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Febbraio 2016 II – Da Marilyn a Tarantino passando per Freud, l’arte, la politica

25 Feb 16

A cura di luca.ribolini

L’ALTRA FACCIA DI MARILYN: «EMOTIVAMENTE INSTABILE E PARANOIDE»

di Carla Massi, ilmessaggero.it, 9 febbraio 2016
 
Anna Freud, nel 1956 a Londra, scrisse questo di lei dopo la visita: «Emotivamente instabile, fortemente impulsiva, bisognosa di continue approvazioni da parte del mondo esterno; non sopporta la solitudine, tende a deprimersi davanti ai rifiuti; paranoide con tratti schizofrenici». Marilyn Monroe, trentenne, era in Gran Bretagna a girare il film “Il principe e la ballerina” con Laurence Olivier. Si sentì male. Non riusciva a concentrarsi, ogni giorno arrivava più tardi sul set, si bloccava davanti alla macchina da presa. Con Arthur Miller, allora suo fidanzato, erano scontri e tragedie.
Un clima così ingestibile portò gli psichiatri che seguivano l’attrice negli Stati Uniti a chiedere aiuto alla figlia del grande maestro, Anna Freud. Diventata, con gli anni, supervisore degli psicoanalisti dell’attrice. Gli “scrutatori della mente” accompagnarono la vita di Marilyn da quando era piccola. Fin da quando, a otto anni, andava a trovare sua madre Gladys internata in vari ospedali psichiatrici. Anche Della, la nonna di Marilyn, era morta in un istituto per malattie mentali. Norma Jeane, vero nome di Marilyn, riuscì, per un soffio, a salvarsi dal tentativo dell’anziana di soffocarla con un cuscino. Un maledetto destino.
 
Segue qui:
http://www.ilmessaggero.it/pay/edicola/marilyn_emotivamente_instabile_paranoide-1540713.html
 
 

UN FIGLIO NON È UN DIRITTO, LO DICEVA PURE GRAMSCI. Uno dei riferimenti della sinistra difendeva la famiglia. Ma oggi sono tutti fanatici pro-gay

di Diego Fusaro, lettera43.it, 9 febbraio 2016
 
Dalle pagine del Corriere della sera lo studioso gramsciano Giuseppe Vacca, tra i massimi esperti mondiali del pensiero di Gramsci, con alle spalle una lunga militanza nel Partito comunista italiano e nelle sue successive declinazioni, ha preso posizione in difesa della famiglia, contro le oggi in voga tendenze alla sua destrutturazione capitalistica. Ha espresso con rigore e fermezza la sua posizione, da un punto di vista che mi pare del tutto coerente con Marx e con Gramsci, certo non con l’odierna Armata Brancaleone delle sinistre passate armi e bagagli dalla parte del Capitale. Del resto, se la sinistra smette di interessarsi a Gramsci, occorre smettere di interessarsi alla sinistra.
NON TUTTO È LIBERTÀ. Così ha rilevato Vacca: «Come si fa a dire, per esempio, che avere un figlio è un diritto? Come si può pensare di declinare tutto nella chiave della libertà individuale, come se ciò che accade prescindesse dal modo in cui si compongono le volontà e le coscienze dei gruppi umani?». Da sottoscrivere in ogni parola. Si tratta di un discorso che, ovviamente, il politicamente corretto silenzierà come omofobo: dove «omofobo» deve oggi intendersi tutto ciò che non è in linea con le direttive del movimento Lgbt (Lesbiche, gay, bisessuali e transgender). Dietro l’idea di sconfiggere l’omofobia si nasconde allora il segreto desiderio di sconfiggere ogni pensiero non allineato, imponendo un’ortodossia neo-orwelliana su cui non è lecito dissentire.
 
Segue qui:
http://www.lettera43.it/firme/un-figlio-non-e-un-diritto-lo-diceva-pure-gramsci_43675233553.htm
 

LO PSICOLOGO: “IL SESSO DEI GENITORI? IRRILEVANTE. L’IDEA DI COPPIE GAY CON FIGLI È ANCORA UN TABÙ”. Mentre prosegue il dibattito sulla stepchild adoption, Antonino Ferro, presidente della Società psicoanalitica italiana, spiega che, in realtà, “la buona crescita di un bambino non dipende dal sesso dei genitori. Il problema è che il cambiamento ci terrorizza per questo persiste una forma di apartheid verso gli omosessuali”
di Susanna Turco, espresso.repubblica.it, 9 febbraio 2016
 
