Percorso: Home 9 Rubriche 9 BUONA VITA 9 A proposito di fertilità e generatività. La coppia che non si forma e che non continua. Una visione dell’attuale denatalità dal vertice psico-sociale

A proposito di fertilità e generatività. La coppia che non si forma e che non continua. Una visione dell’attuale denatalità dal vertice psico-sociale

2 Set 16

A cura di luigidelia


I giovani innamorati degli anni precedenti ai nostri (anni ’50, ’60, ’70) nulla potevano sospettare di quanto sarebbe accaduto negli anni successivi. Dice Paul Valery, “il futuro non è più quello di una volta“. Ed è andata proprio così: il futuro che hanno in mente le coppie odierne è sideralmente lontano da quello che immaginavano i teneri fidanzatini dei decenni precedenti.

Trattare qui della coppia come ulteriore territorio di alienazione compiacente ha il senso di tematizzare un ambito di mutazione vistosissimo. Negli ultimi decenni è avvenuta, in brevissimo tempo, una rivoluzione silenziosa che ha cambiato la vita di molti di noi: la coppia con i suoi vecchi e nuovi meccanismi di fondazione e mantenimento ha subito un attacco frontale di proporzioni inedite ed attualmente tali meccanismi si sono fortemente indeboliti, talora, possiamo dire, distrutti, tal che, come mostrano alcuni dati statistici (ma è anche diffusa percezione di molti addetti ai lavori e non), è possibile affermare che le coppie contemporanee incontrino soverchie difficoltà a formarsi e/o durare.

Nell’ampia fascia di età (13-60) nella quale si è maggiormente esplorativi riguardo le progettualità di coppia, in tutte le sue varianti – dalla coppia adolescenziale alla coppia dell’età giovanile orientata alla formazione di una famiglia, fino alla coppia coniugale nella famiglia – si riscontra una nuova evanescenza e la significativa variazione di priorità interiori rispetto ad epoche recenti.
Questo conduce a nuove forme di sofferenza, nonché ad altre criticità, inerenti proprio alle fatiche e alle ferite relative alla costruzione/manutenzione della coppia stessa, divenuta negli ultimi decenni oltremodo difficoltosa, oltre naturalmente a sofferenze nella vita familiare, laddove la coppia è dentro famiglie già formate o in unioni di lungo corso.

Ma l’effetto più vistoso che l’evanescenza della coppia produce riguarda, attraverso l’esito di una conseguente minore natalità, il prevedibile spopolamento della nostra società in tempi rapidi. Evenienza questa che obbliga ogni studioso sociale a riflessioni più approfondite. Cosa accade, infatti, in una civiltà nella quale generatività e ricambio generazionale hanno oltrepassato una soglia critica (in basso)? Cosa vuol dire questo dato? Quali conseguenze psichiche e sociali si realizzano in una società nella quale le coppie non riescono più a stare assieme, non riescono o non vogliono costruire famiglie e fare figli?

Tra gli studiosi sociali che si occupano di queste domande troviamo anche gli psicologi e psicoterapeuti attuali i quali trattano infatti, tra gli innumerevoli problemi dei propri utenti, un’alta percentuale di problematiche legate alla vita affettiva e sentimentale, e utilizzano molto del loro tempo, delle loro energie e dei loro pensieri occupandosi di questioni dei loro utenti inerenti questa vastissima gamma di situazioni che sono gravitanti, volendo essere sintetici, intorno ai tentativi di formazione della coppia da un lato e/o al complicato mantenimento della stessa, dall’altro.

Gli psicologi ritrovano spessissimo ad operare con ventenni-quarantenni in continuo scacco con il progetto-coppia, reduci da numerosi tentativi falliti, che hanno rinunciato ad affrontare o hanno rimandato sine die l’appuntamento con il loro desiderio di famiglia e di figli, salvo poi scoprirlo come irraggiungibile. O con ventenni terrorizzati dalla semplice prospettiva di un incontro che potrebbe cambiare loro la vita. Oppure con gli stessi ventenni-quarantenni incastrati mani e piedi dentro le loro famiglie di origine impossibilitati ad immaginare una loro autonomia, seppure soltanto abitativa. Oppure ancora con coloro che, essendo riusciti a costruire una parvenza di stabilità di coppia e poi anche una famiglia con figli, si accorgono ben presto, e con una certa delusione, dell’eccessiva instabilità di ciò che hanno raggiunto e costruito.

Ci si accorge – e personalmente mi sono ritrovato non senza stupore a rilevare – che nessuno dei nostri utenti (ma anche dei nostri conoscenti) vive la dimensione della coppia come priva di problematiche importanti o perché vissuta come irraggiungibile o non componibile, oppure, laddove esistente, tale dimensione è gravemente minacciata, sotto scacco, destrutturata, evanescente. Avanza la sensazione che la dimensione di coppia sia divenuta oramai svantaggiosa.

Queste situazioni però, contrariamente a quanto si potrebbe pensare in prima battuta, non riguardano sono quella fetta di popolazione che corrisponde all’utenza dello psicologo (anzi, coloro che riescono a riconoscere tali difficoltà e si fanno aiutare si danno una chance in più), ma come vedremo più avanti la maggioranza dei giovani contemporanei.

Proverò qui ad esplorare, nei limiti delle mie possibilità e delle mie chiavi di lettura, sicuramente parziali, quali meccanismi, e su quali piani poliedrici, si sono determinati i cambiamenti di asse, di centro di gravità, di significazione, di codici di rappresentazione soggettivi e sociali che sono alla radice delle nuove difficoltà delle coppie contemporanee e del loro nuovo statuto (una seconda parte riguardante sempre la coppia, ma dal punto di vista terapeutico, la trovate nel capitolo successivo). Tale esplorazione vuole essere propedeutica per il lavoro dello psicologo non solo con le coppie, ma con tutti gli individui che portano criticità in questo vasto ambito, e prelude ad alcune indicazioni che sono contenute alla fine del lavoro stesso.

Dal punto di vista dell’approccio teorico al problema in oggetto, in quanto fenomeno di massa, e certamente non solo psicologico, l’assunzione di punti di vista provenienti da altri ambiti del sapere, diventa essenziale per aumentarne la comprensione.
Occorre dunque innanzitutto studiarlo utilizzando in primis gli strumenti della statistica ed epidemiologia, ma anche di altre scienze storico-sociali (storia, sociologia della famiglia, antropologia, economia politica), discipline queste che, per ragioni rigorosamente legate alla programmazione socio-politica, sono obbligate a comprendere il movimento della società (nella fattispecie italiana, ma anche occidentale). E solo successivamente occorre integrare gli strumenti dei modelli psicologici.
Solo dentro questo movimento più ampio è possibile leggere adeguatamente le trasformazioni di comportamenti, abitudini, rappresentazioni e pensieri intorno alla vita delle singole coppie.

I Numeri (Crudeli) delle Coppie Italiane

Il testo dello statistico Roberto Volpi, il cui amaro titolo, “La fine della famiglia”  (Mondadori, 2007), prelude all’auspicio contrario (in particolare nel capitolo III, “La coppia che non c'è”) dove vengono illustrati alcuni dati interessanti, e alcune tabelle dell’ultima rilevazione ISTAT che verte sullo stesso argomento.
Vediamoli insieme.
Tabella 1 – Percentuale popolazione che vive in coppia (dati 2001)

Età %
Fino a 24 5,1
25-34 45,0
35-44 75,0
45-54 80,8
55-64 78,6
65-74 66,9
75-84 46,0
85 e più 20,7
 
Tabella 2 – Giovani di 25-29 anni che vivono in famiglia
Giovani 1991 2001 2003
Maschi 52,5 65,5 69,7
Femmine 32,3 46,7 49,9
 

Tabella 3 – Percorsi affettivi. Dati Istat 2010




 Tabella 4 – Popolazione celibe/nubile (> 24 anni)

1991 2001 Differenza
5.673.719 8.170.888 +2.497.169       +44%
 
Riassumendo, non ci sono molti dubbi circa la lettura di queste cifre:
l  sotto i 35 anni sono la maggioranza (il 55%) coloro che non vivono in coppia (Tabella 1);
l  fino ai 29 anni è sempre crescente il numero di coloro che vivono in casa (circa il 60% in media tra maschi e femmine) (Tabella 2);
l  I percorsi affettivi tendono a rimanere sempre più statici e conservativi (Tabella 3)
l  la popolazione celibe/nubile è in netta espansione (Tabella 4).
 
