Mamme guerriere o mamme narcisiste?
Esplorando l'immaginario sociale
di Laura Rodrigo

Mamme guerriere o mamme narcisistiche?

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12 maggio, 2015 - 12:52
di Laura Rodrigo

C'è un “troppo” in come si vive la maternità al giorno di oggi, che l'allontana dal piacere e dalla leggerezza. Massimo Recalcati scriveva recentemente 1,“Se la maternità è vissuta come un ostacolo alla propria vita è perché si è perduta quella connessione che deve poter unire generativamente l’essere madre all’essere donna”.
La maternità pare che non sia mai stata, come ora, un fatto culturale; degli esperti di ogni tipo sono pronti a dire alle madri, non solo cosa devono fare, ma anche come devono essere e apparire. C'è un'idealizzazione della maternità che fa, in molte occasioni, che questo ruolo prenda il volo su tutti gli altri aspetti della vita, rapporto col partner compreso.
La tesi forte della sociologa francese E. Badinter è che i il vero freno all'emancipazione femminile, dopo l'ondata rivoluzionaria degli anni Settanta, non sono gli uomini ma la maternità concepita come forma di ascetismo e di dedizione assoluta dalla nostra società contemporanea.2
Siamo in tempi di crisi, di bilancio, e forse di nostalgia dei tempi in cui le mamme erano solo mamme? Tempi in cui, però, il sacrificio per i figli era forse un fatto scontato ma degno di riconoscimento, mentre oggi le donne sembrano sacrificarsi senza convinzione. Spesso le donne sono licenziate o indotte a farlo causa maternità -un milione nel nostro Paese nel 2010-, modificano il loro status, rinunciano in silenzio e in solitudine alla loro carriera, e non contano con l'aiuto o la gratitudine del compagno.
Sia che rinuncino al lavoro, sia che concilino, essere madri oggi non è un compito facile. Per di più, in un tempo dove si è passato dalle lotte collettive a quelle private, quotidiane, insidiose. Il sacrificio sul volto delle madri di oggi, le fa sembrare stanche, arrabbiate, più che addolorate. Si vedeva bene nella pubblicità della Fiat Idea otto anni fa, dove delle belle e curate mamme italiane, dopo aver caricato in macchina biciclettina e passeggino, imbufalivano in una agguerrita danza maori, divenuta famosa grazie a una squadra di rugby.
Da una parte, si trovano i vissuti reali delle donne, dall'altra, la mistificazione del loro ruolo. Mitizzazione della madre in cui siamo nate e cresciute: “la buona madre è quella che si sacrifica”.
E' interessante notare come nel nostro immaginario collettivo abitino due correnti di pensiero, apparentemente molto lontane tra di sé. Una, è la tradizione cattolica, mentre l'altra, è la corrente psicologica-pediatrica americana, che ha come uno degli esponenti principali la Lega del Latte; questo nuovo modo di allevare i figli, sebbene sia arrivato in Europa con il nuovo millennio, si è innestato bene alla tradizione dei Paesi cattolici.
La prima tradizione possiamo dire che si basa sul mito della Madonna, la seconda su quello della Super- woman, la donna completa, iper- realizzata attraverso la maternità. La prima tradizione culturale la possiamo riassumere nella parola “sacrificio”, la seconda nella parola “potere”.
Mater dolorosa
Nella nostra tradizione religiosa, i bisogni della madre vengono sacrificati nell'altare dei figli. Essere madre significa, e questo è profondamente vero, donare la vita, donarsi all'altro, ma socialmente, se solo qualche decada fa, nell'eterno conflitto tra essere più madre o essere più donna, era evidente che la madre avesse solo una strada da percorrere, un solo modo giusto di agire, oggi le donne si trovano a dovere controbilanciare delle aspettative di segno opposto.
Il dramma, quindi, è che più le mamme si sacrificano per i figli, per amore, per generosità, per dedizione, alla fine, uno scuro sentimento di essere state rese invisibili, quasi annientate, si annida e si torce contro di loro, creando anche nei figli dei sentimenti di colpa inconsci che l'analisi rivela. Nella nostra epoca, troviamo ancora, il sentimento, il peso, del sacrificio nelle madri. Non perché non siano figli desiderati, ma per una specie di conto da pagare, che non era stato tenuto abbastanza in considerazione.
Questa realtà viene descritta in modo molto cinico dalla scrittrice francese Eliette Abécassis nel suo romanzo autobiografico “Lieto evento” del 2005: “Sono diventata madre, va bene. Ma non sapevo che una madre è solo una madre. Ignoravo che bisognasse abdicare a tutti gli altri ruoli, che si dovesse rinunciare alla sessualità, alla seduzione, al lavoro, allo sport, al corpo, allo spirito. Ignoravo che bisognasse rinunciare alla vita”. Ovviamente, nessuna madre si sogna di dire una cosa del genere, meno in Italia, ma questo non smentisce che, sotto la maschera di perfezione e di gioia di tante madri, non ci sia della sofferenza, che viene subito inascoltata o repressa per evitare litigi, o per non essere etichettate come delle madri snaturate, egoiste, inadeguate, o mediocri.
Supermamme
Il secondo componente del nostro immaginario sociale si basa sulla convinzione che i figli siano un prodotto, un risultato esclusivo, di come siano stati allevati, e di quanto siano stati stimolati. Colpa originaria sicuramente della diffusione della Psicoanalisi: tutto nei figli è imputabile alla madre e tutto gira in torno a lei. Sbocca in modi di genitorialità ossessiva che tutti osserviamo ogni giorno. Paradossalmente, questo dover fare tutto per i figli, li rende più vulnerabili e dipendenti. E non solo: anche i figli sembrano ingabbiati dentro un'ideale di perfezione.
C'è un ideale di cosa devono fare le madri che le fa diventare delle specie di giocolieri all'orlo della follia. Si vede bene nel film “Motherhood”, del 2006, dove Uma Thurman interpreta una mamma blogger, iperattiva e intellettuale, un modello di quello che una buona madre dovrebbe essere, la quale, quando scrive un articolo su cosa significhi la maternità la glorifica e l'esalta definendola come “l'oltrepassare ogni limite”: l'ideale americano del massimo della prestazione, applicato alla genitorialità.
Addirittura, in uno studio del' Istat del 2005, il terzo motivo dichiarato dalle donne italiane per non fare dei figli, l'indice di natalità è uno dei più bassi del mondo, è proprio la preoccupazione per i figli. C'è un eccesso di preoccupazione che ha come conseguenza paradossale il non generarli più.
In conclusione, credo sia importante un dibattito sociale sulla maternità, anche su fronti apparentemente contrastanti. Perché oggi, ed è più chiaro di mai, ciò che unisce le donne, aldilà delle considerazioni, più di segno femminista oppure cattolico, è una prassi di aiuto, di solidarietà, di relazione; valori che contrastano fortemente il dilagare di individualismo e godimento sfrenato della nostra società.

