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Psicologia e Counseling – Lo scontro diventa istituzionale

19 Nov 15

A cura di Rolando Ciofi

Con la Sentenza n. 13020 del 17 novembre 2015, il TAR Lazio accoglie il ricorso presentato dal CNOP contro il Ministero dello Sviluppo Economico e contro il Ministero della Salute nei confronti di AssoCounseling, relativamente al fatto che il Ministero dello Sviluppo Economico aveva inserito AssoCounseling negli elenchi – tenuti dallo stesso Ministero – delle associazioni rappresentative delle professioni non regolamentate ai sensi della Legge 4/2013. (per vedere la posizione ufficiale di Assocounseling clicca qui)

 

Sostanzialmente il CNOP (Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi) sostiene: "I Counselor non sono altro che psicologi abusivi"

 

Apparentemente il TAR Lazio abbraccia pienamente le tesi del CNOP sino a disporre l'immediata cancellazione di Assocounseling (che nel frattempo è diventata una vera e propria istituzione con tanto di accreditamenti ministeriali) dall'elenco MISE (Ministero Sviluppo Economico).

 

Che dire? Il CNOP segna un punto. Le sentenze si rispettano. Le sentenze di primo grado possono essere impugnate. E non vi è dubbio, almeno dal mio punto di vista, che questa sentenza debba essere impugnata. Vedremo dunque cosa ne penserà il Consiglio di Stato.

 

Nell'attesa voglio proporre qualche riflessione. A ben leggere infatti la sentenza è sorprendente perché fissa due principi in certo senso "esplosivi". Principi che, se confermati dal Consiglio di Stato, non mancherebbero di trasformare una presunta vittoria del CNOP in uno stato di "guerriglia professionale permanente", non solo nei confronti dei counselor ma del mondo intero.

 

Principio n. 1: il disagio psichico, anche fuori da contesti clinici, rientra nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo.

 

Infatti afferma il TAR:

 

Non può non convenirsi con i ricorrenti che la gradazione del disagio psichico presuppone una competenza diagnostica pacificamente non riconosciuta ai counselors e che il disagio psichico, anche fuori da contesti clinici, rientra nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo.

 

e non contento dell'affermazione già di per sé forte aggiunge:

 

La circostanza che il legislatore, nel definire la professione di psicologo nella legge n. 56 del 1989, abbia usato il termine “comprende”, anziché la locuzione “riserva”, non esclude che si tratti di attività per la quale è competente lo psicologo ed equivale ad una riserva, nei limiti in cui la definizione di tale ambito sia idonea ad identificare l’oggetto della attività professionale. Il termine riserva, nel caso di specie, avrebbe escluso la competenza del medico-psichiatra, altro professionista al quale va certamente riconosciuta l’idoneità a trattare il disagio psichico.

 

Ora disagio psichico fuori dal contesto clinico è quello che può provare un lavoratore che perde il posto di lavoro, un amante che litiga con l'amata o una coppia che affronta una separazione, un atleta insoddisfatto del suo rendimento, un qualunque cittadino che si sia rotto una gamba, un insegnante che abbia una momentanea difficoltà a gestire una classe, un credente che sente di perdere la fede, un lavoratore precario che non riesce a programmare il proprio futuro, chiunque sia costretto dalla vita ad affrontare un normale lutto, per non parlare di questi tempi, di un comune cittadino che viva ad esempio nella città di Roma e che sia preoccupato (comprensibilmente) dai continui proclami dell'ISIS… e l'elenco potrebbe continuare all'infinito.

 

Immaginare di sanitarizzare tutto ciò ed affidarlo all'esclusiva e "riservata" competenza di psicologi e psichiatri è a mio avviso, oltre che inquietante, concettualmente sbagliato e politicamente ottuso, semplicemente non attuabile. E dunque anziché a fare chiarezza nelle competenze professionali il principio introdurrebbe ulteriori confusioni.

 

Paradossalmente il TAR annuncia poi un secondo principio:

 

Principio n. 2: Purchè non si faccia riferimento al disagio psichico il counseling può esistere.

 

Infatti:

 

La definizione dell’International Association rimanda a tecniche per l’orientamento positivo che possano facilitare la relazione e la comunicazione con gli altri, migliorando la vita. Non vi compare alcun cenno al trattamento di condizioni psichiche o di stati patologici neanche di grado lieve.

Si direbbe che l’intervento del counselor sia quello di fornire delle tecniche di comunicazione che rendano più efficace e più soddisfacente l’interazione in determinati contesti.

Chiunque abbia un minimo di esperienza politica sa bene che, indipendentemente dalla pronuncia del TAR , questa partita si trasformerà in una sconfitta degli psicologi.

 

Lo spiega bene un collega in una mailing list che commenta la sentenza stessa:

 

Sì Rolando… si tratta di una vittoria di Pirro. La ragione 'sostanziale'…. è che da una parte -la nostra- c'è una corporazione, dall'altra il mercato. E il mercato non sente ragioni corporative.

A mio avviso però se la corporazione si muove per tutelare i propri lavoratori:

1. deve essere conseguente, e farlo sempre, obbligando e propri 'maestri' a rispettare ed a vigilare sempre sui propri confini;

2. deve fare in modo che sia garantito un percorso formativo decente per ogni mansione prevista: non mi si venga a dire che il quinquennio universitario, per come è combinato da noi in ITALIA, prepari al counselling.

Meglio sarebbe….. (come tu stai facendo) mirare a trasformare l'istanza concorrenziale in istanza complementare.

 

In effetti… e devo dire che la realtà è che i counselor, almeno quelli aderenti ad Assocounseling che sono quelli che meglio conosco, hanno dato una organizzazione alla loro professione (certificato di competenza o di qualità che dir si voglia "a scadenza", aggiornamento permanente tassativo ed ostensibile, tirocinio professionalizzante etc…) invidiabile. Con questo si sono conquistati quel ruolo istituzionale che permette loro di confrontarsi, alla pari, in sede di giustizia amministrativa, con il Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi .

 

Ritengo che a questo punto anche la politica vada coinvolta e che quanto prima si debba arrivare all'apertura di un tavolo istituzionale. Da ex dirigente del COLAP auspico che tale Associazione metta a disposizione tutta la sua influenza per costruire il tavolo in questione.

 

Mi fermo qui. Il CNOP ha vinto la prima partita. Ma siamo ben lontani dall'avere fatto una qualche chiarezza. La questione mi ricorda molto da vicino, per esserne stato protagonista, quanto accadde con l'applicazione dell'art 34 della legge 56/89.

 

 

In ogni caso, come fin dalla sua fondazione, le porte del MoPI sono sempre aperte per tutti i counselor che vogliano aderirvi nella logica di far parte di una "famiglia" (quella delle professioni di ambito psicologico) il cui spirito è quello di valorizzare le differenze professionali di ognuno.

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