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TRA 2015 E 2016. Un bilancio, qualche ricordo.

31 Dic 15

A cura di Paolo F. Peloso

Eventi. In Italia, se per qualcosa il 2015 sarà ricordato in psichiatria, lo sarà senz’altro per la legge 81 e la chiusura, il 31 di marzo, degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Di essi qualcosa abbiamo già detto, ci ritorneremo perché credo che siamo nel guado, nel pieno del guado; con la speranza che in questa Italia delle mille bizzarrie non si perpetui anche quella di uno Stato, singole Regioni, singoli tecnici e singoli Magistrati che paiono continuare ad andare ciascuno per suo conto, senza saper fare della ricerca delle modalità per governare in modo unitario e coerente questo processo ambizioso e impegnativo, l’obiettivo comune. Ci penserà il nuovo anno a migliorare le cose? Speriamo.

Servizi. I tagli alla spesa pubblica, in termini soprattutto di mancato avvicendamento del personale e mancanza di nuove assunzioni, continuano a farsi sentire mordendo piano piano più in profondità, dove più dove meno, i servizi si sentono lentamente debilitare e l’impressione di ineluttabilità di questo processo genera sensazione d’affanno, di essere sempre al limite con la possibilità di farcela; ci si spreme, e nello spremerci esplodono più facilmente le tensioni. Intorno, il welfare dispone di sempre minori risorse per gli interventi sociali di sostegno alla povertà, dei tanti che vivono con la sola pensione di invalidità (meno di 300 euro al mese) ad esempio, e sempre più spesso ci troviamo di fronte a soggetti stranieri privi di lavoro, di reddito, di residenza e perciò di diritti sociali. Privi di tutto. Sul versante dell’utenza, le statistiche confermano l’aumento della forbice in Italia tra ricchezza e povertà, e nelle nostre sale d’attesa la si tocca con mano. Qualcuno trova lavoro, ma spesso i contratti prevedono che, a prescindere da come sia andata, nel giro di qualche mese si ritorni a casa; altre volte è la salute a impedire di ingranare. La povertà, insomma, che riguarda anche italiani ma soprattutto stranieri, abita ormai costantemente i nostri spazi ed è difficile non farci caso: c’è sempre qualcuno che non ha luogo dove dormire o dove mangiare, e diventa sempre più difficile e faticoso cercargli una risposta; o, a un livello appena più alto, non ha i soldi per il caffè e le sigarette dei quali prova necessità per sottrarsi alla spirale di noia che investe le sue giornate, una dopo l’altra. O, ancora un po’ più in su, qualcuno che qualche soldo lo ha anche al mattino, ma non riesce a resistere alla tentazione di farselo divorare dalle voraci macchinette, nell’illusione che questo possa essere il modo – ed è l’unica illusione ancora disponibile – di cambiare, attraverso un bacio della fortuna, la situazione. I soldi stanno diventando un elemento sempre più imprescindibile del lavoro psichiatrico nella comunità, una comunità impoverita. E anche a questo proposito, guardiamo al 2016 con un po’ di speranza: che qualcosa migliori per i servizi, e qualcosa per tutti.    

Cultura. Tra gli spettacoli di quest’anno mi rimane soprattutto nella mente, per originalità e potenza e per l’inquietudine che ha saputo generare, Psychiatric cyrcus, l’originale sarabanda proposta in molte città e ambientata da un cast circense di grande valore e abilità nel manicomio cattolico del dottor Josef a Bergen, in Svizzera. Suo merito è aver saputo mettere insieme in scena tanti aspetti diversi dell’esperienza della psichiatria, in qualunque posizione la si compia: manicomio, maniacalità e melanconia, bipolarità e schizofrenia, onnipotenza e impotenza, violenza e dolcezza, dimensione edipica e potere medico, sciamanesimo e medicina. Di aver saputo tenere insieme insomma facendone una miscela esplosiva lo stridente contrasto tra la follia del riso e la tragedia della follia, spingendo tutto al massimo grado, alla massima potenza, frenesia e intensità con bruschi salti di genere e registro. Uno spettacolo che lascia all’inizio confusi, attoniti, perplessi, infastiditi, colpisce come un pugno alla bocca dello stomaco; e poi, col procedere, prende dentro, coinvolge, suggerisce della psichiatria molte cose profonde, rievoca con la giusta distanza dell’allusione tanta storia ed esperienza personale. Sul finire dell’anno, poi, è passato su RAI 3 a tarda serata il documentario “87 ore. Gli ultimi giorni di Francesco Mastrogiovanni”, un documento realizzato da Costanza Quatriglio che getta un’ombra pesante sulla nostra psichiatria e sul quale ogni operatore psichiatrico italiano dovrebbe credo riflettere.

