IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
di Antonello Sciacchitano

Il lavoro "borromeo"

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1 marzo, 2016 - 11:55
di Antonello Sciacchitano

Il lavoro del soggetto convoca nel modo più concreto la possibilità di immaginare la nozione di altro. Se c’è del soggetto – mi piace dirlo con il partitivo alla francese – non si lavora mai da soli. In questa direzione collettiva il lavoro da fare è sia analitico sia politico. Le due dimensioni nella psicanalisi classica sono notoriamente scisse. In questa sede il mio tentativo è di riportarle a convergere, conservando e superando la divisione originaria tra soggetto individuale, il soggetto del desiderio, e soggetto collettivo, il soggetto del godimento. Uno spunto di riflessione me lo offre Mario Galzigna, che ha messo recentemente sul tappeto la questione dei due soggetti: “costituente” e “costitutivo” (https://www.youtube.com/watch?v=hyjGgNJxcsg&feature=youtu.be).
Per spiegarmi la prendo larga con un trip nella topologia. Me lo si perdoni, ben sapendo che i riferimenti alla scienza “dura” sono in genere poco graditi.
Vedete disegnata in cima alla rubrica una rappresentazione della catena borromea, stemma dell’omonima famiglia nobiliare, un po’ diversa da quella standard ma ad essa topologicamente equivalente. (Ce ne sono altre; è un fatto comune in matematica che la stessa struttura abbia tante presentazioni apparentemente diverse ma equivalenti). La citazione non vuole evocare la complicata topologistica lacaniana dei tre registri della soggettività: reale, simbolico e immaginario. Mi limito alla semplice topologia “negativa” del caso presentato – lo si consideri un caso clinico: i tre anelli stanno insieme senza passare l’uno dentro l’altro. Ciò vuol dire due cose tra loro connesse: primo, nella catena borromea a tre anelli non c’è l’anello privilegiato che leghi gli altri due; secondo, se un anello viene meno, la catena si disfa.
Il modello topologico della catena borromea mi serve per prendere le distanze dal modello freudiano di legame sociale, basato sull’identificazione di tutti all’uno, al Führer, al maestro, a qualche divinità immanente o trascendente – in mancanza di meglio al libro, la Bibbia. Secondo Freud, tanti soggetti individuali stanno insieme, cioè fanno massa o formano un soggetto collettivo, perché sono tenuti insieme, in modo essenzialmente ipnotico, dalla comune identificazione – l’anello privilegiato che attraversa tutti gli anelli, secondo la persistente metafora freudiana del padre morto del complesso edipico. Necessariamente consegue che nel modello freudiano non c’è un vero e proprio lavoro collettivo per istituire il legame sociale. Il soggetto collettivo freudiano si forma in modo passivo e meccanico attraverso l’identificazione di tutti i soggetti individuali all’Uno simbolico, uguale per tutti. Per Freud singoli non cooperano tra loro; non lavorano per la civiltà. Sono come monadi senza finestre (v. Psicologia delle masse e analisi dell’Io, 1921). Tutt’al più il singolo inibisce l’aggressività verso il proprio simile, introvertendola su di sé (v. Disagio nella civiltà, 1930). Questa è la “miseria psicologica” del collettivo freudiano. Uso l’espressione virgolettata proprio perché è di Freud – psychologisches Elend ­– in riferimento alla società strutturata solo da legami “orizzontali” o borromei, senza riferimenti “verticali” a qualche autorità trascendente.
Nel modello borromeo qui proposto, invece, tutte le componenti elementari stanno insieme – la catena si generalizza facilmente a n anelli – se tutti gli anelli si concatenano in modo borromeo, cioè senza riferimento unitario, uguale per tutti; il legame, attivamente costruito da tutti con ciascuno è tale che la catena borromea si scioglie anche se solo un anello viene meno. Si noti il passaggio decisivo dall’uno in più dell’identificazione all’uno in meno della topologia borromea, che conferisce sia democraticità sia inevitabile precarietà al collettivo così formato.
In un certo senso, la catena borromea è un modello ipersemplificato di democrazia: tutti gli anelli sono uguali e tutti sono necessari allo stare insieme: l’individuale e il collettivo sono originariamente costitutivo e costituente, secondo Galzigna, e si costituiscono insieme sincronicamente, senza che uno preceda l’altro. L’individuo non perde la propria individualità – se volete, la propria libertà – ma la mette a servizio della collettività, che a sua volta gli garantisce di non “dissociarsi” dal collettivo, giusto per esercitare la di lui libertà in modo effettivo.