Inoltre, occorre aggiungere un altro dato: le famiglie che hanno un capofamiglia minore di 35 anni sono circa l'11%, praticamente una netta minoranza. La famiglia giovane è già oggi un'assoluta rarità.
Considerando che si tratta di dati già di alcuni anni fa (2001-2003), e quindi non recentissimi, c'è da supporre che queste tendenze siano ancora in accentuazione.

Seguendo questo sviluppo e proiettando questi dati “crudi” nel futuro, tra non molti anni la coppia stabile diventerà una piccola minoranza nel nostro paese.
I più ottimisti intravedono in queste trasformazioni sociali i segni di cambiamenti in itinere che condurranno a mutazioni antropologiche e alla re-invenzione delle cellule sociali un tempo chiamate coppie e famiglie: ad esempio, nuove forme di socialità e di famiglie, talora simili a quelle del passato, come le famiglie allargate. Ma nessun segnale fa presagire al momento che questo sviluppo della società possa avvenire e tale ottimismo somiglia più ad una pia speranza. Tutto piuttosto fa pensare che l'eclissi della coppia proseguirà ancora e che le nuove forme di coppie e famiglie corrispondano più a soluzioni di ripiego che ad attendibili alternative embrionali.

Volpi aggiunge, tra i numerosi spunti di analisi e riflessione del suo prezioso testo, altri dati abbastanza clamorosi che letti nell'insieme ci indicano una direzione inequivocabile della realtà sociale relativa a coppie e famiglie, (parliamo della realtà italiana, ma si potrebbe estendere ad ogni paese occidentale).
In un tempo considerato brevissimo in termini di mutamenti sociali e culturali, dalla metà degli anni '70 ad oggi, nel giro cioè di una generazione;
l  sono diminuiti i matrimoni di un terzo
l  sono diminuite le nascite di oltre un terzo
l  si è dimezzato il numero medio di figli per donna (da 2,4 a 1,2)
 
Nella successiva tabella, visualizziamo la progressiva e inesorabile tendenza degli ultimi 14 anni, anche se in realtà la discesa parte, come detto, dagli anni ’70.

  
Tabella 5 – Matrimoni, Divorzi, Separazioni. Periodo 1995-2008 (Dati Istat 2010)

Non stiamo dunque parlando di normali fluttuazioni statistiche dovute alla mutevolezza delle condizioni socio-economiche, ma parliamo di una tendenza della società che è più profonda, a matrice culturale, che non mostra andamenti alternativi a questo, anzi, che pare accentuarsi sempre più.
“Non ci si mette in coppia, non ci si sposa, non si fa famiglia quando ci sono le età giuste: logico che neppure si facciano figli, perché non si può certo contare sulla fecondità di quanti invece si mettono assieme con o senza matrimonio in tarda età […]”. I figli, aggiunge Volpi, sono diventati “sconvenienti” rispetto al progetto di coppia, quasi inessenziali. “Perso l'ancoraggio con i figli, la famiglia si sbilancia sempre più verso la prevalenza di esigenze e spinte individuali piuttosto che verso una superiore logica familiare che riesca a conciliarle senza per questo annullarle”.

Ma cosa c'entra, si obietterà, il discorso su figli e famiglia con il discorso coppia che appare evidentemente come preliminare, propedeutico, iniziale rispetto a quegli altri? Non si rischia di cortocircuitare e poi saturare di significati impropri il tema della formazione e mantenimento della coppia con prospettive che appaiono incongrue e/o lontane?
E poi, soprattutto, cosa può essere accaduto nel mondo in soli pochi decenni, tale da giustificare una rivoluzione dei costumi di questa portata?

Il Piano Storico

Dopo aver visto le statistiche inequivocabili che attestano il progressivo tramonto delle strutture sociali coppia e famiglia, proviamo a fare un passo avanti e analizziamo un po’ di storia. Per un fenomeno di questa entità, che riguarda l’intervenuta labilità/instabilità dei legami di coppia, occorre supporre, come per ogni fenomeno umano complesso, una concatenazione di piani interagenti che concorrono a determinare tutti i cambiamenti in oggetto.

Si tratta, in fondo, di comprendere, come mai negli ultimi decenni sia venuto meno – per usare una metafora chimica – quel fattore coagulante che rendeva solida ciò che ora è invece evanescente o liquida, cioè la struttura socio-relazionale della coppia contemporanea.

A guardar bene, ciò che è più vistosamente cambiato non è la ricerca della vita di coppia: gli individui infatti continuano copiosamente a cercarsi per fare coppia (o perlomeno tentarlo), con la medesima e forse maggiore frequenza rispetto ad epoche precedenti dove la sperimentazione relazionale era, per motivi culturali, spesso interdetta. Allo stesso modo, anche l’importanza assoluta ed intrinseca attribuita alla famiglia come valore e istituzione, non sembra essere calato nelle opinioni degli individui contemporanei.
Ma se allora coppia e famiglia continuano a rappresentare, come strutture valoriali, una sorta di “oriente” ancora stabile e luminoso che direziona i percorsi, cosa è veramente cambiato e cosa sta cambiando?

Le variabili che appaiono implicate sono la durata, la solidità/stabilità e la continuità delle coppie stesse, in definitiva le sue regole d’ingaggio: sono queste le fondamentali variabili che osserviamo cambiare vistosamente.

In una sola generazione, sotto i nostri occhi, con una rapidità impressionante, e senza che questa rivoluzione facesse rumore, anzi, con il massimo della naturalezza possibile, il fattore coagulante dell’essere in coppia ha mutato radicalmente le sue coordinate, le sue reazioni chimiche, il suo aspetto interno ed esterno, senza che questa vistosa e profonda mutazione sia stata intercettata nella sua globalità da analisi e valutazioni che ne rendessero intellegibili i processi e le cause.
Proviamo allora a fare un sintetico excursus dei vari piani in gioco nel tentativo di rintracciare le principali cause favorenti questo cambiamento.

Unione d’amore, unione frammentaria
Del tutto impensabile oggi per gli individui di una coppia occidentale immaginare di escludere il fattore “amore” nella scelta del partner. Certo, anche oggi esistono le unioni fondate su interesse e calcolo, o le unioni fondate su altri bisogni primari, come la fine della solitudine, la libertà, la fame,  etc., ma a parte queste eccezioni, nell’immaginario collettivo di ognuno l’innamoramento e l’amore sono l’indispensabile cemento per i membri della coppia senza il quale non può aver luogo alcun discorso di coppia.
Pensiamo perciò che sia sempre andata così, ma è esattamente il contrario, l’unione d’amore è piuttosto recente nella storia dell’umanità: amore e innamoramento non hanno quasi mai costituito, nella storia dell’umanità, il fattore essenziale della formazione delle coppie. L’amore romantico diventa ingrediente sempre più centrale per la formazione delle coppie solo dal XIX secolo in poi (Francois de Singly), prima nelle classi alte della società, e diventa cultura diffusa solo nel corso del XX secolo ed in special modo dall’ultimo dopoguerra fino ad oggi.

Nel libro “Le nuove famiglie” la sociologa della famiglia Anna Laura Zanatta, analizza le diverse e nuove forme di unioni matrimoniali (e non) che caratterizzano le famiglie contemporanee.
Il panorama che emerge è quello di una galassia, sempre mutevole, di forme-famiglie[1] nate a seguito della profonda crisi che attraversa da decenni l’istituzione matrimoniale.

