GALASSIA FREUD
Materiali sulla psicoanalisi apparsi sui media
di Luca Ribolini

Agosto 2015 III - Eventi e icone

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5 settembre, 2015 - 06:50
di Luca Ribolini

DONNE, ACIDO MURIATICO E ALTRE COSE PERICOLOSE 
di Pietro Barbetta, doppiozero.com, 21 agosto 2015

Sbatti il mostro in prima pagina è un film di Bellocchio del 1972, grande regista, anche se questa non è tra le sue opere migliori. Il giornalismo, certo giornalismo, ha bisogno di stimolare l’immaginario collettivo, poco si preoccupa degli effetti pragmatici, dell’impatto che la comunicazione ha, di quanto la comunicazione contribuisca alla formazione di mentalità collettive, esasperazioni e proteste fanatiche. Quando il privato diventa pubblico, effetto paradossale delle leggi sulla privacy, si trasforma, assume la forma di pretesto per parlar male del governo, del paese, della morale buonista, ecc. ecc., cose che conosciamo fino alla noia, ripetizioni infinite del medesimo. Lo spazio di comprensione/riflessione viene saturato, si trasforma in “buonismo” o in collusione. In realtà va di moda il cattivismo, e il “buonismo” è diventata parola chiave per mostrare quanto cattivi bisogna essere con gli altri. Quanto vanno educati a suon di bastonate, identificandosi paradossalmente con loro. Ovvio, così come la leggiamo, la notizia non dà modo di essere neppure messa in discussione: si tratta di due mostri. Non mi riferisco al legittimo giudizio della giudice, che ha valutato gli atti, che si è consultata con consulenti, che ha formulato un giudizio corretto, su ciò non si può, non si deve, discutere. Del resto, il giudizio legale non esclude possibilità di recupero, a breve o a lungo termine. Né si possono discutere gli atti perpetrati di cui questa donna è colpevole, se la sentenza è passata in giudicato.
Quel che mi sorprende non è né il giudizio, né la pena. Quel che mi sorprende non è l’allontanamento, temporaneo o definitivo, del bambino. Quel che mi sorprende è come la notizia sia diventata glamour, oggetto di dibattito per mediologi pettegoli, che già fanno analisi, che danno per scontato che la notizia sia la realtà, che sia il referente. Eppure non sono passati molti anni da quando Marshall McLuhan disse “il medium è il messaggio”, dunque la notizia sono loro stessi, le parole che hanno usato per confezionarla, gli errori, i refusi, le omissioni, i tagli, le aggiunte. Tutto ciò, per me, è immorale. Vero, la libertà di stampa non si tocca. Infatti questa non è una questione giuridica, è una questione etica. Ci sono sempre stati giornaletti di gossip, in tutto il mondo. In Italia ne abbiamo moltissimi da quando esiste la pratica del giornalismo. La questione qui è un’altra: come mai oggi i giornali che hanno il compito di creare l’opinione pubblica generale, come mai le notizie televisive si comportano e pubblicano cose che un tempo incuriosivano solo “Gente” e “Novella duemila”? Esistono anche i rotocalchi porno, quelli satanisti; poi, sul lato opposto, ci sono i bollettini parrocchiali, le newsletter delle proloco: a quando le grandi testate si adegueranno a quel modello solo perché fa notizia?
 
Segue qui:
http://www.doppiozero.com/materiali/commenti/donne-acido-muriatico-e-altre-cose-pericolose

QUALE FUTURO PER IL FIGLIO DI MARTINA 
di Massimo Ammaniti, la Repubblica, 24 agosto 2015

Interrogativi, dubbi, prese di posizioni si sono intrecciati in questi giorni: è giusto o perlomeno opportuno che il bambino venga affidato alla madre, Martina Levato? Ma quali sono gli interrogativi in questa vicenda drammatica? Come nel famoso film di Sidney Lumet La parola ai giurati i dubbi sollevati da uno dei giurati sulle accuse che sono state rivolte ad un ragazzo, sospettato di aver ucciso il padre, fanno pian piano breccia nella mente degli altri giurati spingendoli ad interrogarsi, a comprendere meglio la vicenda ed evitare i pregiudizi e i luoghi comuni che spesso condizionano i nostri giudizi.
Il primo interrogativo riguarda il fatto se ci si può prendere cura di un figlio se si ha un grave disturbo di personalità, come è verosimilmente il caso di entrambi i protagonisti. Quando si diventa genitori si attiva il sistema di caregiving, che consente di prendersi cura e di allevare un bambino entrando in risonanza emotiva con lui, leggendo i suoi stati d’animo in modo da rispondere prontamente ai suoi bisogni. Questo sistema radicato nel cervello, anche grazie ai neuroni specchio, interagisce con altri ambiti della personalità ed è influenzato dalla propria storia passata ed attuale (attaccamenti, legami di coppia, costruzione della propria identità personale ecc).
 