La politica che affronta le unioni civili ci si contorce sopra, i contrari alla stepchild adoption sparano tutte le loro cartucce, il fronte teocon attacca persino l’ospitata sanremese di Elton John, paventando addirittura che essa – invece che in canzoni – si risolva in “una pubblicità sull’utero in affitto”. Ma il curioso è che, se si chiede lume ai tecnici, agli esperti, a chi tutti i giorni si confronta con le spine della psiche, il problema della “tutela dei bambini” nelle coppie omossessuali viene azzerato di colpo. Cambia completamente faccia. “Che i genitori siano omo o etero non rileva: il loro sesso biologico è un elemento assolutamente inessenziale, per la buona crescita di un bambino”, spiega Antonino Ferro, psichiatra, psicologo, presidente della Società psicoanalitica italiana, libri tradotti in dieci lingue. Il problema, spiega, nasce da tutta un’altra parte: dal fatto che “si fatica ad accettare il cambiamento, la novità che ci siano genitori dello stesso sesso”. Così, mentre la politica annaspa sul ddl Cirinnà aggrappandosi alla libertà di coscienza, Ferro traccia a titolo personale una traiettoria problematica completamente diversa. Con una conclusione: “Una legge che istituisca le unioni civili, consentendo l’adozione interna alla coppia, porterebbe a una normalizzazione di quei legami: e questo avrebbe risvolti positivi, anche per i figli di quelle coppie”.
Professore, cominciamo dalla domanda di fondo: ci sono differenze tra genitori omo ed etero?
“Il sesso biologico dei genitori è un elemento assolutamente inessenziale. Più che l’essere uomo o donna, quello che conta in una coppia genitoriale è l’attitudine mentale, la capacità di svolgere le funzioni paterne (la legge, l’ordine) e materne (l’accoglienza, l’affettuosità). Se una coppia funziona in una maniera mentalmente eterosessuale, se al suo interno c’è chi svolge la funzione materna e chi quella paterna, non vedo alcuna differenza che riguardi il sesso biologico dei suoi componenti. Perché non è da quello che dipende l’equilibrio complessivo della coppia, e dunque la crescita del bambino”.
 
Segue qui:
http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/02/09/news/lo-psicologo-il-sesso-dei-genitori-irrilevante-l-idea-di-coppie-gay-con-figli-e-ancora-un-tabu-1.249479
 

L’OMOGENITORIALITÀ E LA SUA DOMANDA

di Eugenia Scabini, medicinaepersona.org, 10 febbraio 2016
 
L’acceso dibattito sul tema della filiazione per le coppie dello stesso sesso, per la sua valenza altamente emotiva, si presta ad affermazioni di stampo ideologico e rende difficile invece l’emergere di interrogativi che aiutino davvero a riflettere, cosa quanto mai necessaria per una questione la cui importanza non può sfuggire a nessuno. Una di queste è l’affermazione fatta propria anche dall’American Psychological Association (Patterson, 2005) che le ricerche psicosociali dimostrerebbero unanimemente non esservi alcuna differenza nello sviluppo dei bambini nati e cresciuti da coppie dello stesso sesso rispetto ai figli di coppie eterosessuali. La perentorietà di questa affermazione è già sospetta perché, come sa un buon ricercatore, le ricerche (specie nel campo della psicologia) mentre portano conferme, ne dichiarano i limiti e aprono a nuove domande. E in questo caso, come ha ben rilevato Loren Marks (2012), i limiti metodologici sono particolarmente consistenti: i campioni sono prevalentemente di comodo, composti da membri militanti di organizzazioni omosessuali, quasi inesistenti le ricerche longitudinali, l’età dei figli raramente raggiunge la giovinezza, età in cui emerge con più evidenza il tema identitario. Per non parlare poi di domande del tipo “cosa si intende per benessere del bambino?”, “come si misura?”. Perciò è d’obbligo assumere un atteggiamento di cautela nella generalizzazione di questi risultati (Cigoli e Scabini, 2013), visto peraltro che altre ricerche con campioni rappresentativi (Regnerus, 2012; Sullins, 2015) danno un panorama meno confortante sullo stato di “salute” di tali figli.
Ma oltre a ciò vale la pena di porsi un interrogativo che raramente è posto. Perché mai far dipendere una così radicale messa in discussione della famiglia e della filiazione dai risultati di ricerche che, per loro natura, ci danno informazioni parziali e richiedono ulteriori approfondimenti? Se ci volgiamo poi all’esperienza clinica il panorama si fa altrettanto confuso. Soprattutto per quanto riguarda l’apporto della psicoanalisi si fa avanti prepotente la tendenza a liquidare frettolosamente le vicissitudini identitarie legate alla costellazione edipica che per decenni sono state portate a supporto dell’importanza, per lo sviluppo del bambino, di potersi identificare col padre e con la madre. Il corporeo, segnato dalla differenza sessuale, viene invece da alcuni autori che si rifanno alla psicoanalisi (Lingiardi e Carone, 2013) annullato e assorbito dal mentale (in linea con le posizioni più radicali delle teorie del gender) e l’essenza della genitorialità viene identificata nella qualità della relazione tra i partner, indipendentemente dalla combinazione sessuale della coppia.
 
