LO SPIRITO E L'OSSO
Scritti a futura memoria
di Fabio Milazzo

Spettri della libertà. Žižek e l’ideologia neoliberale.

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30 luglio, 2016 - 10:05
di Fabio Milazzo
«Le nozioni ideologiche predominanti come libertà e democrazia
(e, possiamo aggiungere, tolleranza) sono “nozioni di disorientamento”:
esse offuscano la vera linea di separazione,
mentre un'Idea vera separa,
permettendoci così di tracciare chiaramente questa linea
 (tra la nostra posizione emancipativa e l'ideologia che vogliamo rifiutare)».
Slavoj Žižek, Benvenuti in tempi interessanti.

 
 
 
Il fantasma della fine della storia.
 
Se volessimo stilare una ipotetica graduatoria dei libri più derisi - e incompresi – di ogni tempo, sicuramente, Francis Fukuyama con il suo «The End of History and the last man» [1992], pubblicato in italiano come «La fine della storia e l'ultimo uomo»[1], avrebbe un posto assicurato. Probabilmente molto in alto, se consideriamo come ancora oggi, a più di vent’anni dalla prima edizione del libro, è prassi socialmente condivisa, in certi ambienti intellettuali, quella di farsi beffe del celebre saggio attraverso cui il politologo, constatata l’implosione dei regimi comunisti, annuncia la fine della storia e la piena affermazione della «liberaldemocrazia», in particolare, la versione affermatasi negli Stati Uniti. La tesi di Fukuyama, ridicolizzata e sbeffeggiata come poche altre di recente, è invece attualissima e per molti versi offre una chiave d’interpretazione utile per comprendere la tarda-contemporaneità. Infatti, se per storia intendiamo un tipo particolare di storicismo teleologico che afferma il proprio traguardo nel pieno dispiegarsi di un sistema sociale, politico ed economico, organizzato intorno a quella che Dardot e Laval hanno definito «la nuova ragione del mondo»[2], è indubbio il successo del modello neoliberale. Ogni possibile alternativa a quest’ordine della ragione sembra elucubrazione da perditempo e illusione di utopista. Nessuna valida alternativa si prospetta all’orizzonte e non è forse questo il segnale più evidente di un’«epidemia dell’immaginario»[3] che ha congelato l’ordine del discorso possibile in una costellazione necessaria e immutabile? In altre parole, il neoliberalismo ha fissato e immobilizzato le condizioni di possibilità che articolano il «mondo»[4] e le possibilità di pensarlo.

«Il capitalismo liberal-democratico è accettato come la formula definitiva della migliore società possibile, e tutto quello che si può fare è provare a renderla giusta, tollerante…»[5]. Con queste parole Slavoj Žižek, che rilegge criticamente Fukuyama, sembra prendere atto che il capitalismo ha ormai dislocato la propria ragion d’essere, riuscendo ad imporre la propria logica del mondo. Abitiamo il migliore dei mondi possibili, di questo, neanche troppo in fondo, siamo convinti più o meno tutti ed è la ragione per cui il cambiamento tanto sperato, invocato e desiderato, non può che riguardare il processo di lento aggiustamento di questo sistema, non il suo sovvertimento. Forte di questa convinzione, più o meno ammessa, la società matura rifiuta le utopie in nome della libertà, del progresso e dello sviluppo indefinito che essa promette. E proprio il progresso scientifico e tecnologico, interpretato teleologicamente, viene da Fukuyama assunto come movente fondamentale dell’attività umana culminante nell’affermazione del neoliberalismo. In questo disegno, di chiara matrice hegeliana, la libertà è sempre funzionale al pieno dispiegarsi di una società in cui l’aumento della produzione di merce genera, secondo un processo che si autoalimenta, una crescita e una disseminazione dei bisogni. Questi ultimi vengono soddisfatti grazie al libero e reciproco riconoscimento hegeliano tra le coscienze, secondo una lettura che molto deve a  Alexandre Kojève. Coscienze che condividono la spinta ideale verso una società più ricca e in grado di garantire la soddisfazione più ampia per tutti. La tensione verso l’appagamento generale è l’unica utopia[6] ammessa dal sistema che, diversamente, rifiuta ogni infantilismo ideologico e i conseguenti conflitti che ne possono derivare. Paradigmatiche, in tal senso, sono le dichiarazioni degli esponenti del New Labour, il «centro radicale» di Tony Blair, pienamente inserito nell’orizzonte neoliberale. Secondo i New Labour l’importante è: «far proprie le buone idee, da qualsiasi parte (ideologica) provengano, e di applicarle senza pregiudizi»[7].  Queste buone idee, secondo Žižek, sono semplicemente quelle che funzionano, quelle che riescono a raggiungere lo scopo all’interno delle coordinate di una determinata costellazione «che stabilisce prima di tutto cosa può funzionare»[8]. Sempre secondo l’analisi di Žižek, la dimensione entro la quale le «idee devono mostrare di saper funzionare», è quella globale del capitalismo, organizzata intorno alla presunta sovranità dell’homo oeconomicus.

