“Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio…”
[K. Kavafis]
Perché “Progetto Itaca”
Avevamo chiamato “Progetto Itaca” questa nostra azione pluriennale poiché Itaca era il titolo di una poesia del poeta greco Konstantinos Kavafis, vissuto fra la fine dell’800 e l’inizio del 900, centrata proprio sul rapporto fra genitori e figli (fra Itaca e Ulisse) nel momento in cui questi ultimi si accingono a “partire”: cioè ad autonomizzarsi e ad emanciparsi.
Gli ultimi versi di questa poesia dicono:
“Sempre devi avere in mente Itaca
raggiungerla sia il pensiero costante
soprattutto non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada,
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio
senza di lei mai ti saresti messo in viaggio:
che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.”
È chiaro che queste parole sono rivolte a quegli adulti – a quegli Ulisse adulti! – che già si sono emancipati dai propri genitori e che hanno già intrapreso un proprio cammino nel mondo arricchendosi “dei tesori accumulati per strada”, come dice il poeta, che li osserva nel momento in cui essi volgono il proprio sguardo indietro e posano gli occhi sui loro propri genitori, sulla loro propria Itaca! Quell’Itaca che da bambini avevano mitizzato, ma che ora, grazie al viaggio felicemente intrapreso, appare per quella che è: povera, senza ricchezze! deidealizzata, direbbe lo psicoanalista francese, Octave Mannoni, che considera quest’opera di de idealizzazione dei genitori come parte essenziale del processo maturativo in adolescenza[1].
Il punto centrale in questi versi è proprio qui: nel fatto che la deidealizzazione dei genitori da parte del figlio ormai diventato adulto, invece di svilire la loro immagine ai suoi occhi, le dà uno spessore riparativo frutto della saggezza accumulata per strada.
Ulisse, cioè il neoadulto, ci dice Kavafis, nel momento in cui si riavvicina affettivamente ad Itaca, e cioè ai propri genitori, e li trova poveri, non per questo rimarrà deluso, poiché “fatto ormai savio” e con tutta la sua esperienza addosso, già avrà capito ciò che Itaca vuole significare:“Itaca ti ha dato il bel viaggio \ senza di lei mai ti saresti messo in viaggio”.
Ciò vuol dire che i genitori, lungo il percorso che porta i loro figli all’età adulta, attraverso la loro azione educativa hanno posto le fondamenta per la loro crescita e per la loro autonomizzazione. Lo hanno fatto a partire dalla nascita con crescenti tensioni soprattutto durante l’adolescenza, proprio perché in adolescenza il profilo individuale del figlio diventa via via più netto, e crescenti sono le sue pretese di autonomia da Itaca.
“Alla fine di questo processo” – si chiede Kavafis, rivolto apparentemente all’Ulisse \ figlio – “che cos’altro ti aspetti da Itaca? che vuoi di più da Itaca?”. Nei nostri gruppi abbiamo imparato che quella domanda non era rivolta solo ai figli, ma anche ai padri e alle madri.
E la risposta anche per Itaca non può che avvenire sotto il segno dell’autoriparazione che, nel caso del genitore, significa che il suo vero traguardo sul piano educativo è nell’accettazione della propria superfluità di fronte ai figli adulti.
Questo spiega l’apparente contraddizione dell’esortazione del poeta ad Ulisse: “Sempre devi avere in mente Itaca \ raggiungerla sia il pensiero costante \ soprattutto non affrettare il viaggio; \ fa che duri a lungo, per anni e che da vecchio \ metta piede sull’isola”, che a mio avviso trova la sua spiegazione e la sua soluzione nel fatto che, se quel volgersi indietro diventasse troppo precoce ci sarebbe il rischio (che, in effetti, infinite volte c’è) d’ingaggiare una battaglia con i propri genitori ancora tutta contrassegnata dal ribellismo adolescenziale e non da una solida posizione autonoma.
È per questo – penso – che la riconoscenza dell’adolescente e del neoadulto nei confronti della propria Itaca sia sempre postuma, e che per questo ogni Itaca debba sempre adattarsi a rimanere in credito di riconoscenza di fronte al proprio Ulisse!
Non so se avete notato che la poesia in questo finale – come del resto anche nella lunga parte iniziale – si presta come pochi altri scritti sull’argomento ad una duplice lettura, che per tutti i genitori diventa un invito a sposare entrambi i punti di vista: quello attuale di genitore, ma anche quello passato di figlio adolescente, impegnato “all’epoca” in una battaglia cruenta con il proprio genitore, con la propria Itaca.
È stato questo l’elemento più precipuo che ci ha spinto a dare questo nome, “Itaca”, ai nostri gruppi. All’interno dei quali – come potrete vedere lungo tutte le pagine del testo – la necessità di questa duplice e incrociata lettura è stata una delle chiavi che ha permesso di dischiudere le porte della crescita per tutti i nostri genitori.
