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La Pagina Bianca di Stefano De luca

28 Giu 16

A cura di delu_stefano

È possibile scrivere una pagina bianca? Cioè, ha un senso una pagina bianca?
Se non la pubblico no, se la pubblico, sì, perché al di là dell’assenza di qualsiasi parola, proprio perché la pubblico, qualcosa avrò voluto dire.
Potrei, ad esempio aver voluto dire: ”Cari (non) lettori, cosa voglio dire con questa pagina bianca?”
Infatti, se io non volessi dire niente, non pubblicherei nulla, ma la pubblicazione di una pagina bianca è in sé un rimando al lettore che, seppur sconcertato, anzi proprio perché sconcertato, potrà fare una infinità di supposizioni, la più banale delle quali, sarà: “Toh, un errore di impaginatura!”.
Se poi il lettore è stato  avvertito dalle note introduttive o è consapevole dell’eccentricità dello scrittore, darà sfogo alla sua fantasia, per una qualsiasi interpretazione o valutazione. Interpretazione e valutazione che dipenderanno, ovviamente, anche dalla collocazione della suddetta pagina: molto provocatorio sarebbe, ad esempio, se l’autore scrivesse: ”per chiarimenti su quanto detto, leggere la pagina seguente”, facendo seguire la pagina bianca, definita in maniera inequivocabile anche con il numero corrispondente, per evitare che il lettore pensi, per l’appunto, a un errore di impaginatura.
Questo divertissement è una declinazione giocosa dell’assioma di Paul Watzlawick “Non si può non comunicare” o per stare più prossimi a noi, al paradigma lacaniano per cui noi siamo immersi nel linguaggio, cioè nel simbolo.  
Questa potrebbe essere, credo, la parola piena per eccellenza, cioè una parola non proferita, non scritta, ma proprio per questo, restituibile in modi diversi, tanti quanti sono i lettori e quanti lo stato d’animo con il quale essi si pongono alla lettura.
 
Il termine “immersi” di cui sopra, rimanda a una condizione di dipendenza dal contesto, e alla nostra responsabilità di cercare di comprendere le leggi, le forze, la natura della struttura che ci plasma e  che muta continuamente, chiedendoci continui adattamenti.
Noi vivremo tale contesto, sia in funzione delle nostre risorse e sia in funzione della mutevolezza e della vastità e profondità del fluido che ci tiene immersi: ora una piccola pozza d’acqua, a volte uno stagno o un lago, altre un mare o un oceano.

  • A volte  un maelstrom nero e mostruoso nel quale si compie e si eterna lo strazio della nostra esistenza.
  • Altre,  un mondo fatato, fantastico, ovattato, carezzevole, prenatale, nel quale tutto provvede a noi e tutto ci restituisce alla presunta  originaria beanza dell’immersione nel liquido amniotico.
 
Più spesso il contesto è un fiume, anzi, il soggetto umano coincide metaforicamente col fiume, ma  con una cinetica paradossale:  sorge dalla rottura delle acque materne, trae alimento e portata dalle cure familiari, dalle amicizie e dagli amori;  perde portata e si intorbidisce per i dolori;  esonda nel suo Ego,  ristagna nelle sue depressioni; si piega e si adatta alle infinite anse della vita, per poi, e qui è l’andamento paradossale, accelerare verso il mare in una corsa la cui velocità non dona ebbrezza, ma solo una crescente nostalgia di ciò che, in uno sguardo a ritroso, è già al di là dell’orizzonte.
 
Noto ora però,  che volevo approfondire e dissertare circa i tre registri lacaniani, Immaginario, Simbolico e Reale, per descrivere la vicenda umana e il suo sentire, il suo vivere psichicamente e, conseguentemente, con tutte le difese e resistenze possibili, la sua fattualità comportamentale e mi pongo la questione  cosa c’entri tutto quanto scritto finora.
Uno spostamento? Un atto mancato? Era meglio iniziare, per l’appunto, con una pagina Bianca?
 
No,  ritengo di poter rimandare, per una articolazione più complessa,  ad un altro articolo, ma  penso  altresì che questo che sto ultimando, sia già, in maniera significativa,  una testimonianza di come questi tre registri appaiano in ogni gesto, in ogni azione, in ogni istante del nostro accadere psichico e comportamentale, e  quindi anche in un semplice e breve scritto.
Quindi, in fondo, quanto sopra è un atto riuscito e vediamo il perché, al di là delle intenzioni coscienti.
 
Il registro dell’Immaginario è nella mia illusione, nella mia fantasia, nella mia speranza che l’articolo possa essere pubblicato. E la speranza è già qualcosa di meno illusorio e immaginario e sfocia già nel registro del Simbolico.
 
Registro del Simbolico che sta, in maniera autoreferenziale ed esplicita, nelle argomentazioni riportate, ma soprattutto nel piacere che io ho nel trattare una materia il cui studio mi appaga e mi permette di sublimare il senso di una indefinita e indefinibile atarassia di una giornata d’estate; un simbolico che sta nel  vagheggiare piacevole delle rimembranze delle estati della mia infanzia e della mia adolescenza
 
Registro Immaginario e Simbolico che coabitano  nel prefigurarmi questa estate appena iniziata, allorché  mi ritroverò a sguazzare nel mare con i miei cari; sta nel prefigurarmi il  ripercorrere  gli antichi  sentieri di montagna, sempre gli stessi e sempre intrisi di un consapevole mistero e di infiniti ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza dei miei figli.
 
Il Reale sta, Immaginariamente e Simbolicamente, in quello che vorrei non accadesse e che il destino ha voluto che io vivessi “realmente” tre estati fa, allorché per minuti interminabili pensavo, inorridito, di avere perso in mare una nipotina, che poi mi fu restituita da un destino che ha voluto essere generoso con me.
E quella volta ero morto e lo sapevo,  ero in balia totale del Reale, come ora so di essere vivo e immerso nella realtà fattuale, Simbolica e Immaginaria: una realtà che mi  chiama alla responsabilità di viverla al meglio, la vita, anche, ritengo, parlando, come ho fatto,  di una mia esperienza personale, tramite una pagina “Non Bianca”.
 

 
 
 
 

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