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Politica e Salute Mentale: quali responsabilità?

6 Giu 16

A cura di maria.peano71

In questi giorni il film La pazza gioia, ormai nelle sale da qualche settimana, sta agitando le intelligenze più fervide: dai critici cinematografici, agli psichiatri, ai cattedratici e quelli di corsia, alla gente comune. Perché il tema della salute mentale suscita sempre forti reazioni, che sia un regista a riportarla in scena, un legislatore che decida di ritoccare il sistema o uno psichiatra illuminato a proporre un cambio di paradigma, ci si risveglia dal torpore. E si prova allora quella sensazione riprovevole di trovarsi sempre nel medesimo punto: ma siamo ancora qui?
Già, perché anche se alcuni psichiatri si scandalizzano per un film che rappresenta, a parer loro, una malattia mentale superata, (gli psicofarmaci oggi hanno fatto balzi in avanti, i malati non sono più quelli di una volta!) la realtà che appare, nonostante studi e ricerche, chiusura dei manicomi, degli OPG, investimenti, dibattiti, battaglie sui territori –  è che il contesto in cui si trova il malato mentale oggi appare sempre lo stesso.
Al di là di quanto possa essere più o meno realistico il film, nella trama, nel finale, nel corretto o meno approccio critico all’eccessivo uso dei farmaci, ciò che alla fine ha di più affine alla realtà La pazza gioia è che la malattia mentale è sempre relegata in uno spazio definito. E lo spazio definito è uno spazio che ha un’apparente libertà; ci si può muovere al suo interno, certo, pagando il prezzo però di sbattere contro spigoli e pareti di un sistema piegato su se stesso, dove ognuno se la canta e se la suona, ma poco cambia.
E’ innegabile che oggi le terapie  farmacologiche sono piu’ efficaci, le strutture migliorate, gli operatori, dai medici agli OSS più umani, più formati, più preparati.
Chi frena allora il vero cambiamento? Mi viene da dire: la politica. Una politica che in questi decenni ha arrancato e che è rimasta indietro, e continuamente, ancora oggi, inciampa nell’unica tentazione irresistibile e assolutamente non dirimente, di tagliare costi. Eppure è proprio la politica a fare la differenza. Perché se tra i suoi compiti più alti c’è quello di riportare ordine, il campo della salute mentale è tra i più complessi, disordinati e confusi e di più difficile presa in carico, ma per questa ragione, più di ogni altro ha bisogno di essa.  E forse, alla fine per questo il più dimenticato.
Ci si ricorda della Salute Mentale solo quando i costi appaiono sovradimensionati e partono così le azioni di riordino, frettolose e impietose.  E allora riemergono i soliti mostri di un sistema politico malsano: malati abbandonati nelle strutture senza più controlli, interessi privati scandalosi, strutture che nascono come funghi senza governo, sanità che si fa carico di tariffe stratosferiche senza il minimo controllo. E tutti se la cantano e se la suonano.
Si chiudono manicomi, si aprono comunità protette, si chiudono OPG e si aprono le REMS. I contenitori cambiano a seconda dell’ideologia del momento e del politico più o meno illuminato, dalla fretta, con regole imprecise che sviliscono il cambiamento, lo impoveriscono e spesso lo vanificano perché troppo facili da disattendere.
E’ necessaria allora una politica che riordini, che guardi lontano, che si prenda in carico non la psichiatria, ma la Salute Mentale; che se la prenda in carico non per compartimenti, ma a 360°, partendo dal tema delicato del post OPG, alle cure delle acuzie negli SPDC, al TSO, al grande e complesso tema della residenzialità, della casa, del lavoro, della solitudine delle famiglie!
Sono temi che hanno bisogno di un’attenta riflessione, di coinvolgimento, confronto e soprattutto di ascolto. Di mettere insieme operatori, pazienti e famiglie, di osservare le realtà che funzionano, che ci sono, e poi una grande capacità di fare la giusta sintesi con la giusta prospettiva.
C’è bisogno dunque, di una politica appassionata, non dall’urgenza, dalla necessità di tagliare i costi ma dal semplice e unico fascino di poter dare delle risposte, di ordinare ciò che è caotico, di prendersi cura come dovere morale, di occuparsi di quella sofferenza più nascosta e incommensurabile perchè quel che è certo è che la pazza gioia non esiste: nè per i malati, nè per le loro famiglie. 

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