 

1 M. Recalcati, 'Trasformazioni della madre. Come cambia il volto della madre? Dalla madre del sacrificio alla madre narcisistica' apparso su Repubblica il 28 febbraio 2015.
2 E. Badinter , “Il conflitto. La donna e la madre”, e che è stato tradotto all'italiano per “Mamme cattivissime”, Corbaccio, 2011. 
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Commenti

Posso testimoniare con la mia pratica quotidiana la necessità di reinteressarsi al ruolo materno, vieppiu’ piu’ ostacolato da un legame sociale sempre meno propenso a concedergli il posto che gli spetterebbe, e sempre piu’ inospitale perchè regolato da parametri improntati al profitto e produttività. Essere madri oggi, richiede piu’ che mai una capacità di reinventarsi ed adattarsi a situazioni mutevoli, piu’ ancorate alle leggi di mercato che non al desiderio di procreare. Ho potuto constatare in questi anni che uno degli ostacoli maggiori che si interpone tra una donna e il suo desiderio di dare alla luce un figlio è una crescente patologizzazione della condizione di puerpera, determinato dalla crisi economica che ha assunto il libero mercato come unico strumento di regolamentazione, oltrechè dalla nuova mania, che vede nel nuovo DSM l’attore principale, di ascrivere a ‘patologia’ ogni elemento che non sia inquadrabile all’interno di parametri di predittività e normalizzazzione. ‘Lei è a rischio maternità’, questa è la frase ricorrente, sospesa a metà tra la minaccia e la condanna senza appello, che molte donne vedono penzolare come spade di Damocle durante I colloqui di lavoro. Il disagio portato sul lettino dell’analista è frutto della coercizione ad una innaturale e dolorosa scelta, una biforcazione imposta tra l’essere donna partecipe del mondo del lavoro, e madre con il desiderio di un figlio da crescere. Il nascituro dunque come un accessorio invalidante, un intralcio al profitto. Una funzione, quella materna, non portatrice di valore aggiunto per la comunità, ma degradata a stato di malattia retribuibile.La prospettiva binaria, che vede da un lato le donne che scelgono la loro libertà e la propria immagine coltivate come un feticcio, dall’altro la maternità è generalista e semplificante, rea di dimenticare come in mezzo a questi due estremi ci siano le donne, non generalizzabili, ‘una per una’, come insegna Lacan. Con le loro soggettività, i loro desideri. Le loro difficoltà quotidiane a panificare la maternità. Maurizio Montanari, su 'repubblica' dell'otto maggio.