Zanatta nota la curiosa coincidenza tra la crisi del matrimonio e l’affermazione, nella cultura e nelle consuetudini, del matrimonio d’amore“Paradossalmente l’aver posto l’amore romantico, cioè un corrisposto sentimento di dedizione profonda, a fondamento del matrimonio nella società contemporanea a rendere più fragile di un tempo l’unione coniugale. Nelle società del passato in cui, in tutte le classi sociali, il matrimonio era un’alleanza tra famiglie e i sentimenti degli individui erano del tutto irrilevanti, la stabilità matrimoniale era garantita appunto dagli interessi – economici e di potere – che stavano alla base di tale alleanza. Ora il matrimonio di amore ha preso il posto di quello combinato, le aspettative di felicità della coppia sono molto aumentate. L’unione rischia di perdere la sua ragion d’essere quando il sentimento amoroso viene meno. E poiché sono indeboliti i valori tradizionali, l’unione coniugale si rompe più facilmente di un tempo. La molteplicità dei modelli familiari esprime dunque il pluralismo culturale della società di oggi, cioè in sostanza i diversi modi di dare significato all’esistenza e di concepire la felicità individuale e di coppia”.

In passato dunque l’unione permanente finalizzata alla formazione di una famiglia orientava decisamente le tipologie di scelte, decisioni e parametri per le quali il coinvolgimento sentimentale dei futuri coniugi non appariva affatto essenziale.
Laddove abbiamo dismesso nella nostra epoca le precedenti regole non scritte della “combine” tra famiglie, il criterio nella scelta di partnership sembra aver preso decisamente la strada dell’amore romantico.
Ma se è l’obiettivo – la formazione della famiglia – che direziona il campo delle scelte, fin dentro i sentimenti, quali sono gli obiettivi degli individui e delle coppie contemporanee e quali criteri seleziona?

Diventa qui assolutamente palese il mutamento di coordinate – di regole d’ingaggio – che vede le coppie contemporanee costrette in ben poco tempo (in termini psico-antropologici) a riconfigurare radicalmente i loro itinerari e le loro rappresentazioni della vita in coppia. L’amore romantico tra due persone, che appare come elemento di forza nella stabilità della coppia, sembrerebbe invece produrre o comunque concorrere a realizzare (assieme naturalmente ad altre variabili sociali) una frammentazione sia della struttura di coppia che della forma-famiglia che non trova per il momento nessuna ricomposizione.

Tra tradizione e modernità: una prospettiva antropologica
Sappiamo viceversa, dagli studi storico-antropologici, che nelle società del passato le unioni fondate sull’amore passionale non appartenevano affatto al dominio della coniugalità, quanto piuttosto ad un registro assolutamente diverso di unione intrinsecamente contrario alla stabilità. In antichità (ed in parte ancora oggi) tra i greci, latini, semiti, indù, arabi, giapponesi, l’amore passionale rappresentava una pericolosa perturbazione dei legami familiari (Menarini R., Amaro C., 1999). I legami familiari (sia coniugali di alleanza, sia di filiazione) andavano protetti in ogni modo in quanto presiedevano al transgenerazionale, alla formazione delle generazioni future. Il transgenerazionale a sua volta era, attraverso la costruzione dei miti religiosi di tipo familistico, alla base della formazione stessa della società.

Ciò era ben visibile nella società latina dove tra gens, matrice familiare, ed ethnòs, matrice sociale, vi era totale sovrapposizione e dove, per Seneca, la madre di famiglia doveva essere intesa come una vera e propria funzionaria pubblica in quanto donatrice di prole alla società: mater-munus (da cui la parola matrimonio) significava infatti, dono della madre (Menarini R., Amaro C., 1999).

Il mito familiare che ogni civiltà antica ha costruito intorno all’unione coniugale finalizzata alla generatività rappresenta una difesa socio-antropologica a protezione della stabilità delle istituzioni.
Cosa è accaduto per cui oggi ci ritroviamo un capovolgimento delle coordinate così radicale tale per cui ciò che prima rendeva instabile la coppia oggi è rappresentato da ognuno come il pre-requisito essenziale di una coppia?

Occorre qui, a questo punto, ricostruire alcuni macro-passaggi che hanno condotto nella storia all’ascesa dell’individuo e della sua incessante e inalienabile ricerca della felicità. È infatti nell’humus della ricerca della felicità, dell’autodeterminazione dell’individuo che sembrano articolarsi quei passaggi di cui stiamo parlando.

I saperi storico-antropologici c’insegnano che nella lunga transizione dal mondo antico a quello moderno, dacché l’individuo era determinato e totalmente iscritto nei legami di appartenenza dei propri gruppi sociali di riferimento, si è passati all’individuo che sceglie e determina i propri legami sociali e si considera (a torto o a ragione) fautore del proprio destino.

Esiste però un’ampissima storia pre-individuale che occorre interrogare nella quale, secondo Marcel Gauchet (2002), si può parlare di “personalità tradizionale”, che corrisponderebbe agli universi sociali anteriori all’individualismo“ordinata attraverso l’incorporazione di norme collettive, […] un’incorporazione che si forma nelle società che si fondano sull’iniziazione, ossia un processo sociale attraverso il quale si realizza l’assegnazione simbolica a uno status di età, di sesso o di rango […] L’ante-individuo è letteralmente costituito dalla norma collettiva che porta in sé. Da essa provengono una sicurezza e una solidità che lo rendono effettivamente capace di determinarsi da sé all’interno del quadro ricevuto”.

La personalità moderna invece “nasce nella solitudine del proprio pensiero così come il pensiero nasce nella solitudine del soggetto. […] Emerge un individuo pensante che si autocrea e si autoafferma” (D. Marcelli, 2003) “è l’età dell’oro della coscienza e della responsabilità, un’età d’oro che comporta chiaramente come contropartita logica la messa in evidenza di un inconscio in cui si rifugia la parte simbolica che non ha più spazio nel funzionamento collettivo, in cui le regole del diritto sostituiscono l’autorità delle usanze e degli dei” (M. Gauchet, 2002).

Nel mondo occidentale l’individuo avanza maestosamente, trionfando nella propria vita, pensando di non dover rendere conto a nessuno se non a sé stesso. […] La sua libertà, un principio fondamentale ripetuto ogni giorno, non sopporta altri limiti al di fuori di quelli scelti e decisi da lui stesso. […] Il nostro pensiero ci appartiene, come il nostro corpo, e nessun altro al di fuori di noi ha su questo pensiero e su questo corpo un diritto superiore al nostro. Questa credenza è condivisa da coloro che ci circondano e questa condivisione rafforza la nostra convinzione e la nostra credenza. E’ questo il paradosso dell’individualità!” (D. Marcelli, 2003).

Diventando l’individuo fautore del proprio destino, s’indeboliscono di conseguenza i legami di appartenenza iscritti sotto l’egida del codice tribale e fraterno, ma s’indeboliscono parallelamente anche i legami di alleanza che si pongono invece sotto l’egida della differenza dei sessi e delle appartenenze familiari e che sono, secondo gli antropologi, i legami sociali propedeutici alle unioni coniugali[2].
Torniamo dunque, dopo questa traiettoria, all’amore romantico come pietra angolare dell’unione coniugale contemporanea.

Se l’amore romantico rappresenta il principale obiettivo socialmente sedimentato a fondamento delle odierne coppie, quali criteri di unione stabile esso è in grado di generare nell’epoca del tramonto/indebolimento dei legami sociali (e nella fattispecie dei legami di alleanza)?
Cosa diventa un rapporto subito dopo i primi mesi di innamoramento? Quali obiettivi comuni è possibile porsi? Dove rintracciare il senso dello stare assieme al di là delle gratificazioni personali e di coppia (finite le quali finisce la coppia)?

L’esperienza ci suggerisce piuttosto che una coppia che intenda rimanere assieme più di pochi mesi, ed intenda darsi slancio in progetti non effimeri, si ritrova oggi a fare tutta una serie di operazioni mentali e non, che però vanno ascritti sempre alla responsabilità e autodeterminazione dei singoli o della singola coppia (e non più alle regole non scritte della società), alla loro capacità di ridurre drasticamente le aspettative, di prendere coscienza di sé e della situazione, di farci i conti, di avere il piacere della scoperta, di tollerare le immani fatiche quotidiane, comprese le incompatibilità personali. Operazioni queste che, come ci dicono le statistiche, sembrano produrre più spesso esito infausto o altamente controverso, piuttosto che un stato di stabilità.

