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Un annoso problema mai risolto: i confini epistemologici della“PSICOTERAPIA PSICOANALITICA”

23 Ott 14

Di Gianni-Guasto
In occasione del congresso FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni  di Psicoterapia) tenutosi a Riva del Garda da 2 al 5 Ottobre 2014, Francesco Bollorino ha prodotto una serie di interviste a vari partecipanti che saranno messe on line sul canale video di Pol.it.
 
Commentando l’intervento di Piero Petrini, nel quale il Collega affronta il tema delle differenze fra psicoanalisi, psicoterapia psicoanalitica e psicoterapie non psicoanalitiche, mi sento obbligato a ritornare su un tema annoso, la cui periodica riproposizione non può che produrre noia e fastidio per il diffuso sentimento di déja-entendu che lo accompagna: vale a dire la distinzione fra psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica che, avendo ritardato lo svilupparsi di una chiara definizione dello statuto epistemologico della seconda, ha consentito che anche l’altro confine, quello che separa la medesima dalle psicoterapie non-psicoanalitiche, restasse insufficientemente definito, perché sostanzialmente inesplorato, così come si trascurano le forme sospette di approssimazione e di scarsa scientificità.
 
Nonostante i generosi tentativi di studiosi come Merton Gill che ha affrontato il tema delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche che rendono o renderebbero certa la natura specifica della psicoanalisi che si considera conforme al canone, il vissuto sociale intorno ad essa ha continuato ad essere condizionato da un sentimento di esclusività che, se ben intendo ciò che afferma Petrini, considera “psicoanalisi” tutto ciò che viene prodotto clinicamente, secondo determinate modalità, da psicoanalisti; e considera “psicoanalisti”, tutti e solamente quanti vengono riconosciuti come tali dall’Associazione Psicoanalitica Internazionale.
 
Una siffatta situazione ha prodotto molti danni, in primo luogo alla psicoanalisi stessa, come bene afferma Jurgen Reeder nel suo “Hate and Love in Psychoanalytic Institutions. The dilemma of a profession” (Other Press, 2004), nel quale l’Autore, sulla scia di studiosi del calibro di Otto Kernberg e di Johannes Cremerius, mette in evidenza il pericolo mortale che il Movimento Psicoanalitico (inteso come l’insieme delle società facenti capo all’IPA, senza entrare nel merito di quanto accade in casa IFPS o nelle associazioni lacaniane) corre a causa del proprio settarismo.
 
L’aver quindi confinato la psicoterapia psicoanalitica in una sorta di terra di nessuno meno degna di essere esplorata, ha avuto l’effetto paradossale di lasciar irrisolti alcuni temi cruciali (si pensi ad esempio al problema della comunicazione extraverbale inconsapevole che si genera fra terapeuta e paziente nel colloquio vis-à-vis), per non dire di tutti quegli interventi “di frontiera” che è necessario mettere in atto con tutti i pazienti inadatti a essere trattati in un setting canonico, che sono l’assoluta maggioranza (per dire soltanto dei pazienti che consideriamo “trattabili”), e che richiedono ben altro che una preparazione approssimativa, imprecisa, in terapeuti “insufficientemente analizzati”.
 
Solo se ci si farà carico di tutto ciò che di psicoanalitico vi è al di fuori delle frontiere tradizionali e ormai desuete, indagandone l’enorme potenziale di cura, e unificando allo stesso tempo i saperi in una prospettiva modernamente laica (nel senso di “non-clericale”), si potrà scongiurare il rischio che la psicoanalisi venga accantonata in un angolo da una post-modernità tanto sofferente quanto bramosa di soluzioni facili e sbrigative.
Soltanto se la natura epistemologica di TUTTE le psicoterapie psicoanalitiche sarà definita (compresa quella che si considera, forse a torto, maior), e sarà scientificamente chiara la loro matrice comune, sarà possibile definire la loro differenza rispetto ai paradigmi non psicoanalitici e persino scoprirne le eventuali intersezioni.

 
IL VIDEO DI PIERO PETRINI PER IL CANALE TEMATICO YOUTUBE DI PSYCHIATRY ON LINE ITALIA


 

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