Elena Bellei, sulla 'Gazzetta di Modena' ( gruppo Espresso), lo stesso giorno
Avete notato che torna di moda la madre? Parma dedica alle madri una mostra. Titolo Mater, 170 opere esposte Dagli idoli femminili primitivi fino ai video di Bil Viola. Nanni Moretti manda nelle sale Mia Madre, sugli ultimi giorni di vita della sua vera madre, interpretata dalla Giulia Lazzarini (commovente). Un film che lui definisce politico, ma dobbiamo intenderci sul termine. L’inserto del Corriere di domenica scorsa pubblica Le nuove madri, dello psicoanalista Charmet. Madri capaci, dice, che reinventano il rapporto con figlio o figlia perché ne comprendono la precocità relazionale e le competenze (le chiama proprio così). Nuove madri senza più famiglia allargata e abbandonate dallo Stato, che però ce la fanno. Le madri ce la fanno è il titolo del libro, appena uscito nelle librerie, di Elisabetta Gualmini giornalista e politologa, invitata a Modena dal Centro di documentazione delle donne in uno dei quattro appuntamenti dedicati alla maternità. Tutti interventi incoraggianti che compensano quello fuori misura del lacaniano Recalcati che su Repubblica scriveva di “spinta divoratrice di madri coccodrillo ossessionate dalla propria libertà e dalla propria immagine”. Mi stupisce che da parte di chi ascolta “dal vivo” le pazienti in crisi sdraiate sul suo lettino ci sia una così frettolosa confezione di sciocchezze. Questa “riscoperta” della madre forse vuole dire qualcosa di importante, qualcosa di grosso, ma non si capisce ancora bene cosa. Forse ora è venuto il tempo di considerare la madre non solo come valore sociale, ma molto molto di più, come visione del mondo. Madri biologiche e non. Quelle che desiderano figli e quelle che decidono che no. Perché sono potenziali portatrici di vita e non di morte. Perché sono l’unico antidoto alla violenza. Perché non devastano gli stadi, non tagliano le gole, non stuprano, non si vendicano fino ad uccidere se vengono lasciate dal partner. E non fanno la guerra. Perché si prendono cura e prendono a schiaffi i figli adolescenti che tirano sassi contro la polizia e si mettono in pericolo, come la madre nera di Baltimora. E' il momento delle madri, con figli o senza figli, è il momento di celebrare la sacralità laica delle madri. Vito Mancuso nel suo ultimo libro intitolato “Questa vita” risponde a Charles Darwin, che riteneva l’essenza della vita come lotta e contesa, e scrive “…la vita nella sua essenza è armonia, relazione, cooperazione, sistema e quindi cura, il cui vertice è la relazione delle madri dei viventi con i loro piccoli. Tutto il resto è contorno, senza dubbio presente, forse necessario, ma contorno”.

Ti ringrazio per portare anche tu la tua esperienza nell'ascolto delle donne e le loro difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia. Ciò che viene silenziato al giorno di oggi a mio parere, non sono solo le difficoltà pratiche di conciliare lavoro e famiglia, quanto conciliarlo anche con il lavoro domestico, quasi tutto ancora sulle spalle delle donne, e ancora più grave, l'aspetto che segnali della drammatica scelta tra maternità o lavoro che una mercantilizzazione estrema della società porta con sé. Non so se però la colpa sia soltanto della crisi economica. Certo, auita. Il licenziamento viene spesso ricoperto con la scusa della crisi, ma nella mia esperienza ho potuto costatare che c'era un motivo ideologico: si ritiene che le donne madri lavorino meno, o con meno entusiasmo. .. I permessi retribuiti alle madri, sono spesso la causa di invidie tra colleghe, ecc. Non credo che Paesi come la Francia siano meno capitalisti dell'Italia, eppure c'è una visione radicalmente diversa della maternità, molto più vicina a ciò che scrivi di funzione portatrice di valore aggiunto per la comunità.
L'articolo di Pietroppolli Charmet che citi non mi sembra affatto un elogio delle madri, in esso denuncia come la madre “è culturalmente lasciata sola dalla società...e ciò fa sì che la nuova madre possa ritenere che il figlio sia del tutto suo..”. E' una critica molto forte delle madri che controllano i figli come non l'avevano mai fatto prima nella storia. Invece la citazione che fai di Recalcati è incompleta, la frase è: “La spinta divoratrice della madre-coccodrillo si è trasfigurata nell’ossessione per la propria libertà e per la propria immagine che la maternità rischia di limitare o di deturpare”. Dire che oggi le madri siano narcisistiche, credo sia una generalizzazione assolutamente fuori luogo, credo che Recalcati parlasse di una minoranza però che lui ha collegato a un analisi sociale dove i valori predominanti siano opposti a quelli che conformano l'aspetto materno. Infatti trovo molto bella la frase di Vito Mancuso e la frase: “E' il momento delle madri, con figli o senza figli, è il momento di celebrare la sacralità laica delle madri”. Credo che sia simile allo spirito del ultimo libro di Recalcati “Le mani della madre”. Quello che la maternità insegna è una prassi di ascolto, di cura, di pazienza.. tutte azioni che contrastano fortemente l'individualismo e il godimento sfrenato della nostra società.


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