Segue qui:
http://www.medicinaepersona.org/cm/rassegna.jhtml?param1_1=N152ccb160b062117b53&param2_1=N152ccb160b062117b53
 

VIVA LA REGINA. Un sogno che sembra un incubo, e la poligamia che confonde le acque del matrimonio tra uomini
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 10 febbraio 2016
 
In America i mormoni scismatici si stanno mobilitando per esaudire un fervente desiderio, la poligamia, ampiamente praticata dal fondatore. Sulla scia del trionfo dei gay, i gruppi più volitivi di mormoni hanno strappato ai giudici laute promesse, sicché è prevedibile che in un prossimo futuro al matrimonio omosex si abbinerà quello poligamico. Anche in Italia la poligamia è possibile, possibilissima, a portata di mano, basta una votazione in Parlamento. A chi sostiene che la poligamia va contro i diritti e l’onore delle donne è facile obiettare che non siamo in oriente e qui da noi le donne saranno libere di sposarsi con due, cinque, dieci uomini, o donne. Confesso che fino a qualche giorno fa ero piuttosto favorevole a questa iniziativa, mentre trovo pessima l’idea che gli uomini si sposino tra di loro; senza una donna accanto c’è il rischio, se non la certezza, che essendo imbecilli di natura, gli uomini, per di più raddoppiati, peggiorino ulteriormente, mentre due o tre mogli tenere e toste li terrebbero a bada. Ero quindi favorevole all’eteropoligamia, fino a quando il sogno di un mio paziente, un attempato rubacuori, mi ha fatto cambiare idea. Eccolo, il sogno.
“Me ne sto nel letto con Paola e Lucia, e fin qui, professore, niente di speciale, solo che… tutti e tre portiamo al dito lo stesso anello d’oro con la stessa data. La stessa data in cui ho sposato la mia vera moglie, Gigliola, capisce!?”. Ma sì che capisco, questa idea dei pazienti di pensare gli psic sempre un po’ idioti, è seccante. “Dunque, professore, siamo tutti e tre sposati uno con l’altra, o con l’altro, insomma, per essere chiari, io sono sposato con Paola e Lucia e loro sono sposate tra di loro e si vogliono bene almeno quanto ne vogliono a me, capisce?”. Capisco, capisco. “Dunque, professore, io e le ragazze ci abbandoniamo a dolci effusioni quando, senza nemmeno bussare, entra nella stanza un bel tipo sui trent’anni. Trent’anni, capisce. Capisce?”. Fanculo. “Mi spiega Paola: ‘Lui è Antonio, vogliamo sposarlo’. Come dire di no? M’inteneriscono le due ragazze, la loro maldestra giovinezza, insomma temo che fuggano con lui, ha capito? Ma sì che ha capito, lei capisce tutto, ma anch’io ho capito!”. Fuori di sé il vecchio satiro fa per alzarsi dalla chaise longue ma lo acchiappo per le spalle e lo schiaccio giù.
 
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/02/10/viva-la-regina___1-vr-138065-rubriche_c382.htm
 

LA MAGIA DEL FESTIVAL. Sanremo può aiutare, ma solo nella misura in cui non sia un affidarsi al miraggio che si manifesta: quello che conta è recuperare i sogni, non illusioni

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 12 febbraio 2016
 
Ci risiamo, la magia del festival di Sanremo fa il consueto miracolo: incolla una marea di persone davanti alla scatola magica presente in ogni casa. Il fenomeno puntualmente si ripete. Una sorta di incantesimo che, come nelle migliori favole, terrà estasiati davanti al video grandi e piccoli. Che la musica faccia bene, lo sappiamo tutti. Che queste manifestazioni così popolari e famose servano per attrarre e distratte, pure lo sappiamo. In tempi come questi di crisi e di confusione dei linguaggi il Festival di San Remo infatti è una sorta di metafora della leggerezza. È una specie di drammatizzazione collettiva dove si mette in scena non solo lo spettacolo, sempre luccicante e frivolo, ma soprattutto la spensieratezza e la distrazione.
 
