PENSIERI SPARSI
Tra psichiatria, impegno civile e suggestioni culturali
di Paolo F. Peloso

CORPI ECCEDENTI, CORPI VIOLATI. Le donne di Colonia e i (vecchi e nuovi) fantasmi d’Europa (Monologo sull'Europa)

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17 gennaio, 2016 - 12:28
di Paolo F. Peloso

C’erano.
Non ce n’eravamo accorti.
Quando facevamo il bagno in mare quest’estate, senza avvertire il sapore e il lezzo dei cadaveri, centinaia di cadaveri, corpi di uomini donne bambini annegati in quello stesso mare per percorrere una tratta che traghetti e aerei solcano quotidianamente in sicurezza.
Quando morivano a migliaia nelle guerre degli ultimi venticinque anni (venticinque anni ieri dalla prima notte di missili americani su Baghdad!) vittime di se stessi, delle loro disumane bombe umane; e vittime di noi, dei nostri disumani bombardieri missili droni: non abbiamo sentito il fragore delle esplosioni pure così vicine, un pugno d’ore in aereo. I luoghi del loro martirio, quelli delle nostre vacanze.
Quando risalivano le strade dei Balcani e le guardie di frontiera dell’Europa erigevano ipocriti muri reticolati (di nuovo reticolati!) per fermare la fiumana dei corpi in fuga dal macello. E loro inarrestabili bene o male non cessavano di avanzare, corpi filtranti comunque a prezzo di incredibili inutili peripezie e pericoli. Hanno portato i loro corpi, quelli dei loro bambini in mezzo a noi: perché non potessimo fingere più di non vederli. Ma noi abbiamo continuato a non vederli. Non li vedevamo davvero. Abbiamo provato a chiuderli, nasconderli, nelle baracche improvvisate o dietro nuovi reticolati dentro l’Europa. Concedendo loro sopravvivenze minimali e precarie, senza prospettive. Soluzioni di emergenza. Erano troppi; sono usciti e ci sono venuti tra i piedi.
Quando percorrevamo frettolosamente il centro per le strenne di Natale e ci chiedevano fastidiosi qualche spicciolo intralciandoci il cammino: acceleravamo. Determinati a non vederli. Fantasmi, spettri, ectoplasmi, esseri immateriali in mezzo a noi che ci illudiamo di poter continuare a vivere consumare come prima, come se fossimo tanti come prima. Sono  centinaia di migliaia. Saranno di più, se qualcosa non cambierà nella politica internazionale. Corpi fastidiosamente umani che per la maggioranza di noi non possono essere schiacciati come mosche cavallette zanzare.
C’illudiamo di continuare a far finta di niente, continuare come prima a vivere, consumare: ma l’Europa non è già più quella di prima. Centinaia di migliaia di corpi si sono aggiunti, altri stanno per farlo: vogliono un posto tra noi. Non fantasmi: corpi. Non accanto a noi: tra noi. Vogliono una parte del nostro lavoro e del reddito. Corpi eccedenti desideranti a volte prepotenti, comunque fastidiosi. Corpi abbandonati a se stessi, accolti da un’accoglienza che non accoglie; argina semmai, tenta di arginare con infinite difficoltà e fallimenti.
L’Europa, questa Europa - nazione/non nazione che è un cantiere permanente in costruzione incapace di arrivare a compimento - non sa governare questa eccedenza in modo organico, tappa falle qua e là e vuole ostinarsi a non vedere l’imprescindibile dirompente elemento di novità, l’immenso potere trasformante che è intrinseco a questo eccedere di corpi.
L’Europa sosta titubante, esitante; incerta tra respingere e accogliere, azioni che spaventano entrambe perché la trasformerebbero, l’una e l’altra, entrambe in modo radicale. Sta, ferma. Capace solo di risposte frammentarie incoerenti contraddittorie precarie emergenziali; sempre già insufficienti. Preferisce incomprensibilmente tuffarsi tardi a raccogliere corpi che annegano - spesso minuscoli corpi di bambini - con alta probabilità di non farcela, che offrire gli strumenti, prima, perché quei corpi non cadano. Cinico, assurdo! Segno chiaro di sentimenti opposti di colpa e di paura che, confliggendo, hanno l’effetto di paralizzare un continente. I posteri ci rinfacceranno i morti annegati. E forse sì, il problema è l’Europa che è sorpresa dal fenomeno (che essa stessa ha contribuito a generare) in mezzo al guado, un guado che non arriva mai all’approdo.
O forse il problema invece è più grande: è un’organizzazione sociale, un sistema di valori che sta rivelando la sua intrinseca incapacità a governare fenomeni storici irruenti e complessi. E forse è il vecchio spettro che si aggirava per l’Europa del 1848 e si credeva consegnato alla storia che riprende ad animarsi - certo in forme e modalità che saranno inedite, nuove, tali da renderlo irriconoscibile - e attraverso questi corpi inconsapevoli e la loro ingombrante presenza ripropone in modo subdolo e insidioso l’eterno dilemma io/noi (noi chi? noi quanti? noi tutti?), che è consustanziale alla natura dell’uomo: animale privato e sociale a un tempo. In ogni caso, la classe dirigente dell’Europa, la gente dell’Europa, non si sta dimostrando all’altezza. Bisognerebbe prenderne atto, riparare per tempo.
