trauma continuando a svolgere le stesse funzioni”. Ma immaginare di adattarci al peggio è una tragica sopravvalutazione delle possibilità umane. Non dobbiamo rassegnarci a colludere, in buona fede, con l’omeostasi attraverso la spinta ad una normalizzazione e alla resilienza a tutti i costi. Ci sono momenti in cui anche un concetto nobile come quello di resilienza deve quanto meno relativizzarsi e talora lasciare il posto alla necessità di cambiamenti più profondi. Il sistema capitalistico e gli attuali sistemi politici tarati sul pensiero a breve termine (profitto e consenso) appaiono del tutto impossibilitati ad intervenire e auto correggersi sul lungo termine, e di questo sono ben consapevoli anche gli scienziati autori di questi disperati appelli.
Ma qual è il contributo che possono dare le scienze psicologiche al cambiamento dei sistemi umani verso la sostenibilità? Credo che possa essere ampio e decisivo (vedere ad es. le ricerche di Mihaly Csikszentmihalyi e di Tim Kasser ).
La psicologia può senz’altro aiutare a comprendere quei processi decisionali che incidono nelle nostre vite, ma può anche accompagnare a sviluppare consapevolezza e promuovere la tolleranza alla fatica di utilizzare un approccio razionale nelle organizzazioni sociali. Non limitandosi ad accettare la dialettica tra istanze utilitaristiche e istanze comunitarie, ma osando di più e inoltrandosi nel cuore delle pratiche collaborative dimostrando come sia interesse di tutti e quindi di ognuno applicare i principi di razionalità comunitaria legati alla qualità della vita quotidiana, percepibile da ognuno di noi a partire dalla comune esperienza individuale e relazionale.
L’idea quindi che il concetto di sostenibilità appartenga al piano psicologico-sociale nello stesso modo in cui riguarda il clima, l’economia, l’ecologia, significa cogliere radicalmente la circolarità tra i diversi piani della sostenibilità.
Attraverso il costrutto Sostenibilità Psico-sociale le pratiche psicologiche possono approfondire lo studio degli attuali stili di vita, alla luce dello stato di salute dei sistemi ecologici e antropici in cui l'uomo è attualmente "ambientato". Non si tratta solamente di sviluppare una psicologia del comportamento ecologico e pro-sociale, su cui esistono già numerose ricerche utili e importanti, né di una mera corrispondenza tra esterno e interno, tra dentro e fuori. Si tratta invece di compiere un salto epistemologico espressamente richiesto dalle critiche condizioni del Pianeta e dei sistemi socio-culturali. Una prospettiva interpretativa che rappresenti la condizione umana in maniera più comprensiva, volta al superamento di sterili dicotomie (come mente vs. corpo, interno vs. esterno).
Con il concetto di Sostenibilità Psico-Sociale si può rappresentare un insieme di strumenti volti alla valutazione della qualità di vita, del benessere individuale e sociale, dei meccanismi interpretativi che permettano di coniugare lo studio dell'ambiente ecologico-economico-culturale e lo studio dell'ambiente psichico e relazionale. Dall’analisi delle relazioni e dei processi di cambiamento possiamo cominciare a comprendere non solo gli indicatori per leggere il presente ed il passato, ma soprattutto, offrire sistemi di pensiero e di azione innovativi, volti a costruire nuovi e migliori stili di vita nel futuro.
PER VEDERE IL DOCUMENTARIO "ULTIMA CHIAMATA" :
Bibliografia essenziale:
Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows; Jørgen Randers; William W. Behrens III, I limiti dello sviluppo, 1972.
Jørgen Randers, 2052. Scenari globali per i prossimi quarant'anni. Rapporto al Club di Roma, 2013
Tim Jackson, Prosperità senza crescita. Economia per il pianeta reale, Edizioni Ambiente 2011
Donella H. Meadows Punti di leva: dove intervenire in un sistema
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