LA FORMAZIONE E LA CURA
Seminario permanente su l' "Ordine del Discorso"
GIANCARLO BUONOFIGLIO: TU LO SAI COS'E' L'AMORE? (Desiderio e innamoramento)
21 maggio, 2014 - 09:39
PUBBLICO QUESTA LETTERA - TESTIMONIANZA DI GIANCARLO BUONOFIGLIO:
documento eccezionale, dove le urgenze della passione amorosa e il dolore per il suo declino si sposano con una rilevante capacità analitica, smentendo l'adagio pascaliano, secondo cui il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Preferiamo pensare ad una ragione analitica - quella ad esempio di Giancarlo - capace di comprendere e di orientare le ragioni del cuore.
documento eccezionale, dove le urgenze della passione amorosa e il dolore per il suo declino si sposano con una rilevante capacità analitica, smentendo l'adagio pascaliano, secondo cui il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Preferiamo pensare ad una ragione analitica - quella ad esempio di Giancarlo - capace di comprendere e di orientare le ragioni del cuore.
GIANCARLO BUONOFIGLIO
TU LO SAI COS'E' L'AMORE?
(desiderio e innamoramento)
“I rapporti falliscono non perchè abbiamo smesso di amare, ma perchè abbiamo smesso di immaginare” J.Hillman
Quante volte ho cercato una ragione al fatto che stavi e mi facevi stare male. Troppe volte ho visto prendere strade insolite a quello che chiamavi amore, a come ti davi e negavi, alle bugie, alle fughe, al desiderio. Vedi cara, ti racconto una cosa. C'è una strana malinconia, sei abitata da un vuoto che ti fa soffrire e che fa soffrire. Quello che senti, il vuoto di cui parli, è qualcosa di antico che afferra e non dà pace, è “il desiderio dell’Altro”. Questo l'Altro è come una domanda che precede nel tempo, che forma, brucia e si avverte come mancanza, il nulla, l'assenza. Prima che una persona reale (l’altro), è l'immaginario e il simbolico (l'Altro) sconosciuto, simile a una domanda che desidera ma che è assente, senza corpo; non ha un contorno o un confine e nessuno è in grado di sapere in cos’è che manca. L'Altro assente per un po' l'hai trovato in me, distante, lontano, diverso dal tuo mondo, altero e incomprensibile; l'hai sentito nel disagio nell'essere stranamente e insolitamente amata. Come un fantasma che non ha volto o consistenza, e che proprio per questo fa sentire l'eco della solitudine, il silenzio dell'assenza. Capita a tutti, il problema è di integrare questo nulla mancante nell'Io; se infatti il soggetto del desiderio ha la funzione di significare ciò che manca all’Altro, l'Io risulta diviso e mai ricomponibile. Si verifica una spaccatura tra quello che sente e quello che vuole. In te è però successo qualcosa di diverso. Perché sai benissimo quello che vuoi. La tua frattura è radicale, profonda; è nel desiderio, nel tuo desiderare che stai male, in una pulsione di morte che non trova sfogo se non in quel tuo modo di prendere e dare piacere. E di negarlo. La vita è fatta di incontri, di persone reali. Poi però c'è un incontro particolare, che è un rivolgersi una domanda, l’incontro con l’Altro immaginario che è ciò che forma la realtà psichica con cui ognuno ha a che fare. L’Altro è questa prima realtà con cui una vita si relaziona, riempie gli spazi, colma i vuoti, leva la fame, fa del sogno un bisogno. Il primo reale e immaginario appare inizialmente come imprevedibile, come il “prossimo che si prende cura". E' imprevedibile perché risponde a una non-domanda, ai pianti del bambino soddisfacendo i suoi bisogni elementari ("Risposta che giungendo inattesa, costituirà per il soggetto l’imprinting di tutte le successive forme di soddisfazione e di godimento"; Lacan). Dalla relazione con l'immaginario assente nasce la prima composizione dell'Io, e la sua contestualizzazione in un mondo.