Segue qui:
http://www.zeroviolenza.it/rassegna/pdfs/24Aug2015/24Aug2015a586bab9439b297e962afae7f5e8d36a.pdf
http://www.zeroviolenza.it/rassegna-stampa

FESTIVALFILOSOFIA 2015: PRIGIONIERI DEL PRESENTE. Da venerdì 18 a domenica 20 settembre a Modena, Carpi e Sassuolo quasi 200 appuntamenti fra lezioni magistrali, mostre, concerti, spettacoli e cene filosofiche. Tra i protagonisti Bodei, Bauman, Cacciari, Galimberti, Recalcati, Rodotà, Augé, Bauman, Nancy e Sennett 
di Redazione, affaritaliani.it, 25 agosto 2015

Dedicato al tema ereditare, il festivalfilosofia 2015, in programma a Modena, Carpi e Sassuolo dal 18 al 20 settembre in 40 luoghi diversi delle tre città, mette a tema la diffusa percezione che si sia interrotta una continuità culturale, tanto nei rapporti tra le generazioni, quanto nella trasmissione dei saperi e dei valori. La quindicesima edizione del festival prevede lezioni magistrali, mostre, spettacoli, letture, giochi per bambini e cene filosofiche. Gli appuntamenti saranno quasi 200 e tutti gratuiti.
Il festival, che negli ultimi due anni ha superato le 200mila presenze, è promosso dal “Consorzio per il festivalfilosofia”, di cui sono soci i Comuni di Modena, Carpi e Sassuolo, la Provincia di Modena, la Fondazione Collegio San Carlo di Modena, la Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi e la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Piazze e cortili ospiteranno oltre 50 lezioni magistrali in cui maestri del pensiero filosofico si confronteranno con il pubblico sulle varie declinazioni contemporanee dell’ereditare: dagli attuali cambiamenti nelle forme della trasmissione culturale, ai mutati rapporti fra le generazioni; dal ruolo del patrimonio storico-artistico per la memoria all’urgenza educativa, nella scuola e non solo; dallo statuto – anche economico – del debito, alle frontiere dell’ereditarietà genetica, fino alla responsabilità verso le generazioni future che erediteranno il pianeta.
Quest’anno tra i protagonisti si ricordano, tra gli altri, Enzo Bianchi, Massimo Cacciari, Gianrico Carofiglio, Roberto Esposito, Umberto Galimberti, Tullio Gregory, che fa parte del Comitato scientifico del Consorzio, Michela Marzano, Salvatore Natoli, Federico Rampini (lectio Rotary), Massimo Recalcati, Stefano Rodotà, Chiara Saraceno, Carlo Sini, Gustavo Zagrebelsky e Remo Bodei, Presidente del Comitato scientifico del Consorzio. Nutrita la componente di filosofi stranieri: tra loro i francesi Jean-Luc Nancy, François Hartog, François Jullien e Marc Augé, che fa parte del comitato scientifico del Consorzio; i tedeschi Aleida Assmann, Jan Assmann e Christoph Wulf, i britannici Zygmunt Bauman e Richard Sennett, l’americano Robert Darnton, l’indiana Vandana Shiva.

Segue qui:
http://www.affaritaliani.it/Rubriche/cafephilo/festivalfilosofia-2015-prigionieri-del-presente-380380.html

PSICANALISI, SOCIOLOGIA E POLITICA SOFFOCANO LA VOCE DELLA BELLEZZA. Troppa carne al fuoco nella collettiva di Palazzo Reale: gli archetipi junghiani, le rivendicazioni femministe e il desiderio di scioccare hanno la meglio sull’arte 

di Vera Agosti, Libero, 26 agosto 2015

Massimiliano Gioni ha un debole per Carl Gustav Jung. L’avevamo già visto alla Biennale del 2013 da lui diretta, dove la mostra si apriva al Padiglione Centrale ai Giardini con una presentazione del Libro Rosso di Jung. Ora nuovamente ce ne accorgiamo nella collettiva curata da Gioni, La Grande Madre, a Palazzo Reale a Milano, da oggi fino al 15 novembre (catalogo Skira), dedicata all’archetipo della figura materna nell’arte contemporanea. L’inventore degli archetipi è stato per l’appunto Jung, per il quale essi non sono che schemi di base universali, impersonali, innati, ereditari, che costituiscono l’inconscio collettivo, per cui già alla nascita tutti avrebbero queste impostazioni psichiche, dovute al tipo di sistema nervoso caratteristico del genere umano.
Stando così le cose, è facile comprendere che l’archetipo della figura materna si riferisce a una madre primordiale, ancestrale, assoluta. Dimenticate le immagini dolci e tenere delle mamme che cullano i loro bimbi tra le braccia con sguardo amorevole e pensate invece a rapporti viscerali e totalizzanti. Ecco allora l’insistenza sulla nudità della donna, sul ventre prominente (Rineke Dijkstra, Saskia, Harderwijk, The Netherlands, March 16, 1994 dalla serie New Mothers; Sherrie Levine, Body Mask, 2007), come nelle statuette votive preistoriche.
 