Ex libris. Tra i libri che ho avuto modo di apprezzare quest’anno e qui ricordo in una prospettiva del tutto soggettiva, merita senz’altro l’apertura il Trattato di psicopatologia di Eugène Minkowski, già pubblicato in italiano da Feltrinelli nel 1973 e quest’anno riproposto da Fioriti. Per lo stesso editore segnalo Oltre e di là dal mondo: l’essenza della schizofrenia. Fenomenologia e psicopatologia di Ballerini e Di Petta, che prosegue le affascinanti esplorazioni nel mondo della schizofrenia di questo maestro della psicopatologia italiana, recentemente scomparso, in collabotrazione con uno dei principali allievi. Da parte dell’editore Ab. AlphaBeta Verlag di Merano, nella collana 180, segnalo due volumi che approfondiscono con intelligenza e passione la questione della contenzione cogliendovi lo spunto per dire molte cose più in generale sull’assistenza psichiatrica, la cui lettura mi ha riempito di stimoli e interrogativi e decisamente raccomando: mi riferisco a … e tu slegalo subito. Sulla contenzione in psichiatria di Giovanna Del Giudice e a Il nodo della contenzione. Diritto, psichiatria e dignità della persona, curato dal giurista Stefano Rossi. Dello stesso editore poi L’istituzione inventata / Almanacco Trieste 1971-2010 che, curato da Franco Rotelli che dopo la morte di Basaglia di quell’esperienza è stato la figura più emblematica, ripercorre attraverso testi e fotografie la vicenda della salute mentale a Trieste. Qualche cenno anche alla mia regione, la Liguria, con la pubblicazione a cura di Andrea Scartabellati del saggio Pazzia e sessualità nei lager della grande guerra, raccolta di scritti di Amedeo Dalla Volta – che sarebbe poi divenuto docente di medicina legale e psicologia a Genova tra gli anni ’30 e ’60 con un’interruzione a seguito delle leggi razziali – realizzati al termine della sua esperienza di prigionia durante la I guerra mondiale (Udine, Gaspari); Cento… ottanta. La psichiatria tra storia e memoria di un ottuagenario (1956-2015) nel quale lo psichiatra genovese Andrea Arata raccoglie e dedica alla memoria della moglie e collega Piera Bevilacqua i suoi ricordi di sessant’anni di psichiatria vissuti in differenti luoghi e ruoli; Comunità Terapeutiche. Storie di lavoro quotidiano (Milano, Pearson), curato da Giovanni Giusto, Carmelo Conforto e Roberta Antonello per ricostruire attraverso le esperienze degli operatori che vi sono impegnati la storia del gruppo di comunità terapeutiche “Redancia”, originato vent’anni fa nel Savonese e oggi presente in molte realtà regionali; Dichiarati matti si raccontano. La follia parlata finalmente scritta (Genova, ERGA), curato da Gabriella Veardo, che raccoglie le testimonianza in prima persona dell’attraversamento della malattia, del sistema assistenziale e del mondo dell’autoaiuto e del reinserimento da parte di un gruppo di soggetti che hanno condiviso in questi anni queste esperienze, arricchito da commenti di Roberta Antonello e Carmelo Conforto.  
 