La dimensione gruppale
Il Progetto Itaca era stato pensato fin dall’inizio come un progetto basato sulla formazione di gruppi di counselling psicologico rivolti a genitori di preadolescenti ed adolescenti e centrati sui problemi del rapporto fra genitori e figli.
L’opzione per l’eterocentramento nel nostro caso corrisponde alla circoscrizione della discussione ai problemi connessi con l’esercizio delle funzioni genitoriali in preadolescenza e adolescenza. Ogni slittamento del gruppo sul terreno dell’autocentramento (cioè sui problemi personali ed intimi) ha visto i conduttori – psicoterapeuti esperti – cercare di stoppare in quella sede la discussione inviando nel caso al back office del Consultorio Giovani OPEN G.
Dicevamo nel nostro primo volantino rivolto ai genitori:
“Il centramento dell’attività di gruppo sui problemi della genitorialità in adolescenza significa: che il gruppo non sarà un gruppo terapeutico, ma un luogo di riflessione in comune, stabile nel tempo e guidato da psicologi esperti; aperto a tutti i genitori che vogliano fare questa esperienza (e non circoscritto ai casi problematici), la cui attività consisterà in un lavoro di counselling svolto secondo tecniche non direttive. Quindi non un luogo in cui l’esperto risolve i problemi al posto dei genitori, ma al contrario un luogo in cui ciascun genitore, all’interno di un proprio percorso personale, troverà nel gruppo quei rispecchiamenti e quei motivi in base ai quali recuperare un proprio personale agio nell’espletamento delle funzioni genitoriali”.
E poi aggiungevamo che avremmo considerato come un indice del buon risultato del nostro lavoro il fatto che alla fine di ogni anno si fossero formati dei gruppi di self help (cioè di auto-aiuto) all’interno dei quali sarebbe stato possibile, finché le risorse a disposizione lo avessero permesso, fare ricorso ai nostri counselor una volta ogni tanto.
L’invito – che a prima vista può sembrare un po’ troppo tecnico – è stato colto dai tantissimi genitori reggiani che ormai da 10 anni e passa si riuniscono nei nostri gruppi e che hanno messo in piedi nel frattempo anche dei gruppi di self help dalla cui volontà e dalle cui riflessioni nasce questo testo.
I gruppi – eterocentrati o autocentrati che siano – sono come delle camere degli specchi in cui ciascun partecipante, compreso il conduttore, può ritrovare negli altri parti di sé con le quali si può essere più o meno in confidenza, parti che però con l’aiuto del gruppo possono essere riviste e poste sotto una nuova luce, innescando un processo di cambiamento e di ampliamento dei propri livelli di consapevolezza del significato dei problemi.
Cerchiamo di capire ora a quali esigenze rispondono i gruppi Itaca: abbiamo detto che si tratta di gruppi di counselling psicologico rivolti ai genitori e centrati sui problemi che essi incontrano allorché i loro figli diventano adolescenti; e abbiamo chiarito cosa s’intende per eterocentramento. Ma ciò non basta a circoscrivere le ragioni e i limiti di questo tipo di lavoro.
Per capirne di più dobbiamo mettere a fuoco due altri elementi: innanzitutto il tipo di selezione in base al quale si forma il gruppo stesso; ed in secondo luogo la funzione che svolgono questi gruppi sul piano preventivo.
Sul primo punto è importante sottolineare il fatto che i genitori che aderiscono al progetto possono autocandidarsi a partire da un avviso che giunge a casa e che contiene i numeri di telefono delle circoscrizioni cittadine (che ovviamente sono state fin dall’inizio le nostre partner dell’iniziativa e che, oltre a raccogliere le adesioni, mettono a disposizione gratuitamente i propri locali per le riunioni).
Si tratta quindi di un’autoselezione, destinata a porre su solide basi il gruppo stesso che nasce – al contrario di ciò che avviene nei gruppi preformati[2] che, specialmente all’inizio, spesso non sono molto motivati, e che richiedono un lavoro iniziale del conduttore molto faticoso – su una adesione spontanea.
In questi casi però l’autoselezione produce anche la circoscrizione degli aderenti in base alla quale coloro che fruiscono di questo tipo di servizio sono i genitori più coscienti: insomma – come dicono i detrattori di questo tipo di esperienza – coloro che ne avrebbero meno bisogno; mentre i più bisognosi rimangono a casa. Ma nel nostro caso qui scatta il secondo punto: il passaggio dei figli all’adolescenza diventa un problema non solo per ciascuno di loro, ma anche per tutti i genitori, e non solo per i meno coscienti fra essi. Si tratta di un problema di fase; del più classico dei problemi di fase, che nel caso dei genitori spesso coincide con la crisi di mezza età. Si può dire quindi, in conclusione, che per tutti i genitori: – da una parte il passaggio del loro figlio all’adolescenza comporta la necessità di un riattraversamento della propria adolescenza, spesso imparagonabile, in una società dinamica come la nostra, a quella che attualmente si possono permettere gli adolescenti di oggi; – dall’altra l’impatto con la crisi di mezza età impone di cominciare a fare i conti con ciò che si è già fatto e ciò che (ancora) è possibile fare della propria vita, del proprio lavoro, del proprio matrimonio.