Segue qui:
http://www.ladigetto.it/permalink/51410.html

WILHELM SCHMID E L’ARTE DI RIPENSARE IL PIACERE. Oggi il culto dell’orgasmo ha un’importanza quasi isterica: ma cosa succede se l’attività erotica si spegne? Ci aiuta la filosofia

di Diego Fusaro, lastampa.it, 13 febbraio 2016
 
Il nuovo libro di Wilhelm Schmid merita di essere letto e meditato, non foss’altro che per l’argomento di cui si occupa in chiave critica: quel sesso che per noi, stanchi abitatori della postmodernità, è divenuto un tema ubiquitario e invasivo, a tal punto da saturare, oltre allo spazio mediatico, quello delle vite private e delle relazioni pubbliche.  In effetti, tipico dell’epoca dell’«amore liquido» e del legame sociale interrotto è il fatto che l’erotismo deregolamentato in forma neolibertina cessa di essere alleato con la riproduzione e con l’amore. Per la prima volta, diventa indipendente, egoistico e fine a se stesso, rigettando preventivamente ogni responsabilità per i suoi effetti collaterali. Il sesso guadagna, così, uno statuto autonomo, slegandosi dalle dimensioni a cui un tempo si accompagnava e di cui era, per così dire, degno completamento.  Legame solido ed «eticizzato», l’amore familiare viene sempre più sostituito dall’amore liquido e postmoderno. Quest’ultimo – coerente espressione sentimentale del contratto a termine in ambito professionale – intende cinicamente ogni legame come a tempo determinato; cioè come sempre pronto, in analogia con la sfera della circolazione, a essere sostituito da un nuovo legame a termine.
La norma del capitalismo assoluto, in virtù della quale tutto è possibile purché si disponga dell’equivalente monetario corrispondente, tende a invadere anche l’ambito delle relazioni sentimentali. Ecco allora che la possibilità di fare illimitatamente ogni esperienza si traduce in un nuovo imperativo categorico: prescrive la trasgressione permanente e la violazione gaudente di ogni limite, nella rivendicata ridicolizzazione dell’«obsoleto» legame familiare centrato sulla stabilità etica e sulla fedeltà al medesimo.  Lacan sosteneva che la formula magica dell’amore è in quella parola encorein cui si condensa la fedeltà al medesimo, la «scelta» – diremmo con Kierkegaard – sempre rinnovata per un sentimento che cresce mentre si consuma.
 
Segue qui:
https://www.lastampa.it/2016/02/13/cultura/tuttolibri/wilhelm-schmid-e-larte-di-ripensare-il-piacere-1WWyknmmrOSitgLeossLII/pagina.html

LA MORALE DELL’AMORALE. MEGLIO SAMUEL L. JACKSON DI DI CAPRIO

di Pietro Barbetta, doppiozero.com, 15 febbraio 2016
 
Sono appena usciti due western molto simili tra loro in termini di fotografia, effetti tecnologici, paesaggi, suoni. Insomma: in termini cinematografici. Benché The Hateful Eight, di Quentin Tarantino, privilegi gli interni e The Revenant di Alejandro González Iñárritu, gli esterni, i due film sembrano girati insieme. Visti uno dietro l’altro, a parte la breve passeggiata per cambiare sala, avete la sensazione di rimanere negli stessi luoghi, benché in epoca storica differente. Sul piano psicologico invece i due film sono opposti.
The Revenant racconta la storia di un eroe giusto, padre di un ragazzo “meticcio”. Un Leonardo Di Caprio che ha dismesso la sua espressione ambivalente, tipica dell’antieroe. Ci sono i francesi, alleati con una tribù indiana, e gli inglesi. I francesi sono arroganti e imbroglioni (vecchia storia tra puritani e libertini), gli indiani sono aggressivi perché imbrogliati dai francesi e gli inglesi siamo noi, il pubblico, che fin da subito entra a far parte del gruppo inglese. Ben presto lo schema si riproduce dentro il gruppo inglese. Se si legge la Morfologia della fiaba di Propp, ci si raccapezza meglio. C’è un antagonista che protesta continuamente con il capitano (il capo) per via del fatto che questi si fida dell’eroe. L’eroe non risponde alle provocazioni, il figlio “meticcio” (il buono) reagisce con l’antagonista e l’eroe lo rimprovera, lo invita a non dare sfogo alle passioni. L’escalation simmetrica tra l’eroe e l’antagonista inizia quando l’eroe, dato per morto, torna e sfida l’antagonista. L’eroe vince, anche se muore, e la scarica pulsionale trova consolazione nel fatto che Di Caprio è riuscito a castrare il fuori legge e la parte “al di là del principio di piacere” interna al soggetto che assiste al film.
Film pienamente edipico, secondo i canoni della psicologia dell’Io. L’eroe, nella morfologia del Western, non è buono, è giusto. Distinzione fondamentale e quasi mai colta pienamente. Suo figlio, che è “meticcio”, è buono e si lascia guidare dai sentimenti, l’eroe risponde solo all’inno kantiano: “Dovere! Nome sublime e grande, che non porti con te nulla di piacevole che comporti lusinga; ma esigi la sottomissione […] presenti semplicemente una legge che penetra da sé sola nell’animo e si procura venerazione”. Questa la vera natura dell’Western: fiaba puritana. Me ne resi conto solo quando, anni fa, rividi alcuni Western in lingua originale. Il doppiaggio, per quanto ben fatto, contiene un fattore implicito nella nostra lingua, un sentimentalismo che solo Sergio Leone era riuscito a evitare, grazie all’aiuto dello sguardo di Clint Eastwood. Lo sguardo tempera il linguaggio e Eastwood parlava un italiano molto asciutto, tra i denti. Il giusto e il buono per il Self americano, sono due cose linguisticamente distinte, cultura vuole che trionfi la giustizia, non la bontà o l’indulgenza. Un libro di Sacvan Bercovich, The Puritan Origins of the American Self, del 1975, lo spiega molto bene.
 