Sembrerebbe dunque essersi smarrito il “libretto d’istruzioni” di questo complicatissimo e meraviglioso giocattolo, cosicché ad ognuno di noi tocca avventurarsi e scoprire che si tratta di un percorso minato e ad ostacoli dove si può rimanere folgorati o schiantati dalla fatica o semplicemente travolti dalla confusione, risucchiati da mille questioni di natura personale e sociale per le quali oggi sembra diventato maledettamente difficile dare continuità (per chi sia interessato a questo) ad una relazione e ad una vita sentimentale.

La fine del dominio sul corpo della donna

Accanto a questa ricostruzione storico-antropologica, occorre a questo punto ricostruire anche i momenti storici più recenti. Tre date, negli ultimi decenni del XX secolo, vanno considerate come paradigmatiche dei passaggi storici che attestano probabilmente il fenomeno socio-culturale più rilevante dello scorso secolo (almeno in relazione alle tematiche delle coppie e famiglie che qui si trattano), e cioè l’avanzamento al centro della scena sociale della soggettualità femminile.

Prendendo in considerazione la società italiana (ma tale processo è analogo, solo con lievi sfasamenti cronologici, in tutto l’occidente) queste date sono:

·         1959 introduzione della pillola anticoncezionale: si realizza lo svincolo dall’obbligo di procreazione che passa definitivamente sotto il controllo esclusivo della donna, diversamente da quanto avveniva prima con l’uso di altre tecniche anticoncezionali pre-esistenti.
·         1970 legge sul divorzio: cambia il diritto di famiglia e finisce la subalternità (economica e psicologica) della donna nella coppia la quale si svincola dal ruolo coniugale obbligato. Sono infatti le donne in maggioranza a richiederlo.
·         1979 legge sull’aborto: si sancisce definitivamente la libera autodeterminazione al concepimento desiderato da parte della donna svincolandola dal ruolo obbligato di madre.

Il recepimento culturale, nonché sociale e giuridico, ricordato da queste tre date esemplificative, dei cambiamenti avvenuti riguardo il ruolo emergente della donna nella società, non si limita naturalmente a pillola, divorzio e aborto. Tali novità mettevano fine al controllo sociale su maternità e coniugalità femminile e al suo ruolo eminentemente sacrificale, ma il percorso di arrivo a questi risultati è stato lungo e laborioso. Tale percorso è passato attraverso il cambiamento della società nel complesso ed in particolare, riguardo le donne, attraverso l’accesso allo studio (interdetto alle donne, tranne rare eccezioni, fino a poche decine di anni fa) e alla formazione; attraverso il loro progressivo avanzamento nel mondo del lavoro che le società prima industriale e poi soprattutto post-industriale richiedevano; lo svincolo dall’allattamento naturale dei lattanti; l’ausilio di strutture pubbliche alternative come gli asili-nido o l’ausilio di collaboratori domestici. A tutto ciò è conseguito una necessaria ri-contrattazione all’interno delle coppie avvenuta negli ultimi decenni su diversi piani, simbolici e pratici a cominciare dallo svincolo dal ruolo casalingo prevalente, fino alla fine della dipendenza economica dal maschile, passando per il quasi totale annullamento delle differenze di compiti e competenze familiari e sociali a partire dal fattore genere sessuale.

Senza entrare in complesse analisi storico-sociologiche che ci porterebbero lontano, mi preme sottolineare un dato che appare cruciale nell’analisi che qui sto svolgendo. Mi riferisco all’esito “biopolitico” di questi cambiamenti, che si potrebbe sintetizzare nel cambio di proprietà del corpo femminile che si sottrae al governo socio-culturale delle prescrizioni religiose e culturali inerenti la vita della famiglia e sociale, per definirsi in una giurisdizione autodeterminata. Si realizza così la fine del dominio sul corpo della donna, in precedenza reso disponibile alle esigenze di stabilità e continuità sociale in termini di ruoli e funzioni, ed ora invece indisponibile a tali esigenze ordinatrici.

La conquistata soggettualità sociale ed autogoverno della donna rappresenta quindi un passaggio culturale fondamentale, un viraggio di rappresentazioni sociali per il quale, ad esempio, la donna non è più costretta ad essere incatenata al ruolo di madre di famiglia, ma è chiamata a svolgere una pluralità di funzioni personali e sociali ancora oggi non compiutamente armonizzabili (la vita delle donne si è maledettamente complicata). 

 La ri-negoziazione all’interno della coppia paritaria
Svincolata, anche se non totalmente e definitivamente, la donna da una doppia dittatura: da una subalternità nella coppia rispetto al ruolo maschile dominante e dalla dittatura dell’allevamento dei figli, ne consegue un’inevitabile ri-negoziazione all’interno della coppia che disarticola i sistemi valoriali e relazionali che fino a poco prima avevano concorso alla stabilità della coppia. Cambiano di conseguenza anche ruoli e funzioni (sociali e psichiche) maschili, con tutto il portato di crisi della virilità di cui si parla tanto ovunque. Cambia dunque l’orizzonte generale di regole relazionali dentro il quale la coppia si muove obbligando gli uomini ad accettare la parità della donna e a condividere tutte le incombenze inerenti la conduzione quotidiana – economica, logistica, morale – di coppia e famiglia.

In questa ri-negoziazione tra sessi, la coppia e i suoi individui non possono far riferimento a modelli relazionali precedenti, ed è costretta ad inventarsi di sana pianta un modello ad hoc di volta in volta a partire dalle caratteristiche specifiche ed uniche di ogni coppia.
Cosa viene chiesto, in sintesi, agli individui affinché esista la coppia contemporanea a seguito di tale ri-negoziazione?

·         Alla donna si chiede di esercitare una soggettualità sociale che comprende il lavorare e l’occuparsi del mondo relazionale, affettivo e familiare allo stesso tempo
·         All’uomo di rinunciare alla leadership e di condividere tutto alla pari
·         Alla coppia si chiede di autofondarsi e autodeterminarsi

Il Piano Economico-Politico

Stiamo lentamente planando verso il cuore della trasformazioni strutturali che hanno cambiato da pochi decenni a questa parte i codici delle coppie contemporanee plasmandone la loro inedita instabilità.
Dopo aver visto alcune statistiche che testimoniano l’andamento inequivocabile della mutazione in corso, e dopo aver appena visto i principali cambiamenti sul piano storico-antropologico, arriviamo al centro di questa analisi. Strettamente legato al piano dei cambiamenti storici, occorre dunque osservare le più significative trasformazioni socio-culturali avvenute negli ultimi decenni. Tra queste, quella che mi è sembrata più rilevante riguarda l’affermazione nel mondo occidentale del modello economico e del suo portato culturale nella vita quotidiana. Mi riferisco alla progressiva economicizzazione come matrice di senso del presente e come canovaccio sul quale tutti i soggetti sociali, comprese le coppie e gli individui delle coppie si muovono. Riconoscere come radice dell’agire e del sentire umano contemporaneo il piano economico non significa certo ridurre l’individuo e la società a meri corollari di tale piano, ma significa piuttosto individuare nell’economia la principale centrale di costruzione della realtà dalla quale discendono tutte le altre trasformazioni sociali.

Il modo di vita neo-liberale, nelle sue varianti postbelliche codificate in Europa e in special modo Nord America, che abbiamo esaminato soprattutto nel primo capitolo, corrisponde interamente agli stili di vita contemporanei e ai modelli prevalenti di uomo moderno e traccia i percorsi esemplari del comportamento razionale in tutti gli ambiti dell’esistenza, compresa la vita privata e sociale.
L’uomo economico contemporaneo, anche grazie ai più recenti meccanismi di diffusione dell’informazione di massa della globalizzazione e degli stili di vita da essi veicolati, diventa il massimo della prevedibilità, governabilità, maneggiabilità, flessibile e reattivo alle modifiche ambientali, nella fattispecie le regole del gioco indotte dal mercato.