Perché sono corpi vivi, corpi veri questi che fanno pressione alle frontiere, corpi che non si accontentano di essere nutriti. Corpi di uomini e donne, non numeri da inserire nei diagrammi. Desiderano, esprimono desiderio talvolta inevitabilmente in modo disarticolato esplosivo confuso prepotente violento volgare alcoolizzato, ingovernato. Non sono stati tanti a capodanno, se confrontati ai numeri generali dei migranti che la Germania ha accolto negli ultimi mesi. Certo assolutamente non tutti, e ciò dovrebbe scoraggiare generalizzazioni e assurde punizioni collettive che moltiplicano il sentimento d’ingiustizia e rendono più grande la tristezza. Né sessismo né razzismo: le donne tedesche hanno reagito con responsabilità. Ma sono stati troppi per poter riportare semplicemente quella notte a singoli episodi di prepotenza dell’uomo sul corpo della donna, per ridurla ad atti individuali di rilievo penale. Per non cogliere nella notte di questo capodanno la spia di problemi di ordine generale: corpi che premono per segnare in modo disordinato e caotico, che può diventare irruente e volgare, la presenza. Così tanti da costituire, indubbiamente, anche un fatto sociale. Quei fantasmi hanno scelto per incarnarsi la notte di capodanno: a significare che l’anno che incomincia e quelli che seguiranno non potranno essere uguali ai precedenti. Per dirci, quei corpi, nel modo peggiore e il più sgangherato certo, che non possiamo continuare a non vederli. A pagare per prime il prezzo di questo disordinato irrispettoso atto di incarnazione, ovviamente, quelli più deboli tra noi: le donne. Il corpo delle donne.
Il corpo delle donne infinite volte violato sul quale si sono sempre impresse con smisurata violenza le impronte del conflitto. Andromaca, Cassandra: corpi come bottino di guerra per il piacere dei soldati achei. Per saldare il conto col nemico. Tragedie. Tragedie che a tanti secoli di distanza continuano a echeggiarne il lamento. Certo, pensiamo alle donne, alle ragazze di Colonia: rabbia frustrazione umiliazione e paura antiche che hanno di nuovo provato quella notte, per le quali non c’è giustificazione.
Orgogliosamente, riavutesi dallo shock le donne di Colonia hanno alzato la voce a fare visibile l’insulto, a chiedere perché. La prepotenza del maschio è la stessa. Che appartenga alla propria stessa gente, che sia l’infinita prepotenza del maschio vincitore della guerra sul corpo preda della donna o l’episodica rivalsa del maschio disperato - ma muscolarmente più forte limitatamente a quel momento e quella situazione - la prepotenza è la stessa.
Genera sentimenti di ingiustizia. Donne vittime di un conflitto che non poteva prima o poi non esplodere. Vittime di un conflitto che forse potrebbe non essere, o essere attenuato; sarebbe sufficiente, credo, accogliere accogliendo.
Avrebbe potuto non essere, almeno, nella dimensione numerica che ha conosciuto quella notte; frutto, certo, non di un unico disegno, è difficile pensarlo, ma piuttosto di una comune situazione che intreccia disorientamento fraintendimento delusione rabbia, e prepotenza certo. Non c’è “grande vecchio” né emiro dietro gli assembramenti, questa pare anche la conclusione delle indagini di polizia: piuttosto l’irrompere di una urgente uguale esigenza sgangherata di presenza comune a molti, poi fenomeni di emulazione (supportati anche dai nuovi strumenti della comunicazione), tra soggetti che condividono la condizione di presenza/assenza a cui li vincoliamo.
Non certo intenzionale attacco alla nostra cultura: quei corpi verosimilmente se ne fottono della nostra e della loro cultura. Semmai, credo, giovanile malintesa e violenta intenzione di prender parte alla festa, tutta pagana e occidentale, del capodanno alla quale non erano invitati. Chissà se e quanto resa più urgente da spirito gregario e dall’alcool. Caduta nella trappola di voler somigliare a noi, gli Europei, come opzione emancipatoria, toccare il corpo della donna bianca in un gioco di reciproco travisamento e reificazione come prova di un traguardo, magari solo per un attimo, raggiunto (Fanon). O forse, in qualche caso, è stato solo che nessuno si è preso prima la briga di spiegar loro che il grande bazar e pornoshop che a un giovane che viene dal terzo mondo povero e spesso teocratico e bacchettone devono sembrare certe aree del centro luminescente di una metropoli europea, più alcoolizzate del solito quella notte, ha però