Dal principio questo “prossimo” diventa ciò che risponde alla voce trasformandola in una domanda rivolta all’Altro, risolvendo la frattura iniziale in una richiesta che è simbolica e reale ad un tempo; come una domanda che possa dare un senso all'Io salvandolo dal dissolvimento. E' un soddisfacimento di un bisogno primario. In questa fase nasce l’Altro come Cosa, oggettivandolo e dandogli un corpo, un nome. Si forma nella testa e nel cuore, entra come ciò di cui non si può fare a meno. L’imprevedibilità di quel godimento primario divide il primo prossimo in due componenti, "uno che può essere capito perché più simile al soggetto e un altro invece che resterà estraneo, incomprensibile e perciò più simile ad una cosa inanimata che a una consistenza psichica". Se non trovi conferma in questo primo comporti, se la domanda non viene soddisfatta, nasce una spaccatura insanabile. Ecco il motivo di quel tuo vivere sospesa nel vuoto, senza una profonda reale solidità emotiva, con esasperazioni che si riversano nel corpo facendolo sentire completo con pantomime esasperate, in parestesie che preservano l'Io dal collasso, in una richiesta d'amore non appagata. Quando non c'è risposta alla chiamata si diventa un divoratore di passioni, di sentimenti, di piacere. Un vampiro emotivo che prende senza sapere dare, che consuma, che toglie e non raccoglie. Che riceve tanto ma niente sa ritornare. L'altro reale a quel punto serve solo come conferma, a soddisfare i bisogni primari fisiologici, morali e narcisistici, mentre il cuore e la testa sono altrove. Ci si relaziona e relazionarsi vuol dire parteciparsi, sentire l'altro come una parte di sé, sentirsi parte del suo mondo, delle sue mozioni, dei suoi sentimenti, averne cura (averne cura). Quel tuo sentirti fuori luogo, costantemente fuori posto, dipende dall'estraneità che dà "significazione al grido del soggetto al di là del soggetto e lo mette in un ordine di significazione a lui estraneo, ma al quale resta sospeso, attaccato per sempre poiché la sua significazione dipende da quest’ordine significante". L'altro reale necessita di un Altro immaginario che non è il simile in cui riconoscersi (anzi è difforme), ma un’istanza perturbante che porta a desiderare fino a commettere le azioni più stravaganti e insolite, paradossali. Questo Altro che completa, che libera, che determina e calma le pulsioni soddisfacendole l'hai trovato in quello che sono stato nella tua fantasia. Ricordi quando mi chiedevi di essere dominata, e quel piacere che provavi nel metterti nelle mie mani? Come Altro immaginario ho soddisfatto il bisogno e la domanda di ordini imperiosi, di una ritorsione, caratterizzati appunto nell'ineseguibilità, dall'irrealtà. Rimasti nella bocca e nel sogno, per dare in qualche modo piacere. Con una dinamica narcisistica che non ha potuto però che generare sensi di colpa, assentendo e trasgredendo al tempo stesso, volendo e non volendo. La colpa appunto, che è come un crampo (un crampo) che ti afferra. In realtà non credo che tu abbia avuto accesso alla profondità della colpa; la porti dentro, ma non come frustrazione o rimorso, non come una possibilità di rinascita, ma come una strada verso il piacere, vissuta con l'esaperazione teatrale di un'emozione che non senti ma che comunque hai coscienza di dover provare. Una mancanza appunto assoluta del tuo spirito. Hai cercato questo Altro immaginario per sentirti viva, per avere conferma di esistere e esorcizzare le pulsioni distruttive, per sentire il tuo corpo, per stabilizzarti, scappando anche da te stessa. Ma più hai cercato di allontanare il riflesso della morte, più la disperazione, l'angoscia, il vuoto, il nulla ti ha oppresso vestendo di malinconia il tuo sorriso. Che è artefatto, costruito, di maniera. Sia che ordini di desiderare, sia che ordini di non desiderare, l’Altro colpevolizza. In qualche modo soddisfa (e ho soddisfatto) anche questo bisogno, "orienta il desiderio e attrae il soggetto come il sole un girasole". L'intollerabilità di questo Altro si è fatta sentire da subito, integrarlo era impossibile nel tuo mondo reale. Più facile cancellarlo. Come si pone fine al dominio, come ci si libera dai comandi, come ci si svincola dal senso di colpa? Uccidendo l'Altro immaginario; rimuovendolo dai pensieri, esiliandolo dalla vita, rompendo un cellulare o il pc, strappando lettere, sparendo, rimuovendolo dalla coscienza, dal quotidiano. Tenendolo saldamente lontano.