Segue qui:
http://www.pressreader.com/italy/libero/20150826/281986081307200/TextView

ABRAMO, ‘ANTICONFORMISTA’ PER GRAZIA 
di Luigi Campagner, ilsussidiario.net, 26 agosto 2015

“Leggendo la Bibbia scopro che il nome del mio progenitore era Abramo. Sembra che sia arrivato dalla città di Ur, nel sud della Mesopotamia. Abramo abbandonò il mondo sedentario di Ur — la prima civiltà creata dall’uomo — e divenne un vagabondo”. Con queste parole Chaim Potok (1929­-2002), scrittore e rabbino americano (per la precisione newyorkese, nato nel Bronx), inizia la sua Storia degli ebrei, l’opera storica di uno dei maggiori narratori contemporanei con dedica in esergo ai Padri. La nascita della civiltà a Ur e la rottura con quella civiltà è stato anche il tema suggestivo di una delle principali mostre del Meeting di Rimini 2015, Abramo. La nascita dell’io curata dall’archeologo di fama internazionale Giorgio Buccellati con il biblista Ignacio Carbajosa. Città e civiltà sono sinonimi sicché è facile osservare che il Disagio nella civiltà, titolo esatto della famosa opera di Freud (Das Unbehagen in der Kultur: quindi nella civiltà e non della civiltà), è cominciato presto. Molto presto. Addirittura sembrerebbe contestuale alla creazione della civiltà stessa: l’opera dell’uomo nella quale egli non sembra mai trovarsi troppo a suo agio. Una meta che esercita sugli individui due spinte opposte: amore e attrazione per i suoi innegabili benefici e timore per gli imponenti sacrifici (pulsionali) che essa impone all’io. Questa (in pillole) la tesi di Freud. In un precedente lavoro (2012) dal titolo È veramente positiva la realtà? Dai popoli della Mesopotamia al popolo della Bibbia, Buccellati e Carbajosa già anticipavano il tema sviluppato dalla nuova mostra, riconducendo la civiltà mesopotamica al suo assioma fondamentale: “la prevedibilità della realtà nella sua totalità”. Nel testo di presentazione i curatori spiegano che a questo modernissimo assioma corrispose storicamente la nascita della prima megalopoli: “una vera rivoluzione urbana con una concentrazione umana e una organizzazione prima sconosciute. Le caratteristiche di questa nuova organizzazione sono che la persona non vale più in forza della sua identità, ma in forza della funzione sociale che assume (…) e che si interrompe il rapporto diretto con la natura. La città viene allora recepita come alienante e in contrapposizione con questa organizzazione sorgono le tribù. L’Israele biblico rifà le sue origini storiche a queste tribù”. La mostra ha (tra gli altri) il merito di riproporre con forza il tema dell’alienazione dell’io nella civiltà, stimolando a pensare le condizioni di una socialità non alienate. Abramo non è una “formica sociale”, ma un soggetto dentro a un rapporto.
 
Segue qui:
http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2015/8/26/LETTURE-Abramo-anticonformista-per-grazia/633801/
 

COME UNA STATUA 
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 26 agosto 2015

La torbida marea del sangue dilaga, / in ogni dove annega il rito dell’innocenza. / I migliori hanno perso ogni fede, / i peggiori si gonfiano d’ardore appassionato”, canta Yeats, poeta dell’Apocalisse. Ma c’è un ardore più vero e più forte, quale nessun roboante gonfiore può vincere: il serio lavoro e la meditata gioia. Beato Khaled Asaad, sacerdote di Palmira Sposa del Deserto, e dei suoi tesori che fino all’ultimo difese, nascondendo le statue dagli sguardi impuri; torturato dai carnefici si mangiò la lingua e fu impiccato alla più alta colonna della città. Morte più bella io non conoscendo, morte che è vita in un modo più alto, a Khaled m’inchino con infinita ammirazione. Passò la sua esistenza a curare antichi reperti affinché l’immortalità non soggiacesse ai misfatti del tempo e degli umani, e con quale delicatezza e precisione ripuliva le statue impolverate dal vento del deserto; delicatezza: noi siamo quella polvere. La sua testa spiccata dal busto compone un capitello fiorito che le nubi estive corteggian liete e i zeffiri sereni, intanto che gli dei accarezzano i suoi bianchi capelli.
Gli assassini temono che le loro malefatte siano rintuzzate dall’invincibile bene e per questo uccidono ancora di più; temono che i fiori di sangue che spandono nel mondo possano diventare buona semina e partorire eroi. Ben sanno i carnefici dell’Isis quale contributo danno alla gloria di Palmira, hanno acceso i riflettori su quell’arte che cercano di oscurare: mutilato come una scultura greco-romana il corpo di Khaled si staglia nel silenzio e parla; parla pur senza testa, non ne ha bisogno, come gli dei non hanno bisogno di esistere per sussurrarci le profonde verità. Non piangete amici, non dite: “Tutto è perduto, la magnifica Palmira è caduta e dissacrata, per la seconda volta Zenobia è trascinata nel fango”. Attenti: ogni dissacrazione è consacrazione, se abbiamo fede e seguiamo con occhio lieto Khaled che audace vola nei cieli, la testa scortata dalle rondini e il corpo che le va dietro come uno sposo di Chagall tra simpatici galli, asini e pesci.

Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2015/08/26/come-una-statua___1-vr-132114-rubriche_c668.htm

FESTIVAL DELLA MENTE DI SARZANA: IN ARRIVO LA 12^ EDIZIONE 
di Redazione, artslife.com, 27 agosto 2015

La dodicesima edizione del Festival della Mente, il primo festival in Europa dedicato alla creatività e ai processi creativi, si svolge a Sarzana dal 4 al 6 settembre con la direzione scientifica di Gustavo Pietropolli Charmet e la direzione artistica di Benedetta Marietti. Tre giornate con oltre 60 relatori italiani e internazionali e 38 incontri tra spettacoli, letture, laboratori e momenti di approfondimento culturale. Scienziati, filosofi, scrittori, storici, artisti, psicoanalisti, architetti e fotografi indagano i cambiamenti, le energie e le speranze della società di oggi, rivolgendosi con un linguaggio accessibile al pubblico ampio e intergenerazionale che è da sempre la vera anima del festival. La sezione per bambini e ragazzi, un vero e proprio festival nel festival con 27 relatori e 22 eventi (50 con le repliche), è realizzata con il contributo di Carispezia – Gruppo Cariparma Crédit Agricole. Quest’anno è curata dalla giornalista e scrittrice Chicca Gagliardo. Insostituibile, come ogni anno, è l’apporto dei cinquecento giovani volontari, senza i quali non si creerebbe quel clima di accoglienza e condivisione che ha sempre decretato il successo e l’unicità del Festival della Mente. «Il festival sarà come sempre dedicato all’indagine dei processi creativi, e quest’anno abbiamo scelto come filo conduttore la responsabilità» dichiarano Gustavo Pietropolli Charmet e Benedetta Marietti. «In un paese in cui è sempre colpa di qualcun altro, abbiamo pensato che il concetto di responsabilità dovesse essere ridefinito anche alla luce dei complessi cambiamenti sociali in corso e delle innovazioni scientifiche e tecnologiche. Quale rapporto c’è tra creatività e responsabilità? E a quali nuove responsabilità oggi vengono chiamati intellettuali, letterati, storici, scienziati e artisti? Il festival tenterà di rispondere a queste domande mantenendo il consueto approccio divulgativo e multidisciplinare».
PROGRAMMA
Apre l’edizione 2015 la lezione inaugurale del filologo e storico Luciano Canfora“Augusto: la morale politica di un monarca repubblicano”. Quale rapporto esiste fra responsabilità politica ed esercizio del potere? E come si concilia quest’ultimo con il consenso e le necessità dei cittadini? Augusto fu triumviro spietato e abile artefice di una apparente “restaurazione della Repubblica” che di fatto consisteva nella creazione di una nuova forma di potere personale, definibile come principato. Eppure la sua opera fu costante nel consolidamento e ampliamento dell’Impero sul piano diplomatico e militare.
La cultura umanistica
L’analisi del passato e delle nostre radici fa spesso emergere domande sull’epoca odierna. Lo scrittore spagnolo Arturo Pérez-Reverte, in un dialogo con il romanziere Bruno Arpaia, propone un viaggio a ritroso nel tempo, per raccontare l’impatto rivoluzionario che ebbe la diffusione in Europa dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert: un affresco storico inedito sui protagonisti di un vivace dibattito intellettuale. Edipo, così onesto e corretto da essere definito “il migliore dei mortali”, termina la sua vita cieco, disperato e abbandonato. Ma è davvero sua la responsabilità della catastrofe che gli rovina la vita, se è stato il destino a orchestrare per lui le peggiori nefandezze? Se lo chiese Platone e ripropone oggi la domanda lo scrittore ed esperto del pensiero antico Matteo Nucci. Proprio oggi, nell’era di Internet e del trionfo delle immagini, siamo in grado di capire meglio la tradizione secolare dell’arte della memoria, che raggiunge nel Rinascimento le sue espressioni più spettacolari. L’italianista Lina Bolzoni dell’Accademia dei Lincei ricorda al pubblico il progetto di Giulio Camillo di un teatro della memoria, che doveva contenere, nelle intenzioni dell’umanista, tutto il sapere e i segreti della bellezza. Alessandro Barbero quest’anno riflette sul tema della responsabilità dello storico con tre lectio: il venerdì propone un ritratto di Gaetano Salvemini, uno dei maggiori storici italiani dell’inizio del Novecento; il sabato del francese Marc Bloch, patriota ed ebreo che fu ucciso dai nazisti; la domenica chiude con il nazionalista tedesco Ernst Kantorowicz. Anche la letteratura è una chiave preziosa per riflettere sul presente. Due scrittori, l’olandese Frank Westerman e l’italiano Mauro Covacich, indagano la responsabilità di dire “io” nella letteratura contemporanea: un viaggio nel mondo della scrittura e nella capacità di mettersi in gioco. La francesista Daria Galateria e lo scrittore e critico letterario Emanuele Trevi ripercorrono la storia di uno dei tre libri più letti al mondo e del suo autore: Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, cercando di svelare il mistero che racchiude. Giorgio Fontana e Marco Missiroli si confrontano in un dialogo sulle rispettive “carriere di lettori”, raccontando la loro formazione di narratori e di uomini. L’incontro è nato dalla collaborazione con La Grande Invasione, festival della lettura di Ivrea.
Lo sguardo dell’arte
“Magie della visione” è un viaggio nella carriera di Mimmo Jodice: l’editore Roberto Koch interroga il grande fotografo italiano sulla sua opera, caratterizzata da un continuo esercizio del guardare, da una sperimentazione ispirata anche all’opera di importanti pittori e dalla costante attenzione per il mondo classico. Le guerre degli altri sono anche le nostre. La scrittrice Melania Mazzucco racconta della doppia rivolta della Scena dei massacri di Scio, opera del pittore Eugène Delacroix: quella combattuta sull’isola dell’Egeo e quella combattuta sulla tela dall’artista per la libertà di espressione, contro gli usi dell’epoca secondo i quali non si dipingevano scene di storia contemporanea. È possibile progettare insieme alla natura e non contro di essa? L’architetto e designer Italo Rota e Aldo Colonetti, storico del design e dell’architettura, rispondono a questa epocale domanda nell’incontro “Lo spazio in cui viviamo non è altro che l’estensione della nostra mente”. “Tornare al giardino” è quanto auspica Marco Martella, responsabile della valorizzazione del verde storico in Francia. Per gli antichi il giardino era abitato da un genius loci, garante della sua singolarità, oggi il giardino è ridotto a uno spazio funzionale; Martella suggerisce quindi di riappropriarsi del giardino come laboratorio che ci mette in relazione con le energie della natura.
 
