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L’odio verso le donne

12 Lug 16

A cura di rodrigo_laura

L'assassinato di Emmanuel Chidi Namdi ci ha fatto guardare increduli a un'Italia che ci riempia di vergogna. In che mondo vivono i razzisti? E Luther King? E Mandela? Come se per alcuni italiani non fossero mai esistiti. Il governo si è fatto ecco del sentire popolare e a livello istituzionale c'è stata una condanna pubblica come a dire “noi non c'entriamo niente”. E vabè. Poi mi sono chiesta, ma se a morire fosse stata lei? La donna africana? “La scimmia”? Ci sarebbe stata una mobilitazione simile, o sarebbe rientrata nel racconto ormai noioso dell'ennesima vittima di femminicidio nel nostro Paese? Come scrive Recalcati “la conta degli stupri, dei maltrattamenti, degli omicidi di cui sono vittime le donne lascia sempre sgomenti. Tutta questa violenza brutale ha una chiara matrice razzista. Soprattutto se interpretiamo il razzismo, come ci invitava a fare Lacan, come odio irriducibile nei confronti della libertà dell’Altro”.

Da dove nasce quell'odio furioso verso una donna che non si conosce?

L'odio verso le donne

Non è la libertà astratta delle donne che agli uomini fa paura, è la loro maggiore capacità di sperimentare il godimento (per capire bene questo concetto si veda il lavoro di Colette Soler). Lacan è stato un femminista di avanguardia e non capisco che tante femministe italiane non lo vogliano accettare.

La sottomissione delle donne è stata una sottomissione anzitutto sessuale. Ma si sbagliano quelli che credono che questo odio copra in primis l'invidia verso le donne in quanto sono capaci di generare. Sicuramente esiste anche questo fantasma maschile, ma gli psicoanalisti sanno bene che l'orrore per le donne è sempre l'orrore per la sessualità femminile

Comunque, se uno non vuole proprio fidarsi dagli psicoanalisti si può analizzare la Storia: le pratiche di dominio, o possiamo chiamarle di tortura, in confronto delle donne, non sono state mai indirizzate al dominio della maternità, neanche al voler riappropriarsi dei figli naturali (questo forse è a quello che ambisce oggi la Scienza, ma questo è un altro argomento), bensì queste erano indirizzate ad eliminare il godimento femminile.

Le pratiche di tortura dell'Inquisizione sono un esempio dell'abnorme orrore ed attrazione che le donne “libere” provocavano alla dottrina cattolica, che “dovette” praticarle per centinaia di anni, prima di considerarsi soddisfatta dal lavoro fatto.

Ma la Storia è troppo recente, purtroppo. Molti misconoscono che i medici europei, anche quelli in Italia nel Novecento, usavano la clitoridectomia per trattare le donne che si masturbavano e per quelle isteriche. Su questa terapia psichiatrica troviamo vari scritti dove viene lodata soprattutto perché dopo l’intervento “tutto induce a credere che la cessazione delle sue vergognose abitudini masturbatorie sia permanente”.
Un libro intero venne scritto sull’argomento da Baker e Brown Sulla curabilità di talune forme di 
follia, di epilessia, di catalessi e di isteria nelle donne, (Londra, 1866).

E' normale provare ribrezzo per queste pratiche che vengono praticate ancora oggi in alcuni Paesi africani e asiatici, ma bisogna essere onesti e ammettere che considerare il godimento della donna qualcosa di diabolico e di peccaminoso è una rappresentazione che è stata imparata da noi dal cattolicesimo. La misoginia è un dato culturale dal quale non risulta facile sbarazzarsi.

Forse un'altro figlio della misoginia sia la “più comune degenerazione della vita amorosa” che Freud descrisse magistralmente. Questa doppia rappresentazione della donna tra la donna di facili costumi e la madre dei propri figli, ha avuto effetti giuridici in Italia fino l'anno 1996! Prima dell’attuale codice penale c’era (e c’e’ ancora nelle parti non modificate) il Codice Rocco, elaborato e promulgato in pieno regime fascista. Per il Codice Penale i reati di violenza sessuale facevano parte “Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume”. In questo modo si affermava che la violenza sessuale non offendeva principalmente la persona ma ledeva una generica moralità pubblica e voleva dimostrare che il bene che si voleva proteggere e tutelare non era tanto la donna, quanto il buon costume sociale, secondo il quale la donna non era libera di disporre di alcuna libertà nel campo sessuale. L'interesse delle leggi veniva destinato al mantenimento del sistema familiare patriarcale fascista in cui la donna era “sposa e madre esemplare”, creatura soggetta ed obbediente al suo destino biologico, alla funzione riproduttiva esaltata come missione per il bene della Patria.

 

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