Negli anni ’90, come Consultorio Giovani “OPEN G” dell’Ausl di Reggio Emilia e come “Gancio Originale” avevamo avviato un insieme di seminari sul rapporto fra tirocinanti psicologi e tutor, fra giovani volontari e tutor.
Ripropongo qui – in occasione dell’avvicendamento alla direzione dell’ "APS Amici di Gancio Originale” – un testo che ebbi modo di scrivere in quegli anni sul tema dell’accompagnamento, all’interno del quale si cerca di porre in evidenza quello che a mio avviso rimane uno degli elementi più originali dell’esperienza ormai venticinquennale di Gancio. Che non è la peer education, né il peer (for) counselling, che pure sono compresenti nel nostro operare. Ma quell’intreccio di scambi reciproci che coinvolgono più generazioni e più coorti della stessa generazione, giovani volontari, tirocinanti psicologi e tutor più o meno ‘maturi’, al quale abbiamo voluto dare il nome di “accompagnamento”. (Febbraio 2016)
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Vi è più un elemento che accomuna i giovani volontari ai giovani tirocinanti che cominciano a svolgere la loro opera nei mestieri della cura:
-entrambi svolgono un lavoro non remunerato;
-entrambi svolgono un doppio lavoro: sugli altri, cioè su coloro che hanno bisogno di cure, ma anche su se stessi: sul flusso di emozioni e di sentimenti che nascono nella cura, sulle trasformazioni che lungo questo operare avviene dentro ciascuno di loro;
-entrambi quindi svolgono un lavoro non remunerato che richiede un accompagnamento, se non si vuole che il giovane sia travolto dalla cura;
-entrambi hanno bisogno che il loro operare avvenga in contenitori che, prima ancora del loro disporsi verso la cura si attualizzi risultino adatti a loro o siano stati attivamente adattati alle disposizioni personali di ciascuno di loro da altri, più adulti e più competenti;
-entrambi devono potere vivere questa esperienza come un passaggio, o meglio come un momento del loro passaggio all’età adulta, e quindi devono sentirsi sospinti ad andare oltre, a non rimanere lì, e soprattutto devono sentirsi liberi di trans-ire non oppressi dalla colpa e dal ricatto;
-entrambi in definitiva, se le cose funzionano sufficientemente bene nei luoghi in cui si spendono sul piano della cura, devono venire a trovarsi in una situazione in cui una serie di elementi che indicano il percorso verso l’età adulta siano presenti e siano ad essi proposti con un certo tasso di cerimonializzazione da sacerdoti del passaggio in grado di aiutarli lungo questo per noi lunghissimo percorso con tutta la discrezione e la cautela che quest’età richiede agli adulti che accompagnano i giovani, i cosiddetti tutor.
L’esperienza dell’accompagnamento: due tipi di tutor
Nelle esperienze di tirocinio che sono svolte in concomitanza con altri momenti formativi svolti in aula (cioè in concomitanza delle “lezioni”) nella pratica pedagogica anche da noi si vanno evidenziando due figure preposte all’accompagnamento: il tutor d’aula (o tutor istituente) e il tutor di tirocinio.
Il tutor istituente cura il reperimento delle sedi di tirocinio, l’adattamento di questi luoghi alle esigenze dei prossimi tirocinanti, l’individuazione dei tutor di tirocinio, l’analisi delle propensioni individuali di modo che sia possibile fare dei buoni abbinamenti, il rapporto con i docenti d’aula, l’ascolto in itinere dei tirocinanti circa le difficoltà che incontrano durante il tirocinio, la gestione della valutazione finale del tirocinio effettuato.
Il tutor di tirocinio invece, attraverso gli strumenti pedagogici dell’esempio e del precettorato, più che con la lezione frontale, mostra al tirocinante, cerca di far passare in lui le competenze necessarie affinché impari a operare, e con la sua osservazione partecipe esprime delle valutazioni sull’operato del tirocinante a lui assegnato.