Il lavoro di prevenzione
Lungo tutto il percorso che gli psicologi “di prima generazione” hanno fatto nel pubblico due sono le componenti che si sono aggiunte alla psicoterapia ed agli altri elementi della cura psicologica: il lavoro di prevenzione e quello formativo.
Nel caso dei gruppi Itaca l’attività formativa è almeno apparentemente assente: anche se noi sappiamo che forse la parte più consistente del nostro lavoro è stata sempre quella formativa, che è stata rivolta, fin dalla chiusura del De Sanctis (il reparto infantile del manicomio reggiano), nei confronti degli operatori che lavoravano nelle vecchie istituzioni o si apprestavano ad entrare in quelle nuove.
Siamo parlando degli operatori degli enti disciolti, dei primi insegnanti di sostegno, degli educatori professionali, degli infermieri, degli operatori dei 33 nidi della periferia reggiana (seguiti dagli psicologi del CIM per una decina d’anni a partire dal 1974), dei giovani tirocinanti psicologi, dei docenti di ogni ordine e grado e, in particolar modo di quelli nelle scuole medie inferiori e superori, formati proprio sui temi dell’adolescenza! Questo tipo di attività, che aveva un fine prevalentemente formativo, spesso in un secondo tempo, e quasi come segno di un’alleanza fra colleghi che si andava raffinando e specializzando, innescava richieste che si collocavano o sul versante preventivo o su quello del counselling e della supervisione. Insomma, qualcosa di simile a ciò che abbiamo fatto con i genitori nei gruppi Itaca, è stato sempre fatto anche con gli educatori: cioè, per dirla con Pietropolli Charmet, con buona parte di quell’ecosistema adulto che ruota intorno all’adolescente. Per cui i gruppi Itaca non sono altro che una ulteriore puntualizzazione di ciò che siamo andati svolgendo in tutti gli ordini di scuole con i genitori, i docenti (ed i ragazzi) sui problemi che insorgono sul piano psicologico nel lungo periodo di crescita.
Il tema centrale è quello del passaggio dell’ex-bambino all’età adulta, dei problemi cui va incontro, insieme a lui, tutto l’ecosistema adulto che presiede al passaggio, che lo governa o pretende di governarlo.
Tutto ciò in una situazione in cui il percorso che porta all’età adulta ha ormai gli anni di Nestore e di Priamo, cioè non finisce mai, in cui il tasso di cerimonialità che da sempre e in ogni cultura caratterizza questo evento si è attenuato, anche perché coloro che dovrebbero essere i sacerdoti del passaggio (e i genitori in primo luogo!) spesso non sono più consci di svolgere oggettivamente queste funzioni sacerdotali.
E soprattutto di fronte ad un passaggio che avviene in una società molto dinamica in perenne cambiamento, in cui i valori che sono stati istituiti dalla generazione che declina (Itaca!) rischiano di non essere più attuali: il che genera ulteriore angoscia perché, ridotta all’osso, la cerimonializzazione del passaggio altro non è che un’esigenza, da parte di Itaca, di stabilizzare i propri valori, di vederli impiantati in quell’Ulisse che sta prendendo il volo sulle sue vele che però ormai vanno per altri mari, per altre terre.
È su questi temi, o su temi da questi derivati, che i genitori che hanno partecipato ai gruppi Itaca hanno lavorato con i propri psicoterapeuti. È a partire da queste discussioni che sono nati e continuano a mantenersi in piedi i gruppi di auto-aiuto che sono nati da Itaca.
Chi avrà voglia di saperne di più legga le pagine che seguono e si lasci suggestionare dai versi di “Itaca”, di Konstantinos Kavafis, che qui riportiamo per intero, nella bella traduzione di Nelo Risi e Margherita Dalmàti:
Itaca
Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti
che la strada sia lunga fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni o i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere:
non sarà questo il genere di incontri se il pensiero resta alto
e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi o Lestrigoni no certo, né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro se l’anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga, che i mattini d’estate siano tanti quando nei porti – finalmente e con che gioia-
toccherai terra tu per la prima volta: negli empori fenici
indugia e acquista madreperle coralli ebano e ambre,
tutta merce fina, e anche profumi
penetranti d’ogni sorta, più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca –
Raggiungerla sia il tuo pensiero costante.
Soprattutto, però, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
(K.K., Cinquantacinque poesie , Einaudi, TO, 1968, pp.62-65)
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