Segue qui:
www.festivaldellamente.it 
http://www.artslife.com/2015/08/27/festival-della-mente-di-sarzana-in-arrivo-la-12-edizione/

IL PARADIGMA DELLA FIDUCIA EPISTEMICA NEL BAMBINO 
di Rosalba Miceli, lastampa.it, 28 agosto 2015

La diagnosi di disturbo di personalità si basa sulla storia evolutiva della persona, in particolare qualora si evidenzino modelli di pensiero e di comportamento ripetitivi, inefficaci e disadattivi, che compromettono un apprendimento sociale costante. La fenomenologia dei disturbi di personalità è ampia tuttavia negli ultimi anni sono emersi con maggiore chiarezza importanti legami tra stili di attaccamento, esperienze traumatiche infantili, sviluppo di personalità e patologia. Il “nucleo traumatico”, insieme ad un attaccamento problematico con le figure di riferimento, sembra essere al centro di alcuni disturbi di personalità, in particolare del “disturbo borderline”, uno tra i più studiati.
Tra gli esperti internazionali che prenderanno parte al prossimo convegno “Attaccamento e trauma 2015”, organizzato dall’Istituto di Scienze Cognitive (25-26-27 settembre 2015, Roma), spicca senza dubbio la figura di Peter Fonagy, Freud Memorial Professor of Psychoanalysis allo University College of London (UCL) e direttore di ricerca al “Anna Freud Centre” a Londra. Fonagy, autorevole psicoanalista, ha sviluppato nuovi orientamenti in psicoanalisi, portando avanti, assieme a Mary Main e ad altri eredi di Bowlby, gli studi nel campo della “teoria dell’attaccamento”, per la comprensione di certi disturbi di personalità.
Fonagy ha introdotto il concetto di reflective self function (funzione del sé riflessivo, mentalizzazione) – ovvero la capacità di rappresentare e riflettere sull’esperienza mentale propria ed altrui, di spiegarsi il comportamento e, in qualche misura, di prevederlo – contribuendo senza dubbio ad avvicinare la psicoanalisi al campo dei terapeuti di orientamento cognitivista.
Come ha osservato Hegel (1807), è solo attraverso la conoscenza della mente di un altro che il bambino sviluppa il pieno possesso della natura degli stati mentali. Quindi è possibile ritenere che una relazione di attaccamento sicuro fornisca al bambino il contesto ideale per esplorare la mente del genitore, mentre, al contrario, la capacità di mentalizzazione potrà risultare inadeguata, deficitaria o inibita qualora il bambino sperimenti esperienze di attaccamento in un contesto fortemente disturbato (interazioni caotiche, intrusive o connotate da mancanze di cure, maltrattamenti e abusi), predisponendolo allo sviluppo di un disturbo di personalità. Sulla base di tale ipotesi Fonagy e Bateman hanno proposto un modello terapeutico dei disturbi di personalità, primariamente del disturbo borderline, basato sul potenziamento della capacità di mentalizzazione (MBT) del soggetto.
 