Nella libertà del mercato, dunque, si colloca il principio di verità del neoliberalismo e governare, in questo orizzonte discorsivo, significa favorire il pieno dispiegarsi della potenza veritativa degli spazi in cui si incontrano domanda e offerta, produzione e scambio di beni. Eppure, l’esperienza della recente crisi finanziaria, l’indebitamento di tanti istituti di credito, la diffusione di obbligazioni e titoli tossici, evidenziano quanto questo mercato sia ontologicamente incapace di funzionare da solo, anzi, quanto si sostenga su ciò che Žižek chiama la «violenza supplementare», un’istanza correttiva sempre in atto, necessaria perché il meccanismo eviti di raggiungere l’entropia e quindi la stasi mortifera. In altre parole, la libertà di questo mercato è una fantasia, cioè, lacanianamente, riguarda il dominio dell’Immaginario. Ma cosa significa che la libertà è una «fantasy»? E a cosa si riferisce Žižek quando parla di Immaginario? Innanzitutto bisogna precisare che la lingua inglese, quella utilizzata da Žižek per la scrittura della maggior parte dei suoi lavori, differenzia nella grammatica psicoanalitica «fantasy», che riguarda i sogni ad occhi aperti, le fantasie consce, da «phantasy», le immagini inconsce, i desideri inconsapevoli che animano il senso delle rappresentazioni, «Urphantasie». Nella lettura eterodossa che Žižek fa dell’universo metapsicologico freudiano e della psicoanalisi lacaniana egli, però, utilizza il termine “fantasy” nella duplice accezione di «fantasia» e di «fantasma», di immagine e di riflessione sul suo senso, di impostura fondamentale e di rappresentazione sostitutiva, di «fiction» e di schermo nei confronti del Reale traumatico. Allora cosa si deve intendere per Immaginario?
 
«[…], l’Immaginario è lo schermo stesso che […] racconta la storia che permette al soggetto di (fra)intendere il vuoto attorno a cui ruota la pulsione come perdita primordiale costitutiva del desiderio. In altre parole, l’Immaginario fornisce una ratio per l’intrinseco vicolo cieco del desiderio: esso allestisce la scena in cui la jouissance di cui siamo privi si concentra nell’Altro che ce l’ha sottratta»[9]
 
In altre parole, l’Immaginario è ciò che fornisce una cornice entro cui il trauma della mancanza, intorno a cui prende forma il desiderio del soggetto, viene disinnescato e addomesticato attraverso una narrazione di comodo. La soggettività, per mezzo della fantasia, riesce a sopportare lo smacco per l’impossibile godimento, condizione necessaria, questa, per l’ingresso della soggettività nel dominio simbolico. In fine dei conti, quello che l’immaginario tenta di mettere in scena è l’“impossibile” «scena della castrazione»[10], il funzionamento perfetto del sistema sulla base del pieno godimento dell’oggetto incestuoso, «Das Ding».  Come afferma chiaramente Marco Senaldi:
 
«In questa deriva, il fantasma che inerisce al soggetto (fantasy) ricompare in un secondo tempo come ideologia (social fantasy) insita nella società e nel suo modo di rappresentarsi – e infine si dispiega ad un terzo livello come autentica dimensione trascendentale, laddove l’immaginario appare come la “determinazione” che riflette in sé i primi due livelli, e insieme cessa di essere un che di transeunte, per diventare un vero “momento” dialettico»[11].
 