Segue qui:
http://www.doppiozero.com/rubriche/336/201602/la-morale-dell-amorale-meglio-samuel-l-jackson-di-di-caprio-0
 

CIRINNÀ: QUALI SONO I LIMITI DEL DESIDERIO FEMMINILE?

di Emma Fattorini, 27esimaora.corriere.it, 15 febbraio 2016
 
Inizia una settimana decisiva per il ddl Cirinnà che vede avvicinarsi il voto finale del Senato. La settimana scorsa avevamo ospitato una aperta lettera di Alessandra Bocchetti alla deputata Pd Emma Fattorini che risponde spiegando i suoi “no” da femminista
E così anche tu, cara Alessandra, hai creduto a questo ritratto che mi hanno cucito addosso di strega cattiva, che sacrifica i bambini, i bambini “in carne ed ossa”, all’altare della morale. Dimostrando, dici di non avere l’intelligenza del cuore. Di tutte le accuse è quella che ferisce di più. Che va nel profondo, come sanno tutti i tribunali delle coscienze. Prima di difendermi, ti chiederei la pazienza di leggere (lo so che sono pallose, le leggi sono fredde) con cuore aperto, alcuni degli innumerevoli, troppi, interventi che ho fatto, in aula, in rete, su tanti giornali, sono facili da trovare. Non fermarti alle versioni che polarizzano i buoni contro i cattivi lasciando pochissimo spazio a chi vuole ragionare.
E allora sono sicura che vedresti bene che la tutela dei bambini, i loro diritti è assoluta (come è naturale perché è dei bambini avere diritti e degli adulti avere dei doveri). Io non voglio togliere nessun diritto ai bambini. Questa accusa è feroce e, insieme molto triste, perché ancora una volta usa e strumentalizza i bambini. E, cara Alessandra, non credo assolutamente che tu lo voglia fare. Hai visto quale incattivimento, falsificazione, slittamento di piani, delegittimazione reciproca, e via elencando fino alla crudeltà e al trash, quale scadimento morale e intellettuale? Perché siamo arrivati a questo punto? Per tante ragioni ma non ultimo perché per troppo tempo la politica non ha saputo dare i giusti diritti.
Ma veniamo a noi. Nel mio piccolo, mi chiedo perché ci sia bisogno di raffigurarmi come strega cattiva. Quando ho cominciato a occuparmi di questa legge (il ddl Cirinnà, ndr) – nata male, cresciuta peggio e che ora rischia, se non ne abbiamo cura, se non si fanno mediazioni, che non le diano i numeri per farla passare,- l’ultima cosa che avrei pensato è che sarei diventata la strega. Ero, mossa, pensa un po’, solo dalla volontà di trovare un’intesa tra posizioni che sembravano sì un po’ diverse ma non così furiose, da mettere ora persino a rischio il risultato.
Certo che ricordo, e con nostalgia, le nostre giovinezze appassionate e onnipotenti al centro Virginia Woolf. Ricordo uno dei miei primi corsi, di cui parlammo insieme, cara Alessandra, proprio sul desiderio femminile, sulla mistica come desiderio smisurato, fusionale e mistico, sull’indefinito desiderante, sul crinale tra Teresa d’Avila e Lacan. Ci ripenso quando leggo, oggi, sotto l‘etichetta di nomi strani di desiderio diffuso, di desiderio senza un oggetto definito (ah! che direbbero Lacan e la Klein di allora !!).
Segue qui:
 
http://27esimaora.corriere.it/articolo/cirinna-quali-sono-i-limitidel-desiderio-femminile/
 

