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Lo spettro di Antigone si aggira per l’Europa

9 Ago 15

A cura di Sarantis Thanopulos

 L’opera tragica di Sofocle di cui è protagonista,  è ambientata a Tebe, città nemica di Atene, e ha come suo preambolo la guerra fratricida raccontata in una tragedia celebre di Eschilo: “Sette su Tebe”. La questione politica messa in  scena è l’interdipendenza tra la guerra civile e la guerra tra città nemiche, tra il conflitto all’interno della città e il conflitto tra cittadini e nemici esterni.
La figura di  Polinice unisce in un solo destino  il fratello e il nemico, fa dell’uno il fondamento dell’altro. Solo chi è fratello può diventare nemico e solo con il nemico può essere stabilito un rapporto di fraternità che non sia aggregazione tribale basata sull’omertà e la collusione.
Nella sua difesa del fratello traditore Antigone non difende  i legami di sangue contro le leggi della Polis, ma si incammina nella direzione opposta. Affermando che è nata per amare e non per odiare, fa professione di desiderio e sottomette l’odio alle ragioni dell’amore. Più precisamente lega l’amore e l’odio all’elaborazione del lutto, alla sepoltura.
L’amato è sempre amico/nemico del nostro desiderio, non sarebbe libero e desiderabile se così non fosse. L’odio ci fa soprattutto riconoscere che non è un’estensione inerte della nostra soggettività, una nostra proiezione. Per amarlo bisogna patire la sua morte come oggetto mosso dalla nostra volontà, per ritrovarlo integro nella sua differenza da noi. È doloroso ma indispensabile seppellire Polinice come sangue del nostro sangue, per poterlo riconoscere nella sua irriducibile libertà di esserci nemico.
Il lutto, la sepoltura  separano ciò che è morto alla vita,  l’altro come riflesso di sé, clone narcisistico della propria esistenza, dall’altro come oggetto di desiderio, dotato di una sua autonomia. La Polis deve saper seppellire ogni tentazione di abolire il conflitto, vocazione catastrofica di autoreferenzialità, di omogeneità di idee e di sentimenti. Questo la estende oltre i suoi confini. La obbliga  ad ampliare lo spazio della fraternità al di là delle sue mura e, contemporaneamente, ad ammettere l’inimicizia nel suo spazio interno. Il nemico esterno riflette il suo bisogno interiore di libertà e il legame di scambio che include lo scontro con lui restituisce alla  fraternità cittadina il suo vero significato.
La prosperità della Polis sta nella sua relazione di desiderio (in cui l’odio è al servizio dell’amore) con ciò che la circonda. “Il Desiderio siede accanto alle Leggi possenti” fa dire al coro Sofocle. Le Leggi della città non devono entrare  in contraddizione con il desiderio, la Polis si fonda sulla loro collaborazione. Tebe, Atene, Argos o Sparta: non questa o quell’altra città,  ma ogni città, ogni entità democratica può affrontare l’illegalità, l’apoliticità barbarica solo espandendo la sua esistenza fino a far coincidere l’idea stessa dell’umanità con la coppia inimicizia/fraternità, fondamento vero della democrazia.
La Polis chiamata Europa si sta fatalmente risucchiando in un’idea della vita comune che privilegia l’uniformità, che interpreta la legalità in termini di ripudio delle differenze. Fa del fratello/nemico interno l’oggetto di un’espulsione mistificatrice che serve soprattutto a mascherare la sua incapacità di stabilire reali relazioni di scambio con chi preme ai suoi confini. L’ombra di Creonte grava sulla pretesa di sostituire la dialettica dello scambio con il fratello/nemico con una dialettica di inclusione/esclusione che trasforma le relazioni umane in un conflitto all’ultimo sangue, senza fratelli e nemici, in cui i morti seppelliscono i vivi.

 

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