Questo significa che la «fantasia» non soltanto ha un significato individuale, ma ha anche un valore performativo collettivo e agisce «come autentica dimensione trascendentale». Per Lacan, cui Žižek si richiama, l’Io [Moi] non produce la fantasia, ma ne è l’effetto; per estensione la stessa rappresentazione sociale collettiva altro non è che «un’accozzaglia di identificazioni immaginarie»[12]. Dunque, la fantasy è ciò che Senaldi definisce «un pròton pseudos fondativo»[13], cioè «qualcosa che non è semplicemente illusorio, ingannevole»[14], ma che è in grado di dare consistenza alla fragile struttura ontologica della realtà. Questo perché per Lacan, cui Žižek fa esplicito riferimento, la realtà, in quanto universo strutturato simbolicamente che prende forma intorno a una mancanza [«manque à être»], che non è formalizzabile e sfugge ad ogni simbolizzazione, necessita di «un minimo di cornice fantasmatica per funzionare, altrimenti, senza di essa, crollerebbe miseramente, rivelando il suo statuto traumatico spettrale, cioè Reale»[15].  Žižek lo esprime molto chiaramente quando ribadisce che «Il fantasma, al suo livello più elementare, diviene inaccessibile al soggetto. E’ questa inaccessibilità a rendere il soggetto, come Lacan lo caratterizzava, 'vuoto'»[16] .

La fantasy, dunque, non soltanto sostiene la trama simbolica, ma ne colma anche la falle, i buchi, i vicoli ciechi. E’, in tal senso, l’illusione di poter sanare le aporie del discorso, attraverso la saturazione dei suoi spazi vuoti. Sul piano collettivo questo discorso ha una traslazione originale, attraverso cui Žižek illustra come la società si serva delle sue fantasie per obliare il fatto stesso che la realtà sia bucata, cioè squarciata da zone di non-senso insaturabili. Più precisamente come risulti necessario elevare un significante della realtà al duplice livello di feticcio e di «schermo per coprire il fatto stesso che l’idea di una società armoniosa non c’è, non esiste, non funziona»[17]. E’ il caso della «libertà» nella narrazione neoliberale, la cui funzione è quella di far funzionare il discorso risolvendone i vicoli ciechi.

 

Vizi privati, bene comune
 
Dunque, una delle condizioni a-priori del neoliberalismo è «l’utopia liberale in se stessa»[18]e la fantasy che la sostiene rendendola possibile. Il sistema, nella sua declinazione socio-politica, si regge su di un assunto: la libertà. Perché questa possa effettivamente organizzare la costellazione bisogna evitare la deriva “morale”, quella che prende forma nel tentativo di stabilire un insieme di regole valide per il “cittadino modello”. “Liberare” la collettività dagli ideali morali, accettare gli individui come sono, dovrebbe dunque essere il postulato fondamentale all’interno della realtà neoliberale. E una comunità di egoisti liberi è quella che serve per “far funzionare”, attraverso le “buone idee”, tale organizzazione politico-sociale. Ma come evitare che gli egoismi conducano l’insieme verso l’autodistruzione? Žižek, servendosi del Kant di «Per la pace perpetua»[19], afferma che il problema del funzionamento di questo corpo sociale egoista è stato risolto proprio attraverso gli elementi che costituiscono il problema stesso, vale a dire i «vizi e gli egoismi privati» dei soggetti. Questi garantiscono un insieme di forze che, contrapposte le une alle altre, mantengono una forma di equilibrio precario e perverso, ma necessario per l’esistenza e la salvaguardia dell’insieme stesso. Tanti interessi, nessun interesse, «vizi privati, bene comune»[20].