JEAN CLAIR: “SIAMO IN UNA GUERRA DI RELIGIONE PER LE IMMAGINI”. I sogni di Freud e di Leonardo, il sesso e i tabù, l’iconoclastia dell’Is. Parla il grande critico d’arte
di Benedetta Craveri, repubblica.it, 15 febbraio 2016
 
Celebre per le sue splendide mostre e per i suoi feroci pamphlet contro le imposture dell’avanguardia contemporanea, Jean Clair, non bisogna dimenticarlo, è anche un magnifico prosatore, un autentico virtuoso dello stile e della lingua, che intesse, libro dopo libro, la sua trama preziosa di ricordi, riflessioni, inquietudini.
Ne “La part de l’ange” – un’espressione francese che indica la parte dovuta al sacro – ora in uscita da Gallimard, lo scrittore ha scelto la forma del diario dove a scandire il succedersi dei giorni non sono tanto gli avvenimenti esterni quanto il dipanarsi di un pensiero analogico che, a partire dai valori dell’umanesimo, si interroga angosciosamente sul destino della civiltà occidentale.
Con un arte consumata della transizione e sul filo di una straordinaria erudizione, Jean Clair spazia dall’evocazione del mondo contadino della sua infanzia alla storia dell’arte, dal significato originario delle parole all’oblio dei valori che hanno connotato nei secoli la cultura europea. Il suo libro è innanzitutto una riflessione sul rapporto fra l’immagine “che si impone” e la parola che “ci libera dalla sua ipnosi”.
Come vive Jean Clair questa dialettica?
“”Guardare a lungo la quiete degli dei: ricompensa dopo il pensiero”. Non ho mai potuto leggere questo verso di Paul Valéry mentre contemplava il mare dall’alto del cimitero di Sète senza che evocasse un’immagine: dopo la parola e la fatica che la accompagna, l’immagine offre allo sguardo il riposo, il dono di un mondo divino ricomposto dopo la confusione delle parole umane. Per me l’opera d’arte è la ricompensa delle difficoltà del discorso. Permette di non pensare più”.
 
Segue qui:
http://www.repubblica.it/cultura/2016/02/15/news/jean_clair_siamo_in_una_guerra_di_religione_per_le_immagini_-133472553/
 

IL SESSO SECONDO KLIMT, SCHIELE E KOKOSCHKA. A VIENNA. Belvedere, Vienna – fino al 28 febbraio 2016. Un azzeccato rendez-vous fra tre maestri del secolo scorso, attorno a un argomento comune: il sesso. Tutta colpa dell’incontrollabile ascesa della libido. Come diceva un certo Freud…

di Franco Veremondi, artribune.com, 16 febbraio 2016
 
LA SCANDALOSA VIENNA
Da Josef Hoffmann ci siamo fatti costruire alcune case nelle quali artisti come Klimt, Josef Hoffmann e Anton Hanak ci facevano regolarmente visita. Klimt, mentre stava facendo il mio ritratto, dipingeva anche quello di nostra figlia Mäda”. A parlare in prima persona è Eugenia Butschek, moglie di un banchiere, ritratta a figura intera in un quadro di Klimt datato 1914. Grazie anche a questo contributo narrativo posto accanto alla sua grande effigie, Eugenia introduce e contestualizza in modo confidenziale il percorso della mostra Klimt, Schiele, Kokoschka e le donne, al Belvedere di Vienna. Dopo di lei altre donne, altri brevi racconti, altri grandi ritratti. Nonostante la veridicità dei singoli appunti, siamo nell’ambito di una finzione narrativa ideata dai curatori per portare la mostra a livello di affresco d’epoca in una Vienna dei primi due decenni del Novecento. Un periodo e una società che vivevano inconsapevolmente gli ultimi fuochi di un impero al centro dell’Europa, con la capitale che contava oltre due milioni di abitanti: un grande crocevia di culture in cui l’arte penetrava nel quotidiano, insieme ai suoi scandali, facendosi protagonista di una esaltante stagione di rinnovamenti sul filo dell’avanguardia.
KLIMT, SCHIELE, KOKOSCHKA E… FREUD
L’esposizione, con le sue 143 opere (dipinti, acquerelli, disegni, abbozzi vari), oltre a essere incentrata sull’insistita ripetizione di immagini femminili, spesso nude, tende a essere un singolare resoconto storico e culturale, portando in superficie le inquietudini profonde del labirinto psichico.
Segue qui:
http://www.artribune.com/2016/02/mostra-klimt-schiele-kokoschka-belvedere-vienna/