Segue qui:
http://www.lastampa.it/2015/08/28/scienza/galassiamente/il-paradigma-della-fiducia-epistemica-nel-bambino-UD6KrLQHfoNHRi9oXBIyNK/pagina.html
 

QUELLE ICONE CHE CI GUARDANO E CERCANO DI INGOIARCI. Dal giornalista che filma l’omicidio dei colleghi alle atrocità dei jihadisti Hans Bredekamp spiega il potere subdolo delle immagini nella nostra società 
di Marco Belpoliti, lastampa.it, 28 agosto 2015

Pistola nella mano destra, smartphone nella sinistra. Vester Flanagan, ex dipendente di una televisione, spara e uccide due persone, una cronista e un operatore, quindi mette su Facebook il filmato della scena. Qual è la vera arma, la pistola o la telecamera? Nel gesto di Flanagan i corpi sono diventati immagini? Nel marzo del 2001 i talebani fanno esplodere due gigantesche statue buddiste a Bamiyan, è l’inizio della loro strategia iconoclasta. L’11 settembre del medesimo anno vengono abbattute le Torri Gemelle a New York: il mondo guarda attonito davanti agli schermi il rogo dei grattacieli. Hans Bredekamp, studioso di storia dell’arte, docente alla Humboldt-Universität di Berlino, si è interrogato in Immagini che ci guardano (a cura di Federico Vercellone, Cortina editore), su avvenimenti del genere: si possono creare immagini uccidendo persone o distruggendo altre immagini?
Guerra di icone  
Assistiamo su scala planetaria a quella che l’autore chiama la «guerra mondiale delle immagini», di cui la decapitazione dell’archeologo siriano Khaled Asaad a Palmira, con la macabra esposizione della testa tra le rovine dell’antica città, è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo. Quando, durante la guerra in Iraq, le truppe americane entrano a Baghdad, uno dei primi atti è l’abbattimento delle statue di Saddam Hussein: le immagini vengono subito diffuse da tutti i media. Seguono quelle dei prigionieri in tuta arancione a Guantanamo, e poi gli scatti presi nella prigione irachena di Abu Ghraib, diffusi via Internet. Come abbiamo potuto osservare in questi ultimi quattordici anni la guerra ipertecnologica, ora condotta a colpi di droni – occhi alati e armati del XXI secolo – ha portato alla sostituzione dei corpi con le immagini stesse, così com’è avvenuto nel corso dell’ultimo anno con le ripetute esecuzione di ostaggi da parte dell’Isis (si vedano gli articoli: http://www.doppiozero.com/category/concetti-astratti/teste-tagliate).
I filmati di queste efferate scene, girate con regia accorta, sono un ulteriore capitolo della sostituzione in corso tra «cose» e «immagini». Ogni volta gli utenti accedono ai siti, che trasmettono immagini delle decollazioni, scrive Bredekamp, ciascuno di loro diventa di fatto complice di una politica dell’atto iconico: «Non vengono mostrati cadaveri quali immagini di morte, ma si uccidono delle persone per poterle utilizzare come immagini». Non si tratta di qualcosa di radicalmente nuovo; già i Disastri della guerra di Goya avevamo mostrato come funziona questa tecnica ora alla portata di tutti, come mostra l’atto visivo di Flanagan. Nel suo ampio studio Bredekamp ci ricorda come le immagini possiedano una vitalità simile a quella che siamo soliti attribuire agli atti linguistici («dire è fare»), ovvero la capacità di produrre performance che influenzano i comportamenti delle persone. Nonostante continuiamo a considerare le immagini come qualcosa di passivo, puri oggetti del nostro sguardo, bisogna fare i conti con la loro capacità di influenzarci. Negli ultimi decenni, data la potenza pervasiva dei mass media, dalla fotografia alla televisione, poi con il computer e il Web.2, è accaduto con sempre maggior frequenza che i corpi di uomini e donne siano stati maltrattati, torturati o distrutti per fini iconici.
 
