Mente ad arte
Percorsi artistici di psicopatologia, nel cinema ed oltre
di Matteo Balestrieri

Matti da slegare

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24 marzo, 2016 - 20:31
di Matteo Balestrieri

  Matti da slegare è una piacevolissima pièce teatrale interpretata da Giobbe Covatta e Enzo Iacchetti, con regia di Gioele Dix, tratta dalla commedia Elling & Kjell Bjarne del norvegese Axel Hellstenius, da cui è stato prodotto anche il bel film Elling (2001) diretto da Peter Næss, candidato all’Oscar come miglior film straniero.
  Avevo molto apprezzato il film, connotato dalla leggerezza e dolcezza con cui venivano rappresentati due “matti” che si cimentavano in un programma di autonomizzazione e reinserimento nella società. La connotazione norvegese del film rendeva più sobrio e implicito l’umorismo, collegato alla situazione stessa e all’imbranataggine dei protagonisti. La resa italiana a teatro è invece più connotata da battute, anche legate alla contrapposizione italica tra nord e sud dei personaggi, ma anche da un evidente gioco di complicità dei due attori, abituati da diversi anni a lavorare insieme.



   In breve, la storia è quella di due degenti di un istituto psichiatrico diventati amici inseparabili, Giovanni ed Elia, che vengono mandati a vivere da soli in un appartamento messo a disposizione dal sistema sanitario. Dovranno dimostrare di saper badare a loro stessi e di potersi reinserire all'interno della società.
  Giovanni è una specie di orso buono, rozzo nei comportamenti ed assillato dal desiderio di poter avere rapporti sessuali con una donna, esperienza che non ha mai avuto modo di fare, nonchè dalla voracità alimentare. Proviene da una famiglia violenta, dove padre e madre alcolista hanno fatto a gara per picchiarlo sin da piccolo. La sua idea è che è normale desiderare di uccidere la propria madre, anche se lo dice in tono bonario e disincantato. Elia invece è un timido inibito nelle relazioni e incapace di autonomia personale. Ha vissuto con una madre iperprotettiva fino alla sua morte, e dopo si è trovato spiazzato nel mondo esterno, non riuscendo più a raccapezzarsi. E’, a suo modo, un intellettuale, ma assolutamente incapace di dar seguito alle sue ispirazioni di scrittore. La sua guida è ancora la madre, che idolatra esponendone il ritratto su una parete della stanza. Il destino di entrambi è stato quello di trovarsi rinchiusi in un istituto psichiatrico, non già per una supposta pazzia, ma per l’incapacità di essere autonomi nella vita quotidiana. Che disturbo potremmo “affibbiare” in effetti a Giovanni ed Elia? Poco più di un disturbo d’ansia con venature ossessive e fobie varie, mentre sul piano delle capacità personali è evidente una rilevante inibizione di entrambi, collegata al mancato sviluppo delle loro abilità sociali.
  Quando Giovanni incontra Rita, una donna fragile, in preda ai fumi dell’alcol ed in stato di avanzata gravidanza, se ne innamora e se ne prende cura, scatenando in un primo momento la gelosia possessiva di Elia, che non può sopportare di essere abbandonato una seconda volta. Ma poi Elia saprà farsi coinvolgere nella tenera storia tra i due e riuscirà anche a trovare il proprio riscatto come poeta underground, nascondendo le proprie poesie in alcune scatole di prodotti alimentari del supermercato. In questo cammino di autonomizzazione Giovanni ed Elia vengono accompagnati da Franci, un’assistente sociale dai modi molto spicci, non dotata di grandi abilità riabilitative, ma a suo modo di grande supporto. Anche Franci, come gli altri tre protagonisti, ha un cammino personale piuttosto incerto, con una sessualità non ancora decisamente orientata, e finisce per diventare complice, consigliera ma anche consigliata, del trio.
  La storia è semplice, piena di gioia e tenerezza. Aiuta a riflettere sul ruolo che la famiglia ha sulla crescita dei figli. Da una parte una famiglia violenta e incapace di crescere il proprio figlio genera Giovanni, una persona inabile nelle cose quotidiane più basiche, seppur dotato di grande sensibilità personale, dall’altra l’amore egoistico e possessivo di una madre produce Elia, un figlio incapace di autonomia, spaventato dal mondo che gli è stato dipinto come folle e minaccioso. Nel primo caso, un individuo pulsionale e privo di freni, nel secondo un individuo completamente bloccato. L’equazione è assolutamente corretta e rappresentata con proprietà. I due però trovano la capacità di evolvere tramite l’aiuto reciproco, grazie anche al piccolo catalizzatore che è l’assistente sociale. Si può dire che la fortuna di Elia e Giovanni è stata quella di incontrarsi, costruendo un cammino che ha contrastato l’influenza malefica della patologia dei rispettivi genitori, i veri “matti” di questa vicenda.
  Che bel messaggio sulla possibilità di riscatto dalla malattia mentale attraverso gli affetti e la comunanza tra le persone. E’ una commedia che va vista, si esce deliziati dalla bravura degli interpreti e dalla bellezza del messaggio.

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