UTERO IN AFFITTO, I PROBLEMI PSICHICI PER IL BAMBINO E LA MADRE SURROGATA

di Luciano Casolari, ilfattoquotidiano.it, 16 febbraio 2016
Viste le numerose domande pervenute, ritorno sul post di dieci giorni orsono per ribadire e chiarire un parere come medico e psicoanalista rispetto alla pratica della così detta maternità surrogata o utero in affitto. In base alle attuali conoscenze in campo psicoanalitico e psichiatrico si tratta di una attività ad altissimo rischio per l’insorgenza di gravi patologie psichiatriche sia per la madre surrogata che per il bambino.
Per fare comprendere anche ai non addetti a queste scienze debbo spiegare sinteticamente come funziona al giorno d’oggi la ricerca in vari campi del sapere. Si parte da osservazioni che danno origine a teorie che vengono confrontate fra studiosi per trarre una prima legittimazione. Successivamente vengono ricercate delle prove che però non sempre saranno facili da trovare, soprattutto non univoche e concordanti ma derivanti da osservazioni che fanno ritenere attendibile l’ipotesi originale. Ad esempio in fisica è chiaro che nessuno chiederà di vedere o toccare un bosone o un neutrino ma ci si accontenterà di prove che, partendo dall’ipotesi della loro esistenza, convalidano, anche statisticamente e tramite esperimenti, queste teorie.
Lo stesso avviene in campo psicologico. E’ chiaro quindi chenessuno ha intervistato un bambino di pochi giorni che ha perso la madre biologica chiedendogli se si senta traumatizzato. Emerge però con costanza nella letteratura psicoanalitica, M.Klein, H,Kohut. D. Winnicott per citare gli autori più conosciuti e autorevoli, suffragata da deduzioni sui comportamenti dei lattanti (infant observation) e sui loro vissuti da adulti, la consapevolezza di un rilevante trauma infantile nel caso di separazione dalla madre biologica. Il dialogo sensoriale ed emotivo fra madre e feto inizia e si struttura durante la gravidanza per cui quel bambino è figlio di quella madre indipendentemente dalla genetica.
Segue qui:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/16/utero-in-affitto-i-problemi-psichici-per-il-bambino-e-la-madre-surrogata/2465737/

LACAN. NELLA SFIDA TRA EROS E LEGGE L’UNICA SALVEZZA È L’AMORE

di Roberto Esposito, la Repubblica, 17 febbraio 2016
 
Il 2 febbraio 1933, nella cittadina francese di Le Mans, due domestiche, le sorelle Papin, sgozzano le padrone, madre e figlia, cavando loro gli occhi e infierendo sui loro corpi. Il 10 aprile 1931 una donna trentottenne, Marguerite Anzieu, armata di coltello, attende una celebre attrice all’uscita del teatro, tentando di ucciderla e riuscendo a ferirla. Un bambino di quattro anni, di nome Robert, che riesce a dire solo due parole — “Signora” e “Lupo” — cerca con un paio di forbici di tagliarsi il pene davanti ad altri bambini terrorizzati. Sono istantanee agghiaccianti tratte da celebri casi analizzati da Jacques Lacan, personaggio a cui è dedicato il nuovo libro di Massimo Recalcati, e che ha come sottotitolo La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto (Raffaello Cortina).
Si tratta del secondo, ponderoso, tomo di uno straordinario dittico, dedicato dall’autore al grande analista francese. Il primo volume, intitolato Desiderio, godimento, soggettivazione, era già apparso qualche anno fa. Se esso ricostruiva la concezione complessiva di Lacan, inquadrandola nel suo contesto teoretico, questo è dedicato alla sua intensa esperienza clinica. Benché sia conosciuto più per i suoi geniali scritti filosofici, Lacan è stato innanzitutto uno psicanalista che passava le giornate ad ascoltare esseri umani feriti nell’animo, assediati dall’angoscia, provati dal dolore. Nelle pagine finali del libro Recalcati richiama la dialettica tra parola e silenzio mediante la quale, tacendo le proprie domande e raffrenando il proprio desiderio, l’analista cerca di tradurre la sofferenza di chi ha di fronte in un’interrogazione sulla sua intera esistenza. È il momento in cui la prassi analitica assume su di sé la responsabilità di un compito inesauribile, legando due vite in una relazione che le mette entrambe in gioco. In tale confronto esse sperimentano quella presenza enigmatica dell’Altro, costitutiva di ogni esistenza, che è al cuore dell’insegnamento di Lacan.
Il sottotitolo del libro di Recalcati, “struttura e soggetto”, nomina i due fuochi nevralgici intorno a cui si sviluppa l’intera teoria lacaniana — e cioè la costruzione della soggettività e il limite su cui essa, spesso dolorosamente, batte. Questi due elementi — il processo di umanizzazione prodotto dall’incontro con l’altro e la violenza con cui il reale investe il soggetto — costituiscono gli argini tematici del lavoro di Recalcati. Non capita di frequente che la condivisione di intenti di un autore con il proprio maestro pervenga a un risultato interpretativo così rigoroso e maturo, capace di restituire tutte le pieghe della sua opera, senza mai perderne di vista il significato d’insieme. Che sta nell’equilibrio, necessario ma sempre a rischio, tra il desiderio e la legge. Soltanto la legge — rappresentata da tutti i possibili nomi del padre — inserisce un diaframma nel rapporto, altrimenti mortifero, tra desiderio e godimento. Quando questi si avvitano fino a identificarsi, il soggetto rischia di rimanere soffocato dall’assenza di mediazioni. Senza passare per l’Altro, egli non può ritrovare se stesso.
 