Precisato ciò dovrebbe essere chiaro perché, per Žižek, il nucleo ideologico del neoliberalismo risulti essere affermato come evidente paradosso in atto, anche più sublime rispetto a quello dei regimi politici del XX° secolo. «Il liberalismo concepisce se stesso come “politica del male minore” e la sua ambizione è di produrre il “minore male sociale possibile”, evitando in questo modo un male più grande, poiché considera ogni tentativo di imporre direttamente un Bene positivo come la fonte ultima di tutti i mali»[21]. Quindi, il sistema si sostiene sulla necessità di affermare la libertà per garantire l’esercizio degli egoismi necessari affinché la comunità non imploda. Ma la libertà che deve essere assicurata – e affermata – non può e non deve veramente realizzarsi, perché in questo caso comporterebbe l’entropia del sistema. In altre parole, «la fantasia fondamentale non può essere ammessa perché una volta realizzata si disintegrerebbe l’insieme; essa non è dunque la verità fondamentale, ma la menzogna fondamentale, la bugia (segreta, ben nascosta), che tiene oscenamente insieme i pezzi sparsi della soggettività»[22] e della collettività di cui quest’ultima fa parte. Come sostiene Žižek: «La fantasia fondamentale non è l’ultima verità nascosta, ma l’ultima menzogna asilare, il motivo per cui la distanza verso la fantasia, il rifiuto di metterla in scena direttamente, non testimonia semplicemente di una forza repressiva, ma anche ci permette di articolare questa falsità della fantasia»[23]. Queste fantasie, che risolvono sul piano della collettività le falle del sistema, mostrano controluce il loro carattere di «ideologie», cioè di «campo simbolico contenente un tal riempitivo [feticcio, fantasy], il quale sta al posto di una certa impossibilità strutturale, mentre allo stesso tempo rinnega questa impossibilità»[24]. E ciò indica il passaggio dalla fantasia individuale, il fantasma, al piano intersoggettivo che regola la società, l’Immaginario. Non è possibile pensare la prima se non all’interno delle coordinate offerte dal secondo, «della bugia fondamentale che serve per nascondere l’antagonismo fondamentale che spacca l’identità del gruppo sociale come tale, e che si riflette sulla spaccatura interna all’identità del soggetto come tale»[25]. Così, il carattere ideologico intersoggettivo della costellazione, anche se negato espressamente dal neoliberalismo, è invece affermato in tutta la sua evidenza.

Ma c’è un altro elemento osceno da tenere in considerazione. Perché un sistema di questo tipo funzioni è necessario un supporto regolativo supplementare. Infatti, se la società fa appello agli egoismi particolari e al loro esercizio minimo consentito, è necessario elaborare un articolato sistema di regole e di leggi volte ad impedire che la comunità collassi, divorata dalle condizioni stesse che la pongono in essere. In altre parole, se per evitare la reificazione morale non si fa appello ad un insieme minimo di regole condivise socialmente, è necessario, allora, ordinare e regolare l’esercizio possibile di questi egoismi attraverso norme via via più articolate e complesse. Insomma, per scongiurare la sopraffazione degli uni sugli altri bisogna riempire il codice di leggi e regole. O fare appello ad una morale, esplicitamente negata, ma riaffermata attraverso il riferimento alla tradizione. Solo quest’ultima, infatti, attraverso i criteri di onore e infamia, può garantire il controllo e la sanzione sociale di ciò che sfugge alla cattura della legge. Qualunque strategia si scelga di adottare è sempre l’utopia della libertà ad essere messa in discussione, limitata, sottoposta a una qualche forma di vincolo, più o meno esplicito.