L’Altro immaginario ha la funzione di condurre nella parola e nei significanti attraverso cui abitiamo il mondo; impone però il suo desiderio e indirizza comunque la libido. La parola (quella vera che affonda la voce nella realtà) e l’imposizione del desiderio sono i termini in cui avviene l’incontro con l’Altro. L’Altro fa accedere al mondo, ma nello stesso tempo appare come un reale im-mondo, catastrofico, pericoloso per l'Io. Come appunto è il piacere e la sua soddisfazione. L'Altro immaginario non deve diventare reale, non può fare parte del contesto, non deve parteciparsi dell'Io e della sua vita. Mi hai tenuto lontano come si tiene lontano il rimosso, quello che attrae ma spaventa. Non dovevo e potevo fare parte del tuo vivere; portarmi nel reale avrebbe comportato il rischio autodistruttivo (tuo e del mondo che ti circonda). E' per questo che mi hai temuto (temuto) distante fino all'ultimo (non dicendomi nulla, temendo l'invasione nella tua realtà proprio mentre realizzavi il tuo bi/sogno). Con una freddezza che non ha però tenuto conto dei sentimenti propri di una persona concreta, viva, innamorata. L'Altro immaginario era solo nella tua testa, e nella relazione paradossale in cui l'hai nascosto e secretato. Non era un uomo. La tua frattura è questa: vivi nel mondo simbolico ma anche fuori di esso. Non hai saputo trovare nel mondo simbolico il senso che ti completasse, desiderando piuttosto una conferma alla mancanza ad essere che ti fa stare male. Si tratta di un desiderio e di una pulsione di morte legata al principio di piacere. Se seguendo il principio del piacere hai provato a ripetere, lungo l’ordine dei significanti, l’incontro con il significante mancante, con quel significante che solo può dare senso alla vita (dando un senso alla mancanza) questo stesso bisogno si presenta comunque come la pulsione ad andare oltre, al di là, fuori dal tuo mondo. A vivere altrove. Nel principio del piacere si muove comunque un al di là , ed è in gioco la pulsione di morte. Si tratta di una pulsione all’azzeramento della catena dei significanti, del bisogno di sanare il vuoto tra reale e simbolico prodotto dall’ordine; è una pulsione che tende ad eliminare la divisione tra “identità” (o identificazione) simbolica e “singolarità”. Perché il significante buono/significativo è un significante strutturalmente assente. Nel desiderio c'è anche una logica annichilante; il desiderio in senso proprio è sempre un desiderio di morte. Ovviamente di “morte simbolica”, ma (ed è qui è il problema) la morte simbolica, la “seconda morte”, come la chiama Lacan, non può non investire il soggetto in quanto tale, in senso reale.