Ricorrenze. Il 2015 è stato un anno denso di ricorrenze che hanno toccato in alcuni casi  anche la psichiatria. Tra esse il centenario dell’inizio della Grande guerra, che ha dominato su tutti; ce ne siamo occupati il 4 novembre. Il tema della guerra aveva il merito di riproporre questioni drammaticamente attuali, con il protrarsi del bagno di sangue in Medio Oriente e Nordafrica soprattutto, conseguenza di una politica di destabilizzazione che è andata aggiungendo tassello a tassello da 15 anni a questa parte e il crimine dei profughi, adulti e bambini in fuga dalla guerra, abbandonati da un’Europa troppo titubante nel soccorso di chi annega. Nuovi macelli che, infondo, danno la misura di come cento anni non siano bastati al mondo per cambiare granché. Una certa attenzione è stata dedicata al rapporto tra guerra, psichiatria e psichiatri, malattie e malati mentali. Poi il settantennale della Liberazione, rimasto decisamente, ed è un peccato, in ombra rispetto al precedente anniversario: ci sarebbe stato bisogno di ritornare con più attenzione su quelle speranze, quei valori. I 750 anni dalla nascita di Dante: si sarebbe potuto fare qualcosa di più per ricordarlo. Il centenario della condanna a morte di Joe Hill, il sindacalista e cantautore americano il cui sacrificio ne ha fatto un simbolo per i movimenti di protesta negli Stati Uniti. I 50 anni dalla morte di T.S. Eliot. I 40 da quella, cruenta e mai del tutto chiarita, di Pier Paolo Pasolini, tra i più importanti intellettuali italiani del Novecento, alla cui riflessione bisognerebbe più spesso ritornare. I 30 anni dall’assassinio di Isaac Rabin: né ebreo né arabo, responsabilmente uomo della Palestina, aveva appena osato aprire un timido spiraglio di ragionevolezza e pace, di ricerca di equilibrio, in una situazione che, allora come oggi, continua ad avvitarsi ogni giorno di più su se stessa e accompagnare la cronaca quotidiana con uno stillicidio di sangue e di dolore. E ancora i 40 anni dall’uscita nei cinema di Qualcuno volò sul nido del cuculo, (regia di Milos Forman, con Jack Nicholson), un film che contribuì molto allora ad attirare l’attenzione dl grande pubblico sulle istituzioni psichiatriche e la loro necessità di trasformarsi, e ancora oggi aiuta a riflettere sulle relazioni al loro interno. E i 140 anni della più antica tra le riviste italiane ancora in vita, la Rivista Sperimentale di Freniatria fondata nel 1875 dal gruppo reggiano di Carlo Livi, Augusto Tamburini ed Enrico Morselli e oggi diretta da Luigi Tagliabue; a celebrarli un bel numero speciale con testi, tra gli altri, di Fausto Nicolini e Gaddomaria Grassi, Piero Benassi, Valeria Paola Babini, Filippo Maria Ferro, Paolo Migone. 