Negli ultimi decenni assistiamo dunque, ad un inasprimento di modelli di vita compressi fortemente sul modello economico, su un’idea di razionalità fondata sul concetto di interesse individuale e di utilitarismo, su un concetto di adattamento legato all’accettazione an-etica e a-teoretica della realtà, su un modello di uomo impresario di se stesso sul lavoro come nella vita privata. In sole due-tre generazioni, in un tempo cioè brevissimo (ma dopo lunga incubazione precedente), questi codici simbolici si sono sedimentati e affermati e costituiscono in sostanza, senza possibilità di deroga, l’aria che respiriamo, il cibo di cui ci nutriamo e di cui siamo composti, il software monopolistico che rende utilizzabile il nostro sistema operativo.

In questa chiave e alla luce di questa analisi culturale, appare ancora più comprensibile come anche le regole d’ingaggio della vita di coppia siano mutate profondamente.
Se è infatti una razionalità economica a presidio dell’interesse individuale a governare anche le scelte affettive, i calcoli interiori che vengono svolti nell’approccio all’impresa di coppia sono diventati, come intuibile, in buona parte contrari alla vita di coppia. L’interesse individuale si propone fisiologicamente come contrario rispetto all’interesse di coppia e all’interesse familiare.

È tutta la vita di coppia, in quanto fondata su presupposti antropologici precedenti a questa nostra epoca, che è diventata intrinsecamente svantaggiosa, “antieconomica” in tutte le sue forme:

·         richiede un enorme investimento iniziale di energie psichiche che monopolizza l’individuo verso una meta assoluta e prioritaria;
·         distoglie in molti casi e per un certo periodo dalle proprie finalità sociali e personali;
·         sposta la centrale d’interesse da “me” a “noi”;
·         è un investimento sommamente incerto e per certi versi aleatorio, sottoposto a variabili imprevedibili (l’altro).
·         è un investimento, secondo i nuovi criteri psico-economici, irrazionale: la soddisfazione soggettiva dell’individuo sotto l’egida del suo interesse individuale non giustifica in nessun modo di investire per tutta la vita su una sola persona
·         determinando uno spostamento di asse decisionale dall’individuo alla coppia, implica una condivisione/responsabilizzazione che trascende l’individuo e che implica l’altro, e costringe perciò l’individuo a compromessi e a cambiamenti negli usuali stili di vita pregressi;
·         costringe altresì in qualche misura alla continua revisione del proprio orizzonte valoriale che risulta oltremodo faticosa e incerta.

Il Vettore Generativo

Ma l’antieconomicità della coppia è, ricordiamolo, soprattutto un portato culturale, le cui complesse ragioni affondano le radici in molti altre variabili.

L’istituzione matrimoniale ed il tasso di natalità (e di fecondità), di cui abbiamo detto in precedenza, rimandano ad aspetti antropologici sui quali ogni società di ogni epoca e di ogni luogo ha fondato se stessa e le sue regole. Parliamo dunque di strutture psichiche ampiamente sedimentate e sulle quali è immaginabile si siano costruite nei millenni le regole implicite ed esplicite della vita di coppia, dell’approccio ad essa (le regole d’ingaggio), e di tutte le rappresentazioni e codici semantici, connessi. I dati confermano che in Italia la stragrande parte dei figli nasce ancora dentro il matrimonio, mentre i figli nati in unioni differenti sono ancora una percentuale relativamente bassa (seppure in crescita).
Se la coppia porta all’unione e l’unione porta alla generatività, tale vettore va inteso, psicologicamente, anche come inverso. La coppia da forma all’unione stabile che da forma a sua volta ai codici generativi, ma viceversa invertendo la freccia, accade anche che è la generatività e l’unione stabile a dare forma alle regole d’ingaggio della coppia, anche a quella iniziale.

In tale effetto di retroazione psicologica troviamo significati nuovi per la nostra analisi in quanto non è solo il presente ed il passato di una coppia che ne determina il futuro, ma è il possibile futuro, iscritto nei codici sociali prevalenti, che rende possibile nascita ed evoluzione di una coppia. Coppia, famiglia e generatività si situano su un continuum psicologico atemporale unico e indissolubile che costituisce un piano psichico profondo dell’individuo.

Le implicazioni di questo intreccio psichico sono innumerevoli nel momento in cui esso va a descrivere scenari differenti a seconda della capacità di ogni individuo e di ogni coppia nell’immaginarsi e poi collocarsi, fin da giovanissimi, dentro o fuori il percorso qui descritto –  coppia, famiglia e generatività –scoprendo così il ruolo delle rappresentazioni culturali (a loro volta informate da aspetti socio-economici) in questo gioco di forze in campo.
Scopriamo così nuovi significati dell’antieconomicità della vita di coppia radicatisi proprio in questi ultimi decenni.

Ragazze non sposatevi!

Così recita, infatti, il titolo di un lampante articolo dell’Espresso del 2 Febbraio 2010 di Sabina Minardi, nel quale si analizza, con taglio giornalistico, la progressiva presa di coscienza della cultura occidentale della sconvenienza totale del matrimonio, in particolar modo da parte delle donne, costrette a sobbarcarsi il peso di un “istituto” (il matrimonio) che ormai, alla luce di quanto sta avvenendo nella società, ha perso ogni senso ed è dunque da archiviare al più presto tra le anticaglie della modernità. Come un oggetto di modernariato, appunto.

Tale sconvenienza si palesa, a mio parere, a partire proprio dai criteri di valutazione economica che qui stiamo descrivendo.
Ciò che fino a poco tempo fa corrispondeva ad una forma di realizzazione di sé (sia per uomini che per le donne) ed in particolare per le donne costituiva, ulteriormente, uno dei principali modi di uscire dalla giurisdizione paterna e materna e fare le proprie esperienze, è diventato oggi una vera e propria fregatura da molti punti di vista: per il lavoro e la carriera, per la gestione del tempo, per l’arrivo dei figli, e così via. L’articolo mette insieme molte voci, ben documentate e motivate, contrarie al matrimonio e suggerisce il suo superamento verso auspicabili facilitazioni legislative, culturali ed economiche.
Peccato però che tali facilitazioni non si riscontrino quasi per niente nella realtà sociale italiana e che la politica sembri curiosamente remare contro la formazione di nuove coppie e nuove famiglie. Come mai?

La politica contro coppie e famiglie
È possibile scorgere, soprattutto in Italia, una posizione della politica nella direzione dell’inconciliabilità strutturale/modellistica tra le esigenze delle coppie in formazione e delle famiglie e quelle della programmazione politico-economica.
Interloquisco qui anche con le inquietudini e le domande sollevate dal già citato libro di Roberto Volpi, La fine della famiglia, dove si pone l’urgenza del sostegno alle donne, alle coppie e alle famiglie affinché la società (italiana) non scompaia.

Appare evidente che esiste un’incompatibilità ideologica tra le auspicate (e mai realizzate seriamente) politiche per giovani coppie e famiglie e l’andamento generale della cultura e della politica. Non c’è alcun motivo speciale, infatti, per il quale, nella logica del libero mercato e dei suoi dettami psichici e comportamentali, la coppia dovrebbe godere di deroghe e di un trattamento privilegiato rispetto al principio di autodeterminazione dominante. La coppia (e poi anche la famiglia) si colloca come qualunque altro soggetto sociale rispetto al libero mercato. La coppia e soprattutto la famiglia tendono, inoltre, a spendere poco, a risparmiare a guardare al futuro, comportamenti questi che mal si conciliano con il diktat prevalente della nostra epoca: godi, spendi e muori! Infatti il comportamento di risparmio è diventato oggi una assoluta rarità, anche nelle famiglie con tradizioni sobrie alle spalle, e questo dipende certamente dalla maggiore povertà (in termini assoluti) esistente, ma non solo. Sembrerebbe piuttosto un ulteriore cambiamento di costume indotto dai nuovi stili di vita. Le prossime generazioni pagheranno amaramente quanto stiamo loro apparecchiando.