Lacan sottolinea che il desiderio è sempre un desiderio di morte; il problema del relazionarsi (si chiama etica e morale il modo con cui ti relazioni con gli altri e col mondo) è comunque legato alla colpa, trattandosi di assecondare il desiderio evitando la catastrofe. L'incidente avvenuto è che nelle forme di evitamento dai problemi, dalla coscienza, dalla verità, dall'Io non hai maturato un senso etico, non hai fatto crescere dentro l'Altro immaginario; e questo ti rende insensibile e potenzialmente distruttiva anche per l'altro reale. Sforzandoti a vivere in quello che credi reale, il tuo ordine ripetitivo quotidiano, chiudendo la porta all'Altro immaginario, al piacere illecito nascosto nella vergogna, non hai risolto la frattura ma solo spostata. Non è con un atto di volontà che puoi ricostruirti la verginità, non è scegliendo il reale che recuperi l'integrità morale, non è cacciando il desiderio dall'Io che scompare dalla tua dalla tua coscienza o dal tuo corpo. Hai comunque tradito l'altro reale con l'Altro immaginario, e hai tradito l'Altro immaginario con l'altro reale (ma forse neanche questo senti, confinato nella fantasia non hai vissuto l'uomo immaginario come un tradimento dell'altro reale). La pulsione di morte si presenterà sotto altre forme più pericolose. Perché la soluzione che passa per la repressione e per la negazione del desiderio non è una soluzione, ma il problema; non evita la colpevolizzazione, non toglie il rimorso. Non sana. Sia che desideri, sia che non desideri, ti senti comunque in colpa e continui a desiderare. Per evitare il peso hai spostato la pulsione in una relazione con l'Altro immaginario e non con un altro reale (cosa che ti ha garantito una certa stabilità emotiva e ti ha preservato dall'ignomia sociale e morale). Ma questa fame, questo bisogno di svincolarti, questa ricerca del piacere tornerà prepotente, e quando succederà non sarai attrezzata a metabolizzare, ad integrare, a capire. La legge simbolica che muove alla mancanza ad essere è sia la legge che impedisce di accedere all’oggetto del desiderio, che la legge che impedisce la distruzione della persona stessa. La legge del desiderio non si identifica con la legge simbolica che è attraversata dal desiderio, ma appunto la percorre, se è vero che il significante è ciò che rappresenta l'Io lungo la catena dei significanti, e se è vero che la catena dei significanti è percorsa dall'Io seguendo la legge del desiderio che, se seguita fino in fondo, non può che portare alla distruzione. Impedire al desiderio di percorrere la sua strada non fa che rafforzarlo, aumentando i sensi di colpa, soffocando il corpo, amplificando l'angoscia e i problemi. Non può che alimentare la pulsione di morte. Il desiderio fa sentire la sua voce nell’impossibilità; il bene è il “possibile”, il desiderio vuole l’impossibile (per tale ragione è appunto desiderio di morte). Dovevo rimanere un sogno, non sarei comunque diventato qualcosa di reale.
Non è facile sopportare il desiderio perché si è sempre soli a sopportarlo. Quando gli innamorati chiedono “mi ami?” è come se, non sopportando il desiderio come mancanza, chiedessero di essere trasformati da “amanti” in “oggetti” d’amore. Desiderare è un compito difficile e sfiancante. Chi desidera è superiore a chi è desiderato, ma chi desidera è solo, anche in un rapporto d’amore portato all'apice del coinvolgimento. Questo significa che c’è sempre un prezzo da pagare per chi non vuol cedere al desiderio. E questo prezzo è la «rinuncia al bene in nome del desiderio».
Un desiderio sano trova il suo sbocco nella parola d’amore. La strada che può essere seguita per non “cedere sul proprio desiderio” e per liberarsi dalle pulsioni distruttive, è quella di metaforizzare l’oggetto d’amore, di dare un significante alla mancanza. Doveva andare cosi; vivi nell'immaginario, godi nell'Altro irreale e sposi l'altro reale. Per questo era facile fare l'amore con me mentre stavi con l'altro reale, senza sentire la colpa, di tradire, di ferire. E per questo è stato naturale cancellare, svegliandoti come da un sogno. In fondo era solo fantasia, immaginazione. Ti avevo chiesto di portare lo straordinario nell'ordinario, l'immaginario nel reale, per ricostruire un'integrità, per darti e darmi un'opportunità. Troppe volte forse. Ma non c'è peggior sordo di chi non vuol capire.