Segue qui:
http://www.lastampa.it/2015/08/28/cultura/quelle-icone-che-ci-guardano-e-cercano-di-ingoiarci-sgPak2cX4i9v5f26q7DqKJ/pagina.html

PORDENONELEGGE: ANTEPRIME INTERNAZIONALI E NUOVI AUTORI. Dal 16 al 20 a Pordenone i più importanti scrittori e poeti alla rassegna curata da Gian Mario Villalta. David Leavitt apre con il suo nuovo romanzo 
di Francesca Visentin, corrieredelveneto.corriere.it, 29 agosto 2015

Un Festival sempre più internazionale. Pordenonelegge si conferma la rassegna letteraria numero uno in Italia (dal 16 al 20 settembre a Pordenone). Con 30 grandi anticipazioni di romanzi degli autori più importanti a livello mondiale, tra cui David Leavitt, Daniel Pennac, Michael Faber, Azar Nafis (solo per citarne alcuni), il Festival acquisisce un’autorevolezza e una ricchezza di proposte narrative difficile da uguagliare. In più quest’anno il premio «La storia in un romanzo» andrà allo scrittore francese Emmanuel Carrère (autore di Limonov, L’Avversario e Il Regno), il 19 settembre, ore 18.30, intervistato da Alberto Garlini.
 
Segue qui:
http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cultura_e_tempolibero/2015/29-agosto-2015/pordenonelegge-anteprime-internazionali-nuovi-autori-2301848295939.shtml
 
LUIGI ZOJA: “SIAMO VITTIME DI NOIA E PARANOIA E NON VIVIAMO PIÙ DI MITI UNIVERSALI” 
di Antonio Gnoli, la Repubblica, 30 agosto 2015

In tempi in cui la barra della storia sembra passata dalla psiche individuale a quella collettiva mi viene di pensare a Carl Gustav Jung. Alla sua visione a tratti allarmata e profetica degli effetti che l’inconscio collettivo ha prodotto sull’annegamento della coscienza singola. E se il pensiero mi sfiora lo debbo anche a un prezioso libretto che Luigi Zoja ha dedicato alla psiche (in uscita da Bollati Boringhieri). Di questo junghiano avevo letto in passato un’analisi, sul rapporto tra paranoia e storia, così acuta da invogliarmi a grattare sotto al suo mestiere per capire chi fosse e cosa facesse in realtà questo studioso così attratto dalle grandi questioni sociali più che dalle singole anime. Un motivo per conoscere, dunque, un uomo nato sotto i bombardamenti, a Milano nell’agosto del 1943.
Che cosa ha ricostruito di quei momenti legati alla nascita?
«In quei mesi i bombardamenti distrussero un quarto di Milano. Genitori, zii, nonni si trasferirono insieme sul Lago Maggiore. Mi raccontarono che per via degli incendi, le notti milanesi non erano mai buie. Mia madre guardava gli aerei con sentimenti contraddittori: più bombe arrivavano più presto sarebbe finita, pensava. La guerra – con i suoi vinti e vincitori, con le sue tragedie e i suoi morti – era davanti ai miei occhi infanti. Me la raccontarono a tal punto che cominciai presto a occuparmi di miti eroici e dei loro lati oscuri».
Cominciò in che senso?
«Fu un fantasticare vago in un ragazzo senza idee. Mi sembrava di vivere in un mondo tutt’altro che repressivo, ma pienamente estraneo ai miei interessi. E ho continuato così fino alla maturità classica. E poi all’università, dove frequentai la Bocconi».
Si iscrisse a economia?
«Sì. Nella prospettiva paterna che lavorassi nell’azienda di famiglia. Ho fatto la Bocconi per mancanza di fantasia. Non mi ero accorto che esisteva un altro mondo. Mi annoiavo e tutto quello che mi circondava era molto deprimente. Depistai. Più che all’economia mi interessai alla sociologia laureandomi su Charles Wright Mills, un marxista americano, autore oggi dimenticato. Era il 1967».
Si preparava la contestazione.
«Sembrava un’alba radiosa».
E invece?
«Era già tramonto».
Come lo visse?
«Cercavo figure ideali senza trovarle. In quelle borghesi mi spaventava il grigiore o il cinismo, in quelle rivoluzionarie l’esaltazione. Le emozioni dei cortei mi parevano primordiali, calcistiche. Non mi integravo nelle manifestazioni. Si urlava lo slogan “Padroni, borghesi, ancora pochi mesi”. Mi dissi: se è così tra un po’ dovrò collaborare a eliminare me stesso. A quel punto scelsi di andare a Zurigo».
Alla ricerca del fantasma di Jung: come c’era arrivato?
«Avevo sempre coltivato la fantasia di andarmene. Sempre verso Nord. Mi sembrava che dove c’era più freddo ci fosse più spazio per essere se stessi. Fu così che arrivai allo Jung Institut. Ricordo un luogo popolato soprattutto da americani che si fermavano un semestre, proseguendo per l’India in autostop, con la marijuana e i libri di Hesse nello zaino. Ad ogni modo scegliere Jung invece di Freud fu per me casuale. Feci la domanda, i colloqui. Fui accettato».
Somiglia a un personaggio balzato fuori da un romanzo di Svevo.
«Non a caso c’è molta psicoanalisi nei suoi libri. Per quanto mi riguarda, mi accorsi di essere contraddittorio. Introverso. Nutrito di aspirazioni estetiche e romantiche che nel mondo postmoderno sono abbastanza pericolose».

