Ogni passo cambia la figura davanti ai miei occhi su uno sfondo gradato in altezza e luminosità.
Mi sento in una particella in mezzo allo spazio.
Qui tutto è Natura. Quasi tocchi il cielo…
Lo stomaco tira verso l'alto, l'aria, pur nel vento, sembra ferma. Si sale e si scende tra i 2300, i 4900, i 3650 metri sul livello del mare e poi di nuovo… fino a riscendere, relativamente.
Nel tragitto, cominciato a notte fonda, incontro la neve, che ricopre la terra nei picchi e che lentamente lascia il posto a scenari talmente pieni, articolati, variegati, immensi, brillanti… che l'unica spinta che mi possiede è di donare, attraverso irrefrenabili scatti fotografici, ciò che i miei occhi vedono e tutto il mio cuore sente.
Ma non è mai abbastanza… Non è mai lo stesso… Troppo immenso.
Non rimane che assoggettarsi e accettare che il poter raccontare tutto ciò che si vive è un illusione… Ma, in fondo, la mia mente allaccia le esperienze e realizzo che è così sempre…
Tutto il viaggio per raggiungere Colca, attraversare la sua valle e giungere nel canyon, dove abitano i condor.
La veduta è mozzafiato, arrivo e vedo subito una coppia di condor ferma, ma procedo oltre… Vado a esplorare il fondo profondo che mi cattura… E mi perdo l'attimo, lo spicco del volo.
Non posso, quindi, non soffermarmi sul mio errore di sempre: il non saper attendere. Qui tocco un punto energico attraverso il quale trovo uno specchio e una direzione per la mia anima…
Tento ancora, aspetto davanti alla solita coppia di condor che con emozione ho osservato danzare sincrona, in volo…. Tutti e due si fermano di nuovo…. Aspetto…
Ma questa volta il tempo per ammirare il loro volo spiccare non c'è.
Pazienza.
Fotografo dentro di me questo momento, ne faccio tesoro e proprio in quell'istante mente e cuore realizzano la stessa cosa: l'importanza di saper attendere… di lasciare il tempo alle cose e agli eventi di dispiegarsi da sé.
Di nuovo, la Natura, ristabilisce il suo potere nel dettarci i suoi tempi.
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