Nella sua analisi dei limiti e delle contraddizioni del sistema, Žižek, nota che le coordinate ideologiche del multiculturalismo neoliberale sono organizzate da due ideologie: lo storicismo relativista e l’ermeneutica del sospetto. Entrambe concorrono alla relativizzazione di ogni valore, ritenuto espressione contingente di un determinato segmento spazio-temporale. Il risultato epocale è l’attacco al “ruolo dei padri”, alla loro autorità, trascinata «via dalle piene» della critica al «fallogocentrismo patriarcale»[26]. Eppure, come riconosce Žižek, è uno strano paradosso quello di un attacco sociale che si compie in concomitanza di un collasso intestino generalizzato, legato al  pieno dispiegarsi dell’ideologia mascherata del liberal-parlamentarismo[27]. Una costellazione politica che si regge sull’assunto della piena libertà dei governati non può contemplare alcuna forma di potere onto-teologico; il padre, per essere più precisi il significante che ne rappresenta l’autorità, dunque, smette di esercitare la sua funzione perché privo di senso in quest’ordine. Il «nome del padre», pensato da Lacan [28] come il significante del divieto, l’argine del godimento, nella costellazione neoliberale, nonostante le aporie appena descritte, smette di avere un senso e quindi evapora. Ma «quando la famiglia e la parentela stessa sono ridotte de jure a un contratto temporaneo e rescindibile tra individui indipendenti»[29], cosa garantisce quell’argine necessario per la tenuta della società? L’interrogativo, secondo Žižek, riguarda sempre una delle falle più profonde dell’utopia neoliberale, quella del rapporto problematico tra libertà e suoi effetti, tra il suo esercizio e i suoi limiti. Ma la questione non può essere ammessa, né portata alla luce, diversamente causerebbe la disintegrazione della costellazione. Per questo si cerca di evitare l’incontro con Il Reale della posta in gioco, con il suo nocciolo problematico, e si elaborano soluzioni e prospettive assolutamente inefficaci, come quella di vagheggiare una «società dei fratelli», al posto di quella regolata dal «Nome del Padre». Questi dovrebbero sostituire all’arbitrio dell’Uno la condivisione dei Molti. Eppure, questa soluzione, come già quella di Fukuyama che fa appello al «libero riconoscimento delle autocoscienze», non fa fino in fondo i conti con l’energia desiderante che anima oscenamente la soggettività. Infatti, la tensione verso l’oggetto responsabile del desiderio, l’«objet petit a», non può che traslare il conflitto dal piano verticale della lotta contro il Padre, a quello orizzontale del tutti contro tutti. A meno di non contemplare una qualche forma di argine, di limite.

Ma le aporie non si fermano qui. Infatti, a pensarci bene, anche la strana mistura di ermeneutica e storicismo che organizza l’orizzonte di senso della contemporaneità si regge su un paradosso. Lo storicismo radicale che dovrebbe relativizzare ogni valore[30], in verità, «coincide con una rozza misurazione del passato secondo i nostri standard»[31]. E le società neoliberali dell’Occidente che difendono a “spada tratta” la “democrazia” quale forma di governo ideale, transtemporale, sono le stesse che pretendono di relativizzare le costruzioni politiche delle altre civiltà perché datate, frutto di arcaismi da superare. I recenti conflitti in Iraq e Afghanistan stanno lì a dimostrare, con vergognosa evidenza, proprio quanto la soluzione attuata per imporre il modello ideale sia peggiore del male che si vuol curare.  Il paradosso, secondo  Žižek, raggiunge però livelli da cortocircuito, quando si pretende di giudicare il proprio passato e di rettificarne i crimini commessi attraverso pagamenti e rimborsi spese devoluti agli eredi delle presunte vittime. Il caso dei «neri d’America», dei «Pellerossa» e degli Ebrei è sintomatico. Applicando un criterio di giudizio che dovrebbe valere solo per questo segmento spazio-temporale, si pretende di «indennizzare la violenza collettiva del passato attraverso pagamenti o disposizioni legali»[32]. Si nega al passato il valore delle considerazioni espresse in base al più ingenuo degli atteggiamenti anacronistici. Ma su quale base?
 

Il dono avvelenato.
 