Dal principio questo “prossimo” diventa ciò che risponde alla voce trasformandola in una domanda rivolta all’Altro, risolvendo la frattura iniziale in una richiesta che è simbolica e reale ad un tempo; come una domanda che possa dare un senso all'Io salvandolo dal dissolvimento. E' un soddisfacimento di un bisogno primario. In questa fase nasce l’Altro come Cosa, oggettivandolo e dandogli un corpo, un nome. Si forma nella testa e nel cuore, entra come ciò di cui non si può fare a meno. L’imprevedibilità di quel godimento primario divide il primo prossimo in due componenti, "uno che può essere capito perché più simile al soggetto e un altro invece che resterà estraneo, incomprensibile e perciò più simile ad una cosa inanimata che a una consistenza psichica". Se non trovi conferma in questo primo comporti, se la domanda non viene soddisfatta, nasce una spaccatura insanabile. Ecco il motivo di quel tuo vivere sospesa nel vuoto, senza una profonda reale solidità emotiva, con esasperazioni che si riversano nel corpo facendolo sentire completo con pantomime esasperate, in parestesie che preservano l'Io dal collasso, in una richiesta d'amore non appagata. Quando non c'è risposta alla chiamata si diventa un divoratore di passioni, di sentimenti, di piacere. Un vampiro emotivo che prende senza sapere dare, che consuma, che toglie e non raccoglie. Che riceve tanto ma niente sa ritornare. L'altro reale a quel punto serve solo come conferma, a soddisfare i bisogni primari fisiologici, morali e narcisistici, mentre il cuore e la testa sono altrove. Ci si relaziona e relazionarsi vuol dire parteciparsi, sentire l'altro come una parte di sé, sentirsi parte del suo mondo, delle sue mozioni, dei suoi sentimenti, averne cura (averne cura). Quel tuo sentirti fuori luogo, costantemente fuori posto, dipende dall'estraneità che dà "significazione al grido del soggetto al di là del soggetto e lo mette in un ordine di significazione a lui estraneo, ma al quale resta sospeso, attaccato per sempre poiché la sua significazione dipende da quest’ordine significante". L'altro reale necessita di un Altro immaginario che non è il simile in cui riconoscersi (anzi è difforme), ma un’istanza perturbante che porta a desiderare fino a commettere le azioni più stravaganti e insolite, paradossali. Questo Altro che completa, che libera, che determina e calma le pulsioni soddisfacendole l'hai trovato in quello che sono stato nella tua fantasia. Ricordi quando mi chiedevi di essere dominata, e quel piacere che provavi nel metterti nelle mie mani? Come Altro immaginario ho soddisfatto il bisogno e la domanda di ordini imperiosi, di una ritorsione, caratterizzati appunto nell'ineseguibilità, dall'irrealtà. Rimasti nella bocca e nel sogno, per dare in qualche modo piacere. Con una dinamica narcisistica che non ha potuto però che generare sensi di colpa, assentendo e trasgredendo al tempo stesso, volendo e non volendo. La colpa appunto, che è come un crampo (un crampo) che ti afferra. In realtà non credo che tu abbia avuto accesso alla profondità della colpa; la porti dentro, ma non come frustrazione o rimorso, non come una possibilità di rinascita, ma come una strada verso il piacere, vissuta con l'esaperazione teatrale di un'emozione che non senti ma che comunque hai coscienza di dover provare. Una mancanza appunto assoluta del tuo spirito. Hai cercato questo Altro immaginario per sentirti viva, per avere conferma di esistere e esorcizzare le pulsioni distruttive, per sentire il tuo corpo, per stabilizzarti, scappando anche da te stessa. Ma più hai cercato di allontanare il riflesso della morte, più la disperazione, l'angoscia, il vuoto, il nulla ti ha oppresso vestendo di malinconia il tuo sorriso. Che è artefatto, costruito, di maniera. Sia che ordini di desiderare, sia che ordini di non desiderare, l’Altro colpevolizza. In qualche modo soddisfa (e ho soddisfatto) anche questo bisogno, "orienta il desiderio e attrae il soggetto come il sole un girasole". L'intollerabilità di questo Altro si è fatta sentire da subito, integrarlo era impossibile nel tuo mondo reale. Più facile cancellarlo. Come si pone fine al dominio, come ci si libera dai comandi, come ci si svincola dal senso di colpa? Uccidendo l'Altro immaginario; rimuovendolo dai pensieri, esiliandolo dalla vita, rompendo un cellulare o il pc, strappando lettere, sparendo, rimuovendolo dalla coscienza, dal quotidiano. Tenendolo saldamente lontano.