Segue qui:
http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/lacan-amore-senza-passare-altro-non-possiamo-ritrovare-noi-118756.htm
 

IL SECOLO IN PROGRESS. L’occidente precipita in un inarrestabile moto all’indietro. Colpa pure degli uomini possibili

di Umberto Silva, ilfoglio.it, 17 febbraio 2016
 
Se gli anni Quaranta hanno visto lo sfacelo ma anche la resurrezione dell’Italia, quelli Cinquanta li si ricorda nobili e forti, in un bianco e nero che strappa una lacrima. E i Sessanta? Simpatici e un po’ sciocchini, certo più gradevoli degli orrendi Settanta, funebri e dementi. Poi gli anni Ottanta, dove un eccesso di euforia sfociò nel pasticcio dei Novanta, e se il Duemila tirava a campare ora appare la Grande Crisi nelle sue tre diramazioni: economica, religiosa, sessuale. Inaspettata la prima, strettamente tra di loro legate le altre due, anche se un nesso tra le tre esiste: quando l’economia va male e risulta difficile se non addirittura impossibile godere dei beni materiali, ci si rifugia negli equivoci della virtù.
Agli inizi dell’anno 2013 la chiesa era un cadavere che sembrava non dovesse più risorgere, Benedetto aveva gettato la spugna, le continue accuse di pedofilia rivolte al clero l’avevano stremato, occorreva qualcosa, qualcuno, che distraesse da tanto fango. Bergoglio gorgoglia e i nemici della chiesa stanno al gioco, inneggiano a Francesco e colpiscono duro il Vaticano. Il Papa concede un po’ qua un po’ là, ammicca e fa capire che lui farebbe anche altro se potesse, lancia cifrati messaggi a dire che con certa gente lui non c’entra. E i modernisti, i laici, i non credenti? Pensano di essere loro la chiesa, non nel senso antico di comunità quanto in quello moderno che ha svilito i critici cinematografici, un tempo venerati: gli spettatori escono dalla sala esternando la loro opinione e guai a chi li contraddice. Non più la chiesa è madre dei suoi fedeli quanto piuttosto sono i non credenti ad essere materni con la chiesa, con Dio, la Madonna e compagnia bella. Li considerano ottime persone ma poco intelligenti, che vanno educate e guidate.
 
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/02/17/il-secolo-in-progress___1-vr-138348-rubriche_c317.htm
 
 
Audio

AMMANITI, BUZZI, FORRESI SU ADOLESCENTI E RETE

da radio3.rai.it, 9 febbraio 2016
 
Oggi è il Safer Internet Day. Dalle ricerche presentate, appare chiaro che genitori e figli (e dunque non solo i figli) hanno in molta parte un problema di dipendenza dalla rete. Una dipendenza che può avere risvolti pesanti, come il cyberbullismo. Ne parliamo con Barbara Forresi del Centro Studi di Telefono Azzurro, con Massimo Ammaniti psicoanalista, autore di La famiglia adolescente e con Marino Buzzi: tra i suoi libri L’ultima volta che ho avuto sedici anni, Baldini e Castoldi.
 
Vai al link:
http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-5f05b487-d52e-4d32-85e7-eec65482c85f.html#sthash.qBsaC2XN.dpuf
 
 
I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
 
Da segnalare anche la rubrica
"Mente ad arte, percorsi artistici di psicopatologia nel cinema ed oltre, di Matteo Balestrieri al link 
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4682
 
 
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com

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