Come, forse, a questo punto dovrebbe essere chiaro, per Žižek, la trama simbolica neoliberale è bucata da alcune falle saturate dalle diverse fantasie che, intersoggettivamente, assumono la forma di schermo necessario, di filtro e di condizione d’essere della realtà. Quest’ultima, per funzionare, presuppone un certo grado di fiducia nei meccanismi del «Grande Altro», la trama simbolica con le sue regole e pre-condizioni.  Una di queste condizioni da accettare è l’asimmetrica partecipazione degli attori in campo al «teatro degli scambi»: «la condizione a priori è che ciascuno dei partecipanti dia qualcosa senza avere nulla in cambio  per poter prendere parte al gioco del do ut des»[33]. Žižek sottolinea come simili pre-condizioni, accettate in forma inespressa da tutti i partecipanti al gioco, siano necessarie per stabilire quel patto illusorio su cui si regge il «Mercato». Alle spalle di tutto c’è una menzogna, chiamiamola pure una “illusione necessaria”, quella riguardante le modalità dello “scambio” e del “dono”. Mauss ha mostrato come il «Potlach»[34], il reciproco scambio di doni caratterizzante diverse società, si regga su un paradosso. Il dono differisce dallo “scambio” perché non prevede la reciprocità[35], «è per definizione un atto di generosità, fatto senza aspettarsi qualcosa in cambio»[36]. Il «Potlach», invece, è animato dal paradosso secondo il quale lo scambio di doni è presentato come libero, mentre invece è convenzionalmente regolato secondo necessità: i due successivi gesti “liberi”, il dono e il contraccambio successivo, se ad un primo sguardo appaiono essere espressioni della generosità, in verità, nascondono un nucleo violento tipico della logica della vendetta. Chi ha subito il dono si deve vendicare per essere stato posto in un rapporto di sudditanza dal soggetto che ha inaugurato il processo. La posta in gioco è la quota simbolica che rende uno dei due soggetti, quello che ha ricevuto l’omaggio, schiavo per debiti[37]. Eppure, questa “vendetta necessaria” deve essere dissimulata per salvare simbolicamente il “patto” che regola lo stare in comunità. Restituire immediatamente quanto ricevuto in dono è sgradevole, di cattivo gusto e, oltre a denotare una certa rozzezza di comportamento, evidenzia un potenziale di aggressività implicita insopportabile per la tenuta delle relazioni sociali. Come aggirare questa ambiguità che da un lato rischia di minare le relazioni e dall’altro stabilisce una posizione di inaccettabile sudditanza? Il «Potlach» risolve il dilemma attraverso il differimento temporale. E’ il tempo che intercorre tra il dono ricevuto e il contraccambio a garantire il riequilibrio della situazione. Ed è proprio questo differimento a rappresentare la differenza fondamentale tra il «Potlach» e le logiche del Mercato che, invece, impongono una reciprocità non ritardata o, diversamente,  una quota di interesse come forma di risarcimento per l’asimmetria temporale.

Così, secondo Žižek, il «Potlach» e le logiche del Mercato possono essere assunti come ulteriori rappresentazioni dell’Immaginario  nelle due dimensioni della fantasia e del Reale spettrale.  Nel caso del dono si finge che lo scambio sia autonomo e frutto di generosità, uno schermo fantasmatico ne garantisce la possibilità attraverso una fantasia in grado di garantire la tenuta della trama simbolica. Nel caso delle logiche di Mercato, questa finzione viene meno e si è posti di fronte al Reale «nudo e crudo», al suo impatto traumatico e brutale: il do ut des è assunto senza filtri nella violenza che lo anima e regola. In questo caso, il tempo e la moneta sono gli strumenti che emancipano la collettività dalla costituzione di indesiderate relazioni durevoli. In entrambi le situazioni, però, l’incontro con la realtà è sempre spettralizzato, è cioè «una fiction» dice Žižek, che per prendere forma «deve essere inquadrata all’interno di una minima cornice fantasmatica»[38]. In questo senso «[…] la forma più alta di ideologia non consiste nel venire catturati dalla spettralità ideologica, dimenticando la sua fondazione nelle persone reali e nei loro rapporti, ma proprio nel trascurare questo Reale della spettralità e nel fingere di rivolgersi direttamente 'alle persone reali con i loro problemi reali'»[39]. Proprio quest’illusione, che innerva oscenamente sia la costellazione simbolica regolata dal  «Potlach», sia quella delle «leggi di Mercato», «è IDEOLOGIA allo stato puro»[40].
 
 


 