L’interazione borromea tra soggetto individuale – il singolo anello – e collettivo – la singola catena – si realizza in un certo senso a vuoto (su questo tornerò perché non è l’unico modo di interazione). Nella modalità di convivenza borromea non c’è qualcosa di “solido”, un luogo “identificabile” in cui si realizzi l’interferenza dei due soggetti individuale e collettivo; entrambi i soggetti sono sincronicamente e diffusamente sia soggetto costituente sia soggetto costitutivo, estesi e distesi lungo tutta la catena. Della topologistica lacaniana conservo questa intuizione: il vuoto costituente e costitutivo del legame sociale borromeo costituisce l’oggetto del desiderio, detto anche dallo psicanalista parigino con eco marxiana plusgodere, nel senso di plusvalore, per cui inventa l’improbabile corrispondente termine tedesco: Mehrlust, ricalcato su Mehrwert.
Rimando a una prossima rubrica l’analisi del problematico rapporto oggettuale in absentia tra la coppia dei soggetti individuale e collettivo, da una parte, e l’oggetto di godimento-desiderio, dall’altra – e mi scuso di accennarlo qui in modo che può apparire contorto e confuso. Spero di poterlo chiarire meglio in seguito. Qui anticipo solo che l’oggetto, che per il desiderio è perduto, è ritrovato, wiedergefunden, dice Freud nel suo magistrale saggio sulla Negazione del 1925, come oggetto di godimento, a patto di intendere il termine “godimento” alla tedesca (non alla francese jouissance, che si potrebbe tradurre con un gioco di parole in “odo ma non g’odo”). In tedesco “godimento” si dice Genuss, termine con cui si intende l’uso dell’oggetto regolato giuridicamente, quindi collettivamente.
In questa ottica esisterebbe – ma è problematica da esplicitare in termini cartesiani più chiari e più distinti – una simmetria tra desiderio e godimento. Sarebbe parallela a quella marxiana tra valore di scambio e valore d’uso. La prima sarebbe mediata dal transfert, che è uno scambio (anche nel senso ferroviario del termine), e la seconda dal denaro, che è l’equivalente universale per tutti gli scambi. (Perciò – ma la conseguenza andrebbe meglio argomentata in altre rubriche – lo psicanalista deve farsi pagare e molto). Così entrambi i fattori, desiderio e godimento, diventano fattori d’alienazione, essendo sempre desiderio e godimento dell’altro. Qui Lacan, grazie al cannocchiale hegeliano, avrebbe visto giusto, pur avendo la vista appannata dal logocentrismo del significante a tutti i costi. Su questo punto resto lacaniano fervente.
L’aspetto più rilevante della futura analisi sarà la confluenza dei due corpi (o se volete delle due anime: l’animus e l’anima secondo Jung): l’individuale e il collettivo. Ma mi raccomando, che sia un’analisi condotta senza trucchetti antropomorfi, di quelli, cioè, che, presupponendo uno o più piccoli uomini dentro l’uomo, pretendono di spiegare tutta la psicologia – individuale e collettiva – con i loro conflitti, di solito “compresi nel profondo” riciclando vecchie mitologie, ormai appartenenti ad altre culture. La nostra sarà un’analisi da sviluppare con taglio pragmatista, per esempio alla G.H. Mead, che non concepisce l’altro come pura astrazione simbolica, per esempio linguistica, ma lo intende come realtà effettiva di sapere, distribuita su tutto il corpo sociale, là dove si tesse la Kulturarbeit, il lavoro della civiltà (Freud). Il termine di Mead da conservare è “altro generalizzato”, quindi, non localizzato ma localizzabile nelle singole interazioni intersoggettive. Dovremo in altri termini affrontare quella che già nel 1878 nel primo aforisma di Umano, troppo umano Nietzsche metaforicamente chiamava Chimica delle idee e dei sentimenti.
Un’ultima considerazione “borromea”. Non esiste la catena borromea a due anelli; per farne una ne occorrono almeno tre, come recita il brocardo: tres faciunt collegium. Il risvolto psicanalitico non è banale: per competere basta essere in due; per cooperare occorre essere almeno in tre. Ricomincio da tre, qualche decennio fa ci ha insegnato un grande comico napoletano. Non solo per far ridere, ma per far progredire la civiltà, che non esiste senza ridere.
Si adombra qui un problema non da poco, non risibile, dalle civiltà mai esplicitamente affrontato e volentieri lasciato dietro la tenda: cosa significa sessualità per un soggetto collettivo? Esiste un modello borromeo di sessualità non ossessivamente appiattito su i due generi? O, secondo il più famoso medico di Vienna, l’anatomia è il destino?

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