Ci hanno lasciato. Tante figure significative per la psichiatria italiana ci hanno lasciato nel corso di quest’anno. Michele Tansella ci ha insegnato che cos’è un servizio di sanità pubblica: il rapporto con le cure primarie, l’uso corretto, onesto e trasparente dei farmaci, l’organizzazione dei servizi tra etica, evidenza ed esperienza. Ci mancheranno l’intelligente ironia e il rassicurante scetticismo. Angelo Cocchi ha messo al centro del suo lavoro e della sua riflessione in momenti diversi il Centro diurno e il trattamento precoce dei disturbi psichiatrici maggiori, riuscendo a essere un punto di riferimento in entrambi i casi. Insieme a tante cose che ci ha insegnato  ci mancheranno le sue doti non comuni di umanità, dolcezza e sensibilità ma anche la determinazione, l’entusiasmo, la curiosità e l’impegno pratico e scientifico. Arnaldo Ballerini è stato tra i maestri e i massimi esponenti della psicopatologia italiana di fondazione fenomenologica. Un maestro di umanità e di scienza del quale ci mancheranno la lucidità, il rigore e l’entusiasmo e la curiosità con i quali si è addentrato nell’esplorazione dei meccanismi psicotici, in particolare in quella straziante fase di crepuscolo nella quale l’io e la sua forza di coesione cominciano in modo sofferto ma parzialmente ancora consapevole a offuscarsi. Alcuni dei suoi affascinanti scritti, densi di dubbi fecondi e di interrogazioni indispensabili, sono disponibili su Pol. it. Psichiatria Democratica ha perso due dei suoi massimi esponenti, Gigi Attanasio e Renato Piccione; si sono battuti con generosità per i diritti dei pazienti e la crescita dei servizi e hanno fatto a tempo a vedere l’ultimo loro impegno, quello per la chiusura dell’OPG, da poco coronato da successo. Giovanni Berlinguer è stato una figura fondamentale per l’epidemiologia e la medicina sociale in Italia. Più volte parlamentare del PCI, esperto di questioni sanitarie e del rapporto tra ambiente, lavoro e salute, è uno dei politici ai quali dobbiamo la legge 180 e la Riforma sanitaria del 1978. Non erano colleghi ma credo costituiscano punti di riferimento importanti per noi psichiatri Massimo Pavarini, esponente di rilievo internazionale della criminologia critica presso l’Università di Bologna noto per la generosità e il rigore degli studi sul carcere e sugli altri apparati della sicurezza. E Bruno Benigni, esponente politico toscano impegnato con pratiche concrete nell’applicazione della riforma psichiatrica all’interno del miglioramento complessivo dell’assistenza sanitaria, nello sviluppo dei servizi, nel campo eticamente delicato dell’assistenza sanitaria nelle carceri e, recentemente, nella battaglia per la chiusura dell’OPG. Mi piace ricordare infine, anche se meno direttamente legato alle questioni della psichiatria, un intellettuale e uomo politico di rilievo nazionale che rappresenta, credo, per tutti uno dei protagonisti nella costruzione della democrazia in Italia; e per me come per altri anche un punto di riferimento nella lotta per un mondo più giusto, Pietro Ingrao. E voglio farlo attraverso le parole con le quali nel 1990, in un momento drammatico per le cose in cui credeva, interveniva al XIX congresso del PCI su una questione che rimane centrale, io credo, in questi anni di accelerazione dei processi comunicativi e dilagante e irritante superficialità, quella del ritmo che scandisce, attraverso la riflessione e il confronto, il formarsi e modificarsi del pensiero nell’uomo che ne governa l’azione, confrontato al ritmo di funzionamento della macchina logica, il computer: «La cosa interessante è la spiegazione che veniva data di questa discontinuità tra macchina computerizzata ed essere umano. Essa veniva indicata nella diversa velocità di decisione tra la macchina e l’uomo. Velocità. Riflettete un attimo al senso vero di questa parola per ciò che riguarda l’uomo. Scopriremo allora che una diversa velocità umana sì, c’è, ed ha a che fare molto e anche con l’affettività, l’emotività, la distrazione come irruzione della fantasia o del dubbio. Ecco allora la domanda: è un limite umano oppure è un’enorme ricchezza; è un difetto dell’uomo o una sua irriducibilità anche al calcolo più raffinato, e quindi io penso una insopprimibile creatività che può sottrarsi a ogni schema e a ogni obbligo? Questa ricchezza non è misurabile con alcun metro del mercato; tenere aperto questo punto di vista chiama ad altri criteri da ora, svela aspetti fondanti dell’alienazione moderna. La tecnica e l’essere umano, la materialità della necessaria produzione sociale e la irripetibilità insopprimibile dell’individuo, l’ostinata incalcolabilità della vita anche non umana. Ci sono è vero i guardiani, ma mettere le braghe al mondo è difficile, e infondo a ben vedere certi guardiani per forti e feroci che siano, sono infondo abbastanza stupidi». Con queste parole, che considero anche un auspicio, possiamo guardare, credo, con maggiore impegno e consapevolezza a questo 2016 che domani si apre. Con la speranza, che ogni anno certo rinnoviamo, che a cambiare non sia soltanto un numero del nostro calendario.

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