Ora, mentre nel caso si Gancio Originale la giustapposizione fra tutor di tirocinio e tutor istituente esiste ed è incardinata all’interno di una piccola, ma per noi importante “tradizione” e di un percorso standardizzato nel tempo, nel caso del tirocinante psicologo le cose non stanno affatto così. Nel caso del tirocinio dei giovani psicologi infatti – come sappiamo – da una parte esiste il tutor di tirocinio, dall’altra tutto il lavoro istituente del luogo in cui il tirocinio deve avvenire come luogo adatto a quel tirocinio e a quel tirocinante semplicemente non esiste! Così come non esiste alcuna verifica della autenticità e della profondità del lavoro fatto durante il tirocinio e, com’è ovvio data la stessa collocazione post lauream, alcun raccordo con la teoria.
Il ‘prima’ dell’accompagnamento: predisporre dei contenitori adatti al giovane volontario e al giovane tirocinante psicologo
In base all’esperienza di Gancio Originale il lavoro di predisposizione di contenitori al lavoro del giovane volontario devono avere le seguenti caratteristiche:
-la liminalità di questi luoghi di cura, il loro essere al riparo dallo sguardo adulto, come dicevamo prima, in modo da predisporre un terreno nel quale sia garantita una operosità discreta;
-la delimitazione di un tempo per l’impegno che non sia molto intenso e che non sia sovraccaricato di significati esterni a quelli che hanno spinto il giovane ad impegnarsi;
la tutela del giovane volontario da parte di altri giovani solo un poco più esperti, di modo che la responsabilità risulti diffusa e non concentrata in mani adulte che di fatto esautorerebbero il giovane, lo ricondurrebbero a figlio o allievo;
-la predisposizione del luogo di apprendimento scolastico, ma come ‘luogo di restaurazione’: questo risulta di difficile comprensione non per i nostri volontari, ma per quegli spezzoni di scuola che non vivono un rapporto diretto con Gancio, ma si limitano ad inviarvi i bambini i ragazzi in difficoltà poiché vivono questi luoghi come una sorta di doposcuola;
-la cura degli aspetti teorico-pratici che sono alla base dell’esperienza attraverso le predisposizione di momenti formativi (cicli di conferenze, seminari, atelier) che non partano dalla banalizzazione degli argomenti, ma al contrario da una seria riflessione sui significati intrinseci delle cose;
-la cura per gli aspetti relativi ai movimenti che il volontario deve compiere per giungere nei luoghi della cura: non dimentichiamo che si tratta di giovanissimi che spesso non sono pienamente autonomi sul piano degli spostamenti in città;
e, cosa più importante di tutte, l’estrema cura nel definire gli abbinamenti, nel favorire i primi approcci, nel mantenere il rapporto con gli operatori della sanità e della scuola.
Nel caso del tirocinante psicologo invece, a mio avviso, le caratteristiche che devono avere i luoghi del tirocinio prima che in essi arrivino i tirocinanti sono le seguenti:
-la predisposizione da parte delle università e dei luoghi di tirocinio con esse convenzionati di tutor istituenti in grado di svolgere non solo il lavoro di predisposizione dei luoghi di tirocinio, ma anche – come vedremo- molte altre funzioni “cornice”;
-la formazione dei questi tutor e dei turo di tirocinio che concretamente accompagneranno il giovane psicologo, a partire dal presupposto che il mestiere di psicologo e quello del tutor sono diversi e che non è detto che essere un bravo psicologo significa ispo facto essere un bravo tutor e viceversa;
-la propensione del tutor di tirocinio a prendersi cura dei problemi inerenti la professione e del tutor istituente dei problemi personali del giovane tirocinante 8ansie, angosce, idiosincrasie, dipendenze, etc.);
-l’istituzione, in raccordo con l’università, di momenti di verifica del lavoro svolto durante il tirocinio, anche in direzione dell’orientamento post lauream;
la predisposizione di momenti di raccordo fra tutor di tirocinio e tutor istituenti;
Meglio, molto meglio sarebbe in ogni caso se il tirocinio fosse in itinere, così come avviene in scienze della formazione, poiché questa collocazione lo incardinerebbe con maggiori garanzie all’interno del corso di studi accademici.