E dunque vediamo che i capitoli dei programmi elettorali di ogni formazione politica alla vigilia di ogni elezione, infarciti di grandi propositi, sono risultati fino ad oggi carta straccia, semplice retorica atta al rastrellamento di consensi e di voti, e tutti i proclami riferiti a matrici etiche, sociali e religiose per il sostegno economico e sociale di coppie e famiglie dei vari partiti in campo sono solo fumo negli occhi per occultare la triste realtà che vede la famiglia non certo come nucleo umano e bersaglio delle politiche di sostegno, ma essenzialmente come soggetto economico e nucleo primario di consumatori più o meno adeguati. È inimmaginabile, alle attuali condizioni etico-politiche, un corso diverso da questo culturalmente prescritto.

Realizzazione di sé e costruzione della coppia e della famiglia seguono ormai ideologie opposte e contrarie e certa politica risponde più facilmente all’incanto e ai desideri di una realizzazione di sé anarchica e priva di vincoli personali e sociali.
Occorrerebbe dunque una inversione a 180° che può essere ispirata soltanto da una consapevolezza diffusa che tutta la nostra società sta alacremente tagliandosi il ramo dove è seduta (spopolamento, denatalità, frammentazione sociale, annichilamento del bene comune, indifferenza per il futuro dei nostri figli; etc.).

Il timore è che ci si accorga di questo quando ormai sia troppo tardi è davvero grande.
Ma vediamo ora le ricadute psicologiche concrete sulle coppie contemporanee di tutte queste recenti trasformazioni socio-culturali e come è diventata laboriosa la costruzione della coppia nella nostra epoca.
 
Costruzione problematica della coppia
 
Volendo schematizzare, sono tre le tappe successive, reali o potenziali, che affronta chi si affaccia alla vita di coppia e poi la intraprende:
1. L'idea di coppia. È la spinta esplorativa, più o meno indifferenziata e culturalmente determinata, ad intraprendere relazioni di coppia che si manifesta in adolescenza e si mantiene per quasi tutta la vita.
2. Il progetto di coppia. È la possibilità di rendere operativa l’idea di coppia e calarla nelle relazioni reali e in eventuali progetti proto-coniugali.
3. Il progetto di famiglia. È l’avanzamento generativo del progetto della coppia fino al suo confluire nella vita familiare.
 
Il transito tra questi passaggi non sempre risulta possibile oggi, e non sempre lo sforzo prodotto su questi passaggi produce i risultati attesi. Proviamo ulteriormente a dettagliarli.
 
1.L’idea di coppia, ovverosia: il rischio della coppia irraggiungibile
Riguarda un'ampia fascia di persone che, pur avendo raggiunto un'età tale da consentire l'accesso ad un progetto di coppia (20-40 anni, con prevalenza di trentenni), non riescono di fatto ad avvicinarsi a questa meta oppure non riescono a dare senso e struttura ad un progetto di coppia. Si tratta quasi sempre di persone che in molti casi non hanno alcun problema ad incontrare potenziali partners, a risultare amabili, ad innamorarsi, a stringere relazioni anche significative, ma che collezionano tentativi su tentativi fermandosi ad un’idea della coppia che però rimane di fatto astratta.

2.Il progetto di coppia, ovverosia: il rischio della coppia non componibile
In questa seconda fenomenologia di situazioni, ritroviamo quegli individui che riescono a trasformare l'idea di coppia in un progetto di coppia con molte caratteristiche di una coniugalità un po’ più definita e un po’ più prolungata nel tempo. In questi casi la coppia assume ad un certo punto una forma più stabile, ma proprio per questo finisce per subire una pressione (interna/esterna) alla frammentazione molto forte, mostrando perciò il fianco a momenti di crisi e/o rottura drammatici e a volte irreversibili. La coppia sembra prendere forma, ma non si forma, non riesce a transitare ad una fase successiva, non riesce cioè a mettere su un “cantiere” di idee e progettualità generative a 360°; la coppia cioè non sembra comporsi fino in fondo e sembra esposta a innumerevoli “offese”.

3.Il progetto di famiglia, ovverosia: il rischio della coppia stabile minacciata e destrutturata
In questa terza fenomenologia di situazioni potremmo includere tutti o quasi tutti coloro che, avendo realizzato il progetto di coppia, sono riusciti a transitare in un progetto di famiglia, con la nascita di uno o più figli. In questa terza casistica, la coppia riesce a formarsi e a progettarsi e gode a volte di momenti di coesione in funzione dei progetti generativi e familiari che vengono messi in opera, ma ben presto tali progetti si rivelano inopinatamente fragili ed esposti ad ogni offesa esterna ed interna, come se la costruzione della famiglia contemporanea risentisse di uno strutturale deficit di fondazione che lasciasse sempre incompiuto il processo. La sensazione talora è quella di una sorta di predestinazione destrutturante che prende corpo contro ogni previsione e che colpisce al cuore la vita della famiglia.
 
In questa traiettoria, molti i punti critici e gli snodi problematici che le coppie incontrano sulla loro strada nell’arco di un’intera vita. Provando a riassumerli sinteticamente secondo una sequenza più o meno cronologica, troviamo:

a.       la possibilità di accedere ad una relazione esclusiva (l’interdizione alla poligamia come occasione simboligena)
b.      la possibilità di transitare dal primo a secondo contratto di coppia (Malagoli Togliatti M. Et al, 2004) e di accedere a relazioni durature (gestione e trasformazione dell’iniziale passionalità in sentimenti “secondari”)
c.       la possibilità di accedere ad una dimensione progettuale comune: il sentimento dell’imbarcarsi col partner per un viaggio, il fidanzamento come “cura del futuro” (Pontalti C., 1992)
d.      la gestione delle conflittualità e delle idiosincrasie personali come forma di superamento dell’egocentrismo giovanilistico
e. la possibilità di realizzazione di una convivenza come forma di superamento e negoziazione della lealtà familiare (l’accesso all’adultità)
f.     la possibilità di darsi un progetto coniugale condiviso, anche socialmente: “il fidanzamento come patrimonio della comunità e non come evento del privato” (Pontalti C., 1992)verso la fondazione di una famiglia (in parallelo alla possibilità di costruirsi una posizione socio-lavorativa adeguata)
g.       la decisione della nascita di un figlio come possibilità alla trascendenza di sé ed accesso alla genitorialità
h.      la gestione della gravidanza (decentramento maschile, riconfigurazione emotiva e rinegoziazione nella coppia)
i.         la decisione della nascita di altri figli (attribuzione di significato di ogni nuova nascita nella vita della coppia e della famiglia)
j.        la condivisione delle scelte educative/formative del figlio ed il confronto tra le culture familiari di origine
k.       la gestione delle difficoltà dell’attuale vita quotidiana familiare e lavorativa e dei suoi innumerevoli agenti stressogeni. Eventuali gestioni di eventi traumatici
l.         le difficoltà legate alla crescita dei figli parallelamente alle crisi di crescita degli stessi genitori (difficoltà ad assumere e articolare funzioni adulte genitoriali)
m.    le difficoltà con i figli adolescenti e poi giovani adulti, difficoltà di separazione e cambiamento
n.      la possibilità di lasciar andare i figli e transitare come genitori verso la terza età
 
Ognuno di questi snodi critici rappresenta una sorta di appuntamento con la storia che ogni coppia incontra ogni qual volta ne accetta la sfida. Inutile sottolineare che per molte coppie, queste sfide giungono a rappresentare un vero e proprio percorso di guerra, talora doloroso e “cruento”. Transitare oggi placidamente da “a” ad “n” o solo farlo senza vistose cicatrici è diventata oggi di fatto un’eventualità piuttosto rara.
 