limiti e regole, banalmente. Corpi emersi con infinita sofferenza e fatica dai luoghi della guerra e della miseria, così, si sono manifestati con le modalità che là hanno, sulla propria pelle, imparato: prepotenza. Occorrerebbe mettere subito in campo strumenti per governare il conflitto, attutire l’urto dei corpi, perché episodici cortocircuiti come questo non ritornino a essere e questo è nelle nostre possibilità: siamo parte della parte ricca del mondo. Scegliere di non farlo significherà prima o poi che qualcuno prenda lui l’iniziativa e cominci a rispondere all’ingiustizia generata dall’ingiustizia, con nuova ingiustizia in una spirale insensata. E questo, sparuti gruppi lo hanno messo già in atto: si legge di generici pestaggi di migranti per vendicare la notte di Colonia, l’onore delle donne, le “proprie” donne.
Conferma che la madre degli idioti non ha mai difficoltà a restare incinta: che parli arabo o tedesco, è lo stesso. E’ stata solo qualche minoranza, certo, ma attenzione: conosciamo quelle minoranze dai racconti dei nonni. Sono quelli dalla risposta facile, semplice, sempre a portata: “ME NE FREGO!”
Sappiamo del pericolo che rappresentano quando l’incapacità di governo democratico efficace lascia spazio per loro. Anche allora si trattava di gestire gli effetti della guerra e, in Germania, anche le conseguenze della crisi. Li conosciamo: cominciano da loro, ma non hanno intenzione di fermarsi.
Anche allora avevano cominciato dai comunisti socialdemocratici sindacalisti, poi disabili ebrei zingari slavi e via via fino a lambirci, raggiungerci. I versi del pastore Martin Niemöller rimaneggiati e resi celebri da Brecht dovrebbero risuonare a ammonimento: si comincia sempre da qualcuno perché nessuno possa poi sentirsi sicuro. Attenzione: la storia ci insegna che l’Europa può generare mostri. Altro che civiltà superiore! Può ritornare a generarli, vecchi fantasmi (altri fantasmi), possono ritornare seducenti. Meglio svegliarci adesso, credo, urgente svegliarci; non si intravede niente di buono all’orizzonte. Meglio scegliere subito la strada opposta e intraprenderla con determinazione, perché a lungo fermi non sarà possibile stare.
Prima di tutto per loro, perché la terra promessa dell’Europa non sia peggiore dell’inferno alle spalle. Perché disperazione non segua a disperazione. Sarebbe spaventoso. Ma subito dopo anche per noi. In quella prima notte dell’anno e negli episodi di rappresaglia e rigurgito razzista che subito le hanno fatto seguito c’è un duplice segnale di allarme.
E’ una pessima china: lo svilimento del valore dell’altro è lo svilimento del valore di tutti. Inevitabilmente anche del proprio. Potrebbero pagarlo caro loro, anche quelli che non c’entrano, anche quelli che c’interpellano tendendo semplicemente la mano nel gesto della pietà o neanche quello, e non si sono mai sognati di pretendere in modo prepotente; potremmo pagarlo molto caro anche noi. I titoli dei giornali della destra lasciano sconsolati per i toni puerili egocentrici irresponsabili, infinitamente inadeguati alla complessità delle questioni; quelli dei giornali del centrosinistra suonano spesso esitante balbettio e non sembrano capaci di porre le questioni con la chiarezza e determinazione necessarie.
Di operare una scelta decisa di direzione, anche a costo di suonare minoritari, impopolari, ben poco moderni infondo e forse anche un po’ ingenuamente papisti, oggi: dobbiamo fare posto ad altri, al mondo. Dobbiamo rassegnarci, credo: bisogna fare posto, stringerci per far posto. Il problema ha radici antiche: sono più di cinquecento anni che l’Europa rapina il mondo.
Hanno portato qui i propri corpi, loro, quelli dei loro bambini superando infiniti pericoli apposta per farsi vedere da noi che non li vedevamo. Per farsi corpi materiali, visibili e tangibili, qui.
Per sfidarci, infondo, all’invenzione collettiva di una nuova Europa in cui non ci siamo più noi e loro: ci siamo solo noi, noi di più.
Un’Europa capace di scegliere, tra i due valori contraddittori dei quali la sua storia è imbevuta, con decisione la égaliberté (Balibar) e non la rapina.
Anche al prezzo di sacrifici, certo. Credo che la pace, la pace nella notte di Colonia e anche altrove, li valga.
Poter festeggiare capodanno senza che qualcuno ci guardi da fuori la vetrina, non invitato; e l’imbarazzo ci guasti la festa o il timore che qualcuno all’improvviso quella vetrina provi a romperla prepotentemente violentemente certo sbagliando, anche.
Otterremmo anche di poter guardare l’altro, incontrandolo nelle strade del centro, senza accelerare il passo per sfuggirne lo sguardo.
Con la coscienza più tranquilla; e anche questo, forse, può valere quel prezzo.