Segue qui:
http://80.241.231.25/Ucei/PDF/2015/2015-08-30/2015083031088686.pdf
 
IL MAGNIFICO DOTTOR SACKS, CHE SCAMBIÒ SEMPRE I PAZIENTI PER PERSONAGGI. Le neuroscienze cambieranno, i suoi racconti resteranno
di Mariarosa Mancuso, ilfoglio.it, 31 agosto 2015

Abbiamo visto troppi dottori con la faccia di Robin Williams. No, non solo il medico con il naso da pagliaccio, benvenuto in corsia ma insopportabile al cinema (il film era “Patch Adams” di Tom Shadyac). Era già faticoso da reggere in “Risvegli” di Penny Marshall, accanto al paziente Robert De Niro affetto da catatonia: il tipo di film che riscuote consenso universale, chi ne sparla viene guardato come un mostro. Più faticoso ancora per chi aveva letto i casi clinici di Oliver Sacks e non ritrovava nelle immagini della regista nulla di quel che aveva apprezzato sulla pagina.
L’ombra lunga di Robin Williams – parlandone da vivo – è arrivata fino ai necrologi del dottor Sacks. Coccodrilli pronti da tempo: il neurologo aveva annunciato lo scorso febbraio che il cancro era tornato, lasciandogli poche speranze. A maggio era uscita la seconda parte della sua autobiografia, con il titolo “On The Move”. Ripartiva da dove si era fermato “Zio Tungsteno”, ovvero l’infanzia londinese di Oliver Sacks: i genitori entrambi medici, la passione per la chimica, la grande casa edoardiana da mettere in pericolo con i propri esperimenti.
Il dottor Robin Williams non si sarebbe mai fatto fotografare con il giubbotto di pelle a cavalcioni di una Bmw (e una vaga somiglianza con Marlon Brando, per la faccia da schiaffi). Neppure avrebbe fatto circolare le sue fotografie di quando era campione di sollevamento pesi (le guance ahimé decorate da una barba risorgimentale). Non si sarebbe fatto accusare dai colleghi di trascurare i pazienti, sfruttandoli per costruire la propria carriera letteraria. Non si sarebbe fatto bollare come cultore dello storytelling, oggi la peggiore accusa che si possa muovere a uno scrittore. Ormai tutti ambiscono alla Realtà, all’Autofiction o al Memoir, e le storie non le racconta più nessuno.
Oliver Sacks lavorava come prima di lui aveva lavorato Sigmund Freud. Raccontando le storie dei propri pazienti. Usando i casi clinici per costruire personaggi. In “L’ultimo hippie” racconta un giovanotto bloccato negli anni Settanta per un’amnesia, non si riusciva a levargli dalla testa l’idea che Janis Joplin e Jimi Hendrix fossero ancora vivi. In “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” racconta un tizio incapace di riconoscere volti e oggetti: gli occhi funzionano benissimo, ma il cervello rifiuta di fare la sua parte. In “Su una gamba sola” racconta un suo terribile incidente sulle montagne norvegesi. Riuscì a salvarsi, ma la convalescenza fu peggio: non riconosceva più come propria la gamba malconcia, al contrario degli amputati che sentono e soffrono con l’arto che non c’è più.
Dora e Anna O. forse non erano esattamente come le racconta Freud nei suoi casi clinici, e già da tempo la psicoanalisi ha smesso di essere la misura di tutte le cose. Ma le loro storie resteranno – e del resto Freud parlava di “romanzo familiare”, perché la vita, non solo in famiglia, è come ce la raccontiamo. Resteranno le storie di Oliver Sacks, anche se le neuroscienze cambieranno con il tempo, e certe teorie saranno superate.
Per tutta la vita Oliver Sacks scrisse diari, già da ragazzino lo chiamavano “Inky”, da “ink” come “inchiostro”. “On the Move” – uscirà da Adelphi – riparte dal collegio dove era vittima dei bulli, dal kibbutz dove dimagrì di trenta chili in tre mesi, dalla puttana francese che il fratello gli procurò per distrarlo dai maschi (gli piacevano di più, pur praticando pochissimo). Ogni cosa raccontata con la grazia e la magnifica prosa a lungo sperimentate sui pazienti.
 
http://www.ilfoglio.it/cultura/2015/08/31/il-magnifico-dottor-sacks-che-...

I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
 
Da segnalare le seguenti rubriche: "Laicamente, Dialoghi su psichiatria, arte e cultura" di Simona Maggiorelli, al link 
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/5673
"Mente ad arte, percorsi artistici di psicopatologia nel cinema ed oltre, di Matteo Balestrieri al link 
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4682
 
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com

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