Le più comuni dispercezioni delle coppie contemporanee
 
Le coppie odierne si ritrovano a gestire cambiamenti di paradigmi negli ultimi 3-4 decenni, arco temporale questo che per impatto mutageno sulla psiche e rapidità corrisponde, se paragonato ad altre epoche storiche, al passaggio di un’intera era.
Se ci limitiamo solo alla vita delle coppie, nell’arco di una generazione o poco più tutto appare capovolto: ad esempio solo fino a pochi anni fa la coppia si fondava su alcuni impliciti capisaldi tra i quali: a) il partner era per sempre; b) la coppia preconiugale (fidanzati) era transitoria e confluiva presto verso matrimonio e famiglia. Capisaldi questi oggi capovolti: il partner va bene finché dura e la coppia non procede più automaticamente verso la famiglia.  
Dal momento in cui negli ultimi decenni è la soggettualità che fonda la reciprocità nel mondo psichico della coppia progettuale, della famiglia, delle relazioni genitoriali” (Pontalti C., 1992), assistiamo dunque ad una disarticolazione dei percorsi precedentemente citati che produce forme di disorientamento e continue decontestualizzazioni di senso riguardo la vita di coppia, nell’arco di un tempo antropologicamente troppo breve per essere metabolizzato dagli individui. Queste decontestualizzazioni assumono il carattere della dispercezione, ovverosia dell’equivoco, del fraintendimento profondo e depistante che va a disorientare gli individui riguardo gli obiettivi della coppia. Ma vediamo alcune di queste dispercezioni e come individui e coppie contemporanee vengono da esse depistate.
 
Prima dispercezione: l’illusione che basti la promessa di amore a costruire il progetto di coppia. Molti contemporanei fondano l’approccio alla vita di coppia quasi esclusivamente sull’area della passionalità e dei sentimenti erotico-amoroso-romantici. Ovviamente lo scarto tra l’affievolirsi fisiologico in pochi mesi di questi sentimenti e un nuovo e sconosciuto paradigma di legame di coppia dove alla passione subentrino altri imprecisati sentimenti che non siano solo di delusione, trova molti di noi del tutto impreparati ad affrontare un progetto solo poco più articolato di quello iniziale. Questo passaggio critico, tradotto qui come dispercezione, dimostra in qualche modo la fatuità del primato giovanilistico protratto all’infinito a partire dalle esigenze convulse e consumistiche della nostra epoca. Tale paradigma sembra infatti fondarsi sull’idea infantile, quanto irrealistica, di una fonte d’amore illimitata e costante ed una partnership incondizionatamente rassicurante, confermante e accettante come modello implicito della relazione (una sorta di paese dei balocchi creduto come reale). L’idea che la coppia risulti un sistema di accudimento reciproco altamente imperfetto, quale esso è, è principio difficilmente elaborabile all’interno di questa dispercezione.
 
Seconda dispercezione: l'illusione del patto privato interno. È opinione diffusa e sentimento comune che la coppia contemporanea debba reggersi sulla forza e le motivazioni dei singoli componenti e del loro reciproco giuramento di lealtà. Tale patto, che ha sempre più assunto carattere privato e disperso l’orizzonte sociale, viene generalmente vissuto come diritto inalienabile, zona sacra, territorio giuridico autodeterminato, dentro il quale nessuno può ed ha diritto di entrare, ma dove si immagina anche che il patto che una coppia realizza sia costruito con il materiale solido dell'affetto, della complicità, della dedizione tra i partners.
Ovviamente un siffatto patto introflesso alla lunga non regge, per cui si ricade in una sfinente ed interminabile rinegoziazione tra i partners, un’asfittica partita tutta giocata all’interno. L’assenza di garanti metapsichici (Kaës, R., 2008) precedentemente veicolati dalla ritualità nuziale (oggi sempre più svuotata di capacità mutativa e maturativa nonché di nesso sociale), espone gli individui a gestire sempre più spesso in assoluta solitudine e in regime di vacatio legis, procedimenti simbolici precedentemente affidati a gruppi e reti sociali di riferimento, “oggi la coppia coniugale è l'anello fragile ed infragilito della rete sociale” dice Pontalti (1992). Il riferimento è soprattutto all’attribuzione di senso che un individuo dovrebbe riuscire a svolgere in merito alle proprie nuove prerogative coniugali, i mutati rapporti con le famiglie di origine, l’eventuale accesso alle funzioni genitoriali e tutto quanto attiene all’essere coppia dentro una società. Tale operazione, avendo perso sfondo e supporto sociale, essendo stata cioè la coppia e la famiglia di fatto “dis-iscritta” dal Sociale, appare alquanto avventurosa dal momento che nessun singolo o nessuna coppia è in grado di realizzare solitariamente elaborazioni simboliche che di per sé attengono al lavoro psichico di società e gruppi.
 
Terza dispercezione: la non componibilità tra i bisogni individuali e quelli di coppia (e poi di famiglia). Se l’individuo e i suoi inalienabili bisogni ed interessi sono diventati narcisisticamente troppo “importanti”, la coppia non sa più trascendersi, cioè i suoi membri non sanno più decentrarsi e pensarsi come adulti e generativi. Accade sempre più spesso attualmente che il desiderio di genitorialità in molti si sleghi e venga dimenticato annidandosi in zone sempre più remote della psiche, salvo poi riemergere (specie nelle donne) in zona cesarini, talora troppo tardi. S’insinua così in molte nuove coppie una sorta di vera e propria angoscia generativa che talora rende impensabile la genitorialità.
Capita dunque che si esili dalla coscienza di individui e coppie il progetto della nascita dei figli e della formazione di una famiglia, che improvvisamente perde di significato e di peso specifico, passa sullo sfondo, in certi casi un vero e proprio argomento tabù, che scatena emozioni arcaiche e angosce incontrollabili. Il patto di molte coppie, fin tanto che dura, sembra fondarsi proprio sul non toccare mai, se non tangenzialmente o solo parzialmente, proprio quei punti cha le porterebbero a mutarsi in coppie generative e poi famiglie. A volte questi temi emergono alla coscienza del sistema coppia e vengono derubricati, ideologizzati, procrastinati (di fatto rimossi); più spesso rimangono chiusi a chiave a doppia mandata nello sgabuzzino della mente di individui e coppie (cioè denegati) producendo alla lunga uno stallo.
 
Quarta dispercezione: gli impegni coniugali, e poi anche genitoriali, sono vissuti come irraggiungibili, eccessivamente responsabilizzanti oppure come mortificanti. L’idea di avventurarsi prima in una relazione stabile, quando si è giovani, e poi, crescendo, in un vero e proprio patto coniugale; e poi ancora successivamente decidere di avere figli, è diventato oggi nell’immaginario collettivo qualcosa che oscilla, a seconda dei casi, tra la sensazione della scalata di una montagna a mani nude e un vissuto mortificante di claustrofobia. Nel primo caso (la scalata a mani nude) gli obiettivi maturativi (in un mondo nel quale a 40 anni e oltre è facile non aver raggiunto una stabilità rispetto al lavoro e ad una identità sociale) caratteristici del mondo adulto sembrano non riguardare minimamente molti contemporanei i quali sembrano vivere in una sorta di immutabile stato di sospensione postadolescenziale dove non vige lo stesso sentimento di adultità e di cittadinanza delle generazioni precedenti, considerate di fatto irraggiungibili. Nel secondo caso (la claustrofobia) l’ipotesi di un impegno stabile sembra gravare come una sorta di ergastolo a carico della propria autodeterminazione, realizzazione personale, inalienabile ricerca della felicità. Si preferisce così pensare alle relazioni come “rottamabili”, non impegnative, reversibili, concepibili solo se gratificanti, dal momento in cui ogni carattere di irreversibilità (e non c’è nulla come la genitorialità ad essere irreversibile) diventa esperienza di mortificazione di sé. Spesso questi vissuti vengono avvalorati circolarmente da esperienze precedenti dolorose e/o dall’osservazione quotidiana relativa ai frequenti fallimenti e fregature a cui va incontro chi ci circonda.
 