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Commenti

Una bella narrazione. Tante cose apprezzabili.
Il "sapore" di fondo rimane una denuncia all'ignavia, stoltezza e miopia dell'Europa e in genere dell'occidente.
Forse siamo di fronte ad una realtà nuova che non trova più risposte con le vecchie categorie di solidarietà, uguaglianza, giustizia, fratellanza...
Ciò che la civiltà ha acquisito non si può buttare a mare si dice da una parte e non si può correre solo dietro all'interesse del capitale e dell'economia della ricchezza, si risponde dall'altra.
Tutti siamo compresi in ciò che accade e per farlo accadere in modo diverso occorre che tutti partecipiamo.
La soluzione può venire da un dialogo che coinvolga tutti. E' necessario trovare nuove vie, nuove organizzazioni, nuove regole di convivenza... quelle del passato non sono più capaci a gestire questa complessità.
Quindi più che trovare le colpe della situazione presente occorre elaborare insieme soluzioni nuove.

Ringrazio senz'altro per quello che mi pare l'espressione di un sentire comune in merito a incertezze, difficoltà, timori, sentimenti di insufficienza e inadeguatezza e... speranze, che mi ha confortato e credo sia diffuso. Alle considerazioni che abbiamo insieme svolto a partire dai fatti di Colonia - fatti meno violenti di tanti altri di questi giorni, ma credo a loro modo emblematici - si sono aggiunte le cifre della disuglianze che, per un giorno, martedì 19 hanno riempito i quotidiani. 62 = 3.600.000.000 non può, è evidente, essere la proporzione in cui può continuare a essere organizzata la vita umana sulla terra. Quando e come le cose cambieranno è difficile immaginare, credo, ma che sia necessario mi pare tanto evidente da lasciare allibiti. Io credo che sia difficile oggi dire se parole come uguaglianza, solidarietà, fratellanza debbano lasciare spazio a concetti e sentimenti nuovi, o piuttosto non sarà necessario rivisitarli nel nuovo modo in cui oggi si presentano, e collocare al centro della Storia ciò che finora ne ha abitato soprattutto gli interstizi; consentire a tanti boccioli che è stato possibile cogliere qua e là di germogliare e dar frutti.Né sappiamo se perché questo accada il dialogo potrà essere sufficiente, o non sarà necessario mettere in conto anche qualche conflitto, che ci auguriamo sia non troppo duro. Leggo nelle sue parole, e la ringrazio, la condivisione di una speranza che le cose cambino; che cambino in fretta; che cambino in meglio; che il cambiare delle cose non abbia - come spesso è accaduto nella Storia - costi in termini di sofferenza e in dolore troppo alti. Convengo che non sarebbe, probabilmente, una buona premessa.


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