L’Altro immaginario ha la funzione di condurre nella parola e nei significanti attraverso cui abitiamo il mondo; impone però il suo desiderio e indirizza comunque la libido. La parola (quella vera che affonda la voce nella realtà) e l’imposizione del desiderio sono i termini in cui avviene l’incontro con l’Altro. L’Altro fa accedere al mondo, ma nello stesso tempo appare come un reale im-mondo, catastrofico, pericoloso per l'Io. Come appunto è il piacere e la sua soddisfazione. L'Altro immaginario non deve diventare reale, non può fare parte del contesto, non deve parteciparsi dell'Io e della sua vita. Mi hai tenuto lontano come si tiene lontano il rimosso, quello che attrae ma spaventa. Non dovevo e potevo fare parte del tuo vivere; portarmi nel reale avrebbe comportato il rischio autodistruttivo (tuo e del mondo che ti circonda). E' per questo che mi hai temuto (temuto) distante fino all'ultimo (non dicendomi nulla, temendo l'invasione nella tua realtà proprio mentre realizzavi il tuo bi/sogno). Con una freddezza che non ha però tenuto conto dei sentimenti propri di una persona concreta, viva, innamorata. L'Altro immaginario era solo nella tua testa, e nella relazione paradossale in cui l'hai nascosto e secretato. Non era un uomo. La tua frattura è questa: vivi nel mondo simbolico ma anche fuori di esso. Non hai saputo trovare nel mondo simbolico il senso che ti completasse, desiderando piuttosto una conferma alla mancanza ad essere che ti fa stare male. Si tratta di un desiderio e di una pulsione di morte legata al principio di piacere. Se seguendo il principio del piacere hai provato a ripetere, lungo l’ordine dei significanti, l’incontro con il significante mancante, con quel significante che solo può dare senso alla vita (dando un senso alla mancanza) questo stesso bisogno si presenta comunque come la pulsione ad andare oltre, al di là, fuori dal tuo mondo. A vivere altrove. Nel principio del piacere si muove comunque un al di là , ed è in gioco la pulsione di morte. Si tratta di una pulsione all’azzeramento della catena dei significanti, del bisogno di sanare il vuoto tra reale e simbolico prodotto dall’ordine; è una pulsione che tende ad eliminare la divisione tra “identità” (o identificazione) simbolica e “singolarità”. Perché il significante buono/significativo è un significante strutturalmente assente. Nel desiderio c'è anche una logica annichilante; il desiderio in senso proprio è sempre un desiderio di morte. Ovviamente di “morte simbolica”, ma (ed è qui è il problema) la morte simbolica, la “seconda morte”, come la chiama Lacan, non può non investire il soggetto in quanto tale, in senso reale.