Il ‘durante’ dell’accompagnamento, ovvero: accompagnamento e discrezione
Nella pratica in Gancio Originale è difficile che i più anziani fra noi si relazionino direttamente con i volontari.
In effetti ciò che accade è una specie di catena dell’accompagnamento in cui il ragazzo a rischio è in relazione diretta con un volontario, che a sua volta è guidato da un giovane tirocinante dell’ultima generazione, che ha agganci con altri giovani tirocinanti della penultima generazione, che sono guidati a loro volta da giovani psicologhe borsiste, che si relazionano con i più anziani in luoghi istituzionali del tipo: supervisione, o del tipo: verifica e ri\programmazione.
Luoghi di relazione più diretta fra i più anziani e i giovani sono: il reclutamento, il counselling individuale ad opera dei tutor istituenti, che avviene solo su richiesta dei giovani volontari, e la formazione, che viene definita in un rapporto dialettico fra esigenze espresse dai giovani e proposte che intuitivamente il gruppo dei più anziani fa di tanto in tanto.
In questo modo viene tutelato il fare nella sua parte più nucleare e frontale, che non è direttamente sotto lo sguardo adulto e perciò può diventare il luogo di proposizione e di sperimentazione della cura, e soprattutto del nuovo che ci può essere nella cura che giovani prestano ad altri giovani, di quegli elementi di creatività, di informalità, di intimità, di scambio che solo la scarsa distanza generazionale può far nascere e che uno sguardo adulto potrebbe velocissimamente guastare.
Ciò è tanto vero che da qualche anno assistiamo al fenomeno di giovanissimi che hanno partecipato ai workshop e che alla fine desiderano continuare svolgendo per qualche tempo funzioni di assistenti volontari nella cura di cui fino all’anno precedente erano stati oggetto.
Nel caso del rapporto fra giovane tirocinante e tutor di tirocinio, invece, l’accompagnamento avviene in termini diversi.
La definizione del tirocinio come percorso professionalizzante impone un rapporto più ravvicinato in cui le competenze passano da una generazione all’altra degli psicologi attraverso l’esempio (rallento ad arte per farti comprendere) e il precettorato (ti racconto ciò che prae-cipio, rispetto a te, in base alla mia esperienza). Ma l’arricchimento è reciproco e – se le cose vanno sufficientemente bene – risulta possibile innescare i presupposti del raccordo intergenerazionale fra psicologi, che consiste da una parte nell’inserire il neofita della tradizione professionale, dall’altra nel dare al più anziano dei due la possibilità di mantenersi in una posizione di relazione e di scambio.
La fase finale dell’accompagnamento, ovvero: mangiare lo stesso pane e separarsi
Accompagnare significa mangiare lo stesso pane.
E l’atto del mangiare lo stesso pane rimanda all’immagine di un desco comune intorno al quale tutti mangiano lo stesso pane: insomma all’immagine di appartenenza ad una stessa famiglia.
Anche in una famiglia però la generazione dei genitori, ad un certo punto, deve prendere atto che i figli crescono a vanno oltre i genitori stessi: abbandonano il desco familiare e pongono le basi per costruirsene uno proprio.
Questa tendenza ad abbandonare il desco ed andare oltre è presente nella fase finale del rapporto fra tutor e tirocinante, ed è ancora più accentuato nei luoghi del volontariato giovanile. Non per niente ci è venuta in mente l’ascia di Washington quando abbiamo compreso la circoscrizione nel tempo di questo rapporto.
L’ascia di Washington è ancora oggi presente in bella mostra in quella che fu più di 200 anni fa l’azienda agricola del primo presidente degli USA, anche se nel frattempo le sono stati cambiati sei volte il manico e due volte il ferro. Allo stesso modo i tutor che rimangono lì a svolgere la propria funzione per i nuovi arrivati mentre i giovani tirocinanti, terminato il loro lavoro con noi se ne vanno per la propria strada ed “aprono bottega per conto proprio”, con il oro rimanere lì testimoniano il permanere della necessità dell’accompagnamento per i nuovi arrivati, la necessità che i percorsi siano permanentemente ridefiniti sia in base alle mutate esigenze dei neofiti, sia in base alla riflessione e al confronto fra tutor.
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