[1] Cfr. F. Fukuyama, La fine della storia e l'ultimo uomo, trad.it. di D.Ceni, Rizzoli, Milano, 1992.
[2] Cfr. P.Dardot e C.Laval, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, trad. it. R. Antoniucci e M. Lapenna, Derive Approdi, Roma 2013.
[3] Cfr. S. Žižek, L'epidemia dell'immaginario, a cura di M.Senaldi, Meltemi, Roma 1997.
[4] Qui l’accezione di “mondo” è ripresa dalle ultime analisi di Badiou contenute in Logiques des Mondes (2006) e nel Alain Badiou, Secondo Manifesto per la filosofia, ed. Cronopio, Napoli 2010, laddove si precisa che per “mondo” si deve intendere  l’insieme di relazioni di contingenza capaci di organizzare un insieme sulla base delle sue coordinate trascendentali.
[5] Cfr. S. Žižek, Come cominciare dall’inizio in (a cura di) Douzinas-Zizek, L’idea di Comunismo, Derive Approdi, Roma 2011, p.234.
[6] Su una posizione totalmente divergente e sulla “necessità” delle utopie vedi F. Jameson, Il desiderio chiamato utopia, Feltrinelli, Milano 2007.
[7] Cfr. S.Zizek, Difesa dell’intolleranza, Città Aperta, Troina 2003, p.32.
[8] Ivi, p.33.
[9] Cfr. S. Žižek, L’epidemia dell’immaginario, trad.it. di G. Illarietti e M. Senaldi, Meltemi, Roma 2004, p.56.
[10] Cfr. S. Žižek, L’epidemia dell’immaginario…cit., p.29.
[11] Cfr. M.Senaldi, Slavoj Žižek e l’immaginario, «International Journal of Zizek Studies», vol. I.4.
[12] Cfr. J-A Miller, Schede di lettura lacaniane in Lacan, J., Il mito individuale del nevrotico, a c. di A. Di Ciaccia, Astrolabio, Roma, 1986.
[13] Cfr. M.Senaldi, Slavoj Žižek e l’immaginario…cit.
[14] Ibidem.
[15] Ibidem.
[16] Slavoy Žižek, Leggere Lacan.Guida perversa al vivere contemporaneo, trad.it. di M. Nijhuis, Bollati Boringhieri, Torino 2009, p.73
[17] Ibidem.
[18] Cfr. S.Zizek, Politica della vergogna, trad.it. di M.Agostini, Nottetempo, Roma 2009, p.31.
[19] Cfr. I.Kant, Per la pace perpetua, trad.it. di R.Bordiga, Feltrinelli, Milano 2007, pagg.75-76.
[20] Cfr. S.Zizek, Politica della vergogna …cit., p.33.
[21] Ibidem
[22] Cfr. M.Senaldi, Slavoj Žižek e l’immaginario…cit.
[23] Cfr. S.Zizek, The Violence of the Fantasy, «The Communication Review», 6; pp. 281-282.
[24] Cfr. S. Žižek, L’epidemia dell’immaginario…cit., p.114.
[25] Cfr. M.Senaldi, Slavoj Žižek e l’immaginario…cit.
[26] Cfr. S.Zizek, Politica della vergogna …cit., p.36.
[27] Per la definizione di liberal-parlamentarismo vedi quanto affermato da A.Badiou in Logiques…cit e in  Secondo…cit., p. 19 e segg.
[28] Cfr. J.Lacan, Dei nomi del padre-Il trionfo della Religione, Einaudi, Torino 2006.
[29] Cfr. S.Zizek, Politica della vergogna …cit., p.37.
[30] Solo per una primissima disamina rapida della questione vedi: D.Marconi, Per la verità. Relativismo e la filosofia, Einaudi, Torino 2007.
[31] Cfr. S.Zizek, Politica della vergogna…p.37.
[32] Cfr. S.Zizek, Politica della vergogna …cit., p. 40.
[33] Cfr. S.Zizek, Politica della vergogna...cit, p.41.
[34] Cfr. M.Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, trad.it. di F.Zannino, Einaudi, Torino 2002.
[35] Cfr. le analisi sul dono del tempo di J.Derrida, Donare il tempo. La moneta falsa, trad.it. di G.Berto, Raffaello Cortina, Milano 1996.
[36] Cfr. S.Zizek, Politica della vergogna …cit.p.41.
[37] Solo per inciso ricordiamo come la prigione fosse la pena tipica nelle società di Ancien Regime per quanti non riuscivano a saldare il debito. Vedi: P.Prodi, Settimo non rubare. Furto e mercato nella storia dell’Occidente, Il Mulino, Bologna 2009.
[38] Cfr. M.Senaldi, Slavoj Žižek e l’immaginario…cit.
[39] Cfr. S. Žižek, Il godimento come fattore politico, cur. D.Cantone, R. Scheu R, Raffaello Cortina, Milano 2001, p.112.
[40] Ibidem.

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