Lacan sottolinea che il desiderio è sempre un desiderio di morte; il problema del relazionarsi (si chiama etica e morale il modo con cui ti relazioni con gli altri e col mondo) è comunque legato alla colpa, trattandosi di assecondare il desiderio evitando la catastrofe. L'incidente avvenuto è che nelle forme di evitamento dai problemi, dalla coscienza, dalla verità, dall'Io non hai maturato un senso etico, non hai fatto crescere dentro l'Altro immaginario; e questo ti rende insensibile e potenzialmente distruttiva anche per l'altro reale. Sforzandoti a vivere in quello che credi reale, il tuo ordine ripetitivo quotidiano, chiudendo la porta all'Altro immaginario, al piacere illecito nascosto nella vergogna, non hai risolto la frattura ma solo spostata. Non è con un atto di volontà che puoi ricostruirti la verginità, non è scegliendo il reale che recuperi l'integrità morale, non è cacciando il desiderio dall'Io che scompare dalla tua dalla tua coscienza o dal tuo corpo. Hai comunque tradito l'altro reale con l'Altro immaginario, e hai tradito l'Altro immaginario con l'altro reale (ma forse neanche questo senti, confinato nella fantasia non hai vissuto l'uomo immaginario come un tradimento dell'altro reale). La pulsione di morte si presenterà sotto altre forme più pericolose. Perché la soluzione che passa per la repressione e per la negazione del desiderio non è una soluzione, ma il problema; non evita la colpevolizzazione, non toglie il rimorso. Non sana. Sia che desideri, sia che non desideri, ti senti comunque in colpa e continui a desiderare. Per evitare il peso hai spostato la pulsione in una relazione con l'Altro immaginario e non con un altro reale (cosa che ti ha garantito una certa stabilità emotiva e ti ha preservato dall'ignomia sociale e morale). Ma questa fame, questo bisogno di svincolarti, questa ricerca del piacere tornerà prepotente, e quando succederà non sarai attrezzata a metabolizzare, ad integrare, a capire. La legge simbolica che muove alla mancanza ad essere è sia la legge che impedisce di accedere all’oggetto del desiderio, che la legge che impedisce la distruzione della persona stessa. La legge del desiderio non si identifica con la legge simbolica che è attraversata dal desiderio, ma appunto la percorre, se è vero che il significante è ciò che rappresenta l'Io lungo la catena dei significanti, e se è vero che la catena dei significanti è percorsa dall'Io seguendo la legge del desiderio che, se seguita fino in fondo, non può che portare alla distruzione. Impedire al desiderio di percorrere la sua strada non fa che rafforzarlo, aumentando i sensi di colpa, soffocando il corpo, amplificando l'angoscia e i problemi. Non può che alimentare la pulsione di morte. Il desiderio fa sentire la sua voce nell’impossibilità; il bene è il “possibile”, il desiderio vuole l’impossibile (per tale ragione è appunto desiderio di morte). Dovevo rimanere un sogno, non sarei comunque diventato qualcosa di reale.
Non è facile sopportare il desiderio perché si è sempre soli a sopportarlo. Quando gli innamorati chiedono “mi ami?” è come se, non sopportando il desiderio come mancanza, chiedessero di essere trasformati da “amanti” in “oggetti” d’amore. Desiderare è un compito difficile e sfiancante. Chi desidera è superiore a chi è desiderato, ma chi desidera è solo, anche in un rapporto d’amore portato all'apice del coinvolgimento. Questo significa che c’è sempre un prezzo da pagare per chi non vuol cedere al desiderio. E questo prezzo è la «rinuncia al bene in nome del desiderio».
Un desiderio sano trova il suo sbocco nella parola d’amore. La strada che può essere seguita per non “cedere sul proprio desiderio” e per liberarsi dalle pulsioni distruttive, è quella di metaforizzare l’oggetto d’amore, di dare un significante alla mancanza. Doveva andare cosi; vivi nell'immaginario, godi nell'Altro irreale e sposi l'altro reale. Per questo era facile fare l'amore con me mentre stavi con l'altro reale, senza sentire la colpa, di tradire, di ferire. E per questo è stato naturale cancellare, svegliandoti come da un sogno. In fondo era solo fantasia, immaginazione. Ti avevo chiesto di portare lo straordinario nell'ordinario, l'immaginario nel reale, per ricostruire un'integrità, per darti e darmi un'opportunità. Troppe volte forse. Ma non c'è peggior sordo di chi non vuol capire.