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Settembre…..

17 Set 14

A cura di FRANCESCO BOLLORINO

A Settembre arrivavano le mareg­giate.

Le aspettavamo dall’inizio dell’Estate, stu­diando an­siosi ogni minimo rin­forzo di vento, certi co­mun­que di dover atten­dere settem­bre.

 

Settembre: con le sue gior­nate terse e la tra­mon­tana che schiaccia con i suoi spif­feri tesi un mare da bere e secca il sale sulla pelle rab­brivi­dita; con la fra­granza dell’uva ormai matura delle pas­seggiate sui monti alla ri­cerca di un Far West sas­soso a due passi dal golfo dove inven­tare batta­glie con le cer­bot­tane costruite con tappi di su­ghero e  spago e i missiletti di carta prepa­rati con Vinavil e cura de­gna della sfida al­l’O. K. Corral; con l’o­dore  dei suoi ac­qu­azzoni im­provvisi e vio­lenti, i cui primi enormi goccioloni eva­po­ra­no sull’asfalto an­cora ro­vente; con la luce limpi­da dei suoi giorni più corti e le om­bre più lun­ghe dei suoi tra­monti e le sere, agli ul­timi spetta­coli del ci­nema all’a­per­to, col gol­fino sulle spalle che sa an­cora di nafta­lina e l’a­ria che si fa ogni volta più frizzante, annun­cio di un au­tunno che non tarderà ad arri­vare; con gli ultimi gelati che più che rinfrescare sembrano voler trat­tenere nello stoma­co il sa­pore di un’estate che non tarderà a fi­nire; con le sue gior­nate epi­che e le grandi on­date al­zate dallo Sci­rocco.

 

Misurando con gli occhi il ritmo delle onde e il co­r­ag­gio di ognuno nell’es­sere il primo a but­tarsi, ci mette­vamo in fila sulla bat­tigia giu­sto dove, la mat­tina, le ul­time pro­pag­gini di schiuma deposi­tavano e alimenta­vano una striscia tortuosa di relitti rifiutati dal mare e unge­vano il pietrisco fi­nis­simo cancel­la­ndo le im­pronte delle mamme che an­da­vano avanti e indietro, a te­sta bassa, ad accom­pa­gnare i più pic­coli, con i san­dali di pla­stica tra­slu­cida e il sec­chiello, alla ricerca, tra la sab­bia ba­gnata voltata e ri­voltata dai caval­loni te­nuti a pru­dente di­s­tanza, di te­sori di prezioso ve­tro co­lo­rato, con­ser­vati gelo­sa­mente, du­rante l’in­verno, den­tro con­teni­tori tra­spa­renti che si por­ta­vano die­tro il sa­pore sal­ma­stro del mare della lonta­nis­sima estate del tempo allun­gato di un’in­fanzia che corre via e ha i col­ori sbiaditi e bruciati degli spez­zoni ini­ziali degli otto mil­li­metri Ko­da­ch­rome a fuoco fisso con la ca­rica a molla, dove tutti fanno ciao, ciao con la ma­ni­na.

In alto, sul pennone dei Bagni Punny, sbat­teva la ban­diera rossa di pericolo che il ba­gnino Gio­vanni aveva is­sato alla mat­tina.

Ora, seduto nel ter­razzo a ca­val­cioni di una seg­giola, dopo avere ri­ti­rato tutte le sdraio e gli om­brel­loni, il ba­gnino Gio­vanni, col mento per­p­lesso ap­pog­giato su­gli avambracci ab­bron­zati, ci gu­ar­dava scuo­tendo il capo e bo­fon­chiando, sotto i baffi grigi, rim­pro­veri in ge­no­vese stretto.

Si arrivava alla chetichella, a volte dopo un giro di te­le­fo­nate, «Hai visto il mare?», «Ma non sarà troppo grosso?», «Onda lunga, fa an­che la schiuma, ogni tanto. Gran­dioso!», «Che scusa rac­conti, tu?», «Alle quat­tro?», sem­brava una ce­ri­mo­nia, ci si sen­tiva quasi dei to­reri in slip.

Ci lasciavamo trascinare dalla ri­sacca, sci­vo­lando, a pancia in giù, fino al gra­dino di sab­bia dove l’ac­qua bat­teva fra­gorosa, in­fi­lan­doci pro­prio sotto l’ondata che ci sorpassava massaggiandoci la schiena, per riemer­gere più al largo, tra­spor­tati dalla cor­rente li­mac­ciosa con cui do­vevamo lot­tare, as­pet­tando un mo­mento di mag­giore calma per tornare a terra a ripetere il gioco, agi­tando i piedi all’impaz­zata per re­stare a galla in un con­ti­nuo sali­scendi, ora sulla cresta ora nel seno pre­cipi­tato tra ma­rosi che stroz­za­vano in fondo alla gola riarsa dal salino l’urlo di me­ravi­glia e sover­chia­vano col fra­s­tuono il reci­pro­co in­ci­ta­mento; a volte, un po’ per fatica, un po’ per eccesso di confi­denza l’indispensabile sincronia crono­me­trica dei gesti si inceppava e, presi dal gorgo, veni­vamo scara­ven­tati a riva dal mare e a casa dal ba­gnino Gio­vanni stufo di pre­oc­cu­parsi per noi; se qual­cuno era in vena di te­me­ra­rietà, entrava in ac­qua di corsa tuf­fan­dosi, di­retta­mente, nel tor­bido muro li­qui­do che si pa­rava in­nanzi minac­cioso, pro­prio come fa­ce­vano i ra­gazzi più grandi, che se ne fot­te­vano dei rim­pro­veri del ba­gnino Gio­vanni e che, tante volte, ave­vamo stu­diato, be­vendo Oran­soda al sa­lsoiodio  se­duti sulla sca­letta di le­gno che por­tava alla ca­bine, a gu­ar­dare le loro im­pre­se.

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