Quinta dispercezione: la progettualità sine die. Oggi ci sentiamo “giovani” ben oltre i 50 anni, ma questo vissuto, già di per sé dispercettivo, direi quasi-delirante (e culturalmente veicolato), dentro la coppia crea un irreale clima di impasse a-progettuale.
La penetrazione del modello economico nella vita di tutti noi non è stata priva di conseguenze. L'imposizione dei codici iper-consumistici conduce ognuno di noi ad una revisione delle scale valoriali e delle rappresentazioni identitarie-sociali: da cittadini a consumatori infantilizzati (Barber B. R., 2010), questo è il passaggio-chiave al quale abbiamo assistito negli ultimi decenni, le cui conseguenze riverberano a cascata non solo sui comportamenti di acquisto, sempre più infantili ed impulsivi, ma perfino sulla struttura della famiglia, i suoi ruoli e le sue regole relazionali. La funzione identitaria del soggetto consumatore è diventata soverchiante rispetto ad ogni altra all'interno delle relazioni affettive e familiari. L'agenda dei compiti personali ha cambiato aspetto e contenuti. Subentrano nuovi compiti maturativi ed identitari e ne escono o si rendono periferici alcuni altri fino a poco tempo fa centrali e generatori di senso per la vita degli individui. Tra i compiti che risultano esclusi o resi periferici, ad esempio, non è più essenziale realizzarsi come adulto dentro progetti di coppia e famiglia entro un tempo ragionevole; non è più essenziale ugualmente realizzarsi come genitori e come fondatori e responsabili di nuove famiglie. Entrambi compiti questi che fino al secolo scorso, in genere, erano assolti entro la seconda (più raramente la terza) decade della vita, cioè molto prima di oggi. Nell'arco di alcuni decenni la formazione della famiglia ha visto slittare di molti anni (dalla fascia 18-25 alla fascia 30-50) il proprio progetto.
 
Sesta dispercezione: se la coppia non è più mezzo ma fine, il partner diventa per noi “tutto”, cioè totipotente e sufficiente, su di lui si riversano le nostre aspettative totalizzanti. E perciò le relazioni diventano fatalmente sempre deludenti. Uno degli esiti dell'affermazione della ratio economicistica è la progressiva enfatizzazione delle aspettative relazionali verso il partner. Il partner diventa una sorta di ultima spiaggia sul quale depositare, in modo compensatorio, tutti i bisogni residuali della vita socio-affettiva. In tal modo il partner deve poter corrispondere ad una figura combinata in grado sia di compensare le lacune identitarie, sia di rispondere alle insicurezze affettive che la nuova configurazione socio-culturale ha creato. Deve essere perciò una sintesi perfetta di figure parziali familiari e sociali, un loro assemblato che appaia “economicamente” conveniente: genitore, compagno/a, figlio/a, amico/a, fratello/sorella, amante, garante e assicuratore sociale, e così via.
Niente più delle fantasticherie giovanili corrisponde così precisamente al portato culturale di una valutazione di mercato, di concorrenzialità tra fattori favorevoli e auspicabili di un partner considerato non solo compatibile con sé, ma come ideale, adatto in sé, giusto. Ed anche qui l’idea che la coppia sia un sistema di accudimento reciproco altamente imperfetto non può proprio essere metabolizzata.
 
Alla ricerca del disperso libretto d’istruzioni delle coppie
 
Non riesco ad innamorarmi di nessuno. Nessuno mi trova all’altezza di una relazione. Non ci capiamo più, ho scoperto che non ci amiamo, ho scoperto un lato oscuro dell'altro che non avevo mai visto prima. Non facciamo più l'amore come una volta (o spesso come una volta), non c’è più attrazione, perciò non ci amiamo più. Non la/lo sopporto più, ho un sentimento di estraneità. Non siamo più complici. Lui/lei mi ha tradito, è finita. Non capisco più davvero cosa voglio in questa relazione. Non trovo più alcun senso nell’essere in coppia.
 
Questo un fuggevole e casuale repertorio di frasi che echeggiano spesso in uno studio di psicoterapia (ma non solo lì). Naturalmente non esiste alcun libretto d’istruzioni per la coppia contemporanea, né per la coppia di epoche precedenti, seppure la sensazione del suo smarrimento persista. La sensazione cioè che chi pensa alla propria coppia o si pensa in coppia oggi, appaia nei suoi vissuti e nelle sue rappresentazioni depistato rispetto alla costruzione e alla continuità della coppia stessa, aspetti questi che fino a ieri apparivano assolutamente a portata di mano.
Se, come stiamo ipotizzando qui, il discorso della postmodernità ha disarticolato e confuso (tra le altre cose) lo spessore progettuale della coppia, come cambia di conseguenza il lavoro dello psicoterapeuta in merito a queste vicende dal momento in cui le variabili sistemiche in gioco sono di fatto ubiquitarie e coinvolgono quasi tutte le coppie contemporanee?
Al contempo il piano collusivo che talora gli individui e le coppie realizzano, nel discorso iper-semplificato che viene svolto, in complicità con le principali rappresentazioni sociali e talvolta con taluni sistemi terapeutici e con certe culture cliniche ancora sopravviventi, che operano una sorta di scotomico maquillage normalizzante (sessuologico, pedagogico, terapeutico), è a volte sconfortante.
Il dato saliente sul quale vale la pena, invece, di soffermarsi è che il discorso postmoderno nella sua azione disarticolante favorisce la fine della coppia in quanto ulteriorità, intendendo con ciò la fine della rappresentazione condivisa della coppia come entità sovraordinata rispetto alle singole individualità che la compongono, e come paradigma di realizzazione di sé. Ricordiamo, con Scabini e Cigoli (2000), che l’unione di coppia muta la sua natura nel corso della storia e passa, durante la modernità, da contratto tra le famiglie di origine a patto (socializzato) tra i coniugi al fine di una realizzazione personale. Nella postmodernità assistiamo al tramonto anche di questo secondo tipo di patto (viene cioè de-socializzato) e ad un cambio di registro i cui contorni appaiono ancora del tutto confusi e che vedono, per intanto, una centratura autoreferenziale sui bisogni individuali e la perdita di profondità sociale e simbolica del patto stesso.
Se però ipotizziamo che coppia, famiglia e generatività si situano, comunque, fin dalle origini della vita sentimentale di ognuno, su un continuum psicologico unico e indissolubile che costituisce un piano profondo dell'individuo che giustifica il decentramento di sé, possiamo comprendere meglio cosa il discorso postmoderno tenda a scompaginare. Tale continuum, scritto in profondità, è stato messo in crisi da nuove sovrascritture fino a minare il senso di stabilità delle coppie, seppure il vivere in coppia continui ad essere ancora un obiettivo in sé capitale, un traguardo evolutivo personale prevalente.
Se ci affacciamo nelle rappresentazioni della vita di coppia nelle epoche precedenti, il fidanzamento costituiva uno stato necessariamente transitorio puntato fortemente verso la progettualità e la generatività. Il famigliare e il sociale nelle società antiche e fino ad epoche più vicine a noi, sconfinavano facilmente l'uno nell'altro, e la coppia viveva come una forma di iniziazione alla piena età adulta il passaggio alla coniugalità come l'attestazione di un ingresso a pieno titolo nella società. Tutto ciò è sempre stato contrappuntato da precise simbologie, mitologie, ritualità.
Oggi invece gli individui delle coppie contemporanee devono incessantemente domandarsi e ri-domandarsi in sfinenti negoziazioni da un lato perché sono insieme, cosa li tiene profondamente uniti all'altro/a, cosa permette loro di andare avanti, e dall'altro a cosa sono costretti a rinunciare, come possono cambiare la loro scomoda posizione, come possono cambiare l'altro per essere più felici e per corrispondere maggiormente ai propri desideri, come possono evitare le mille gravosità e frustrazioni provenienti dall'altro e/o dalla relazione di coppia. 
Volendo usare una metafora informatica, sarebbe come dire che gli individui delle coppie contemporanee si ritrovano a fare i conti con una doppia serie di comandi contraddittori che impallano il sistema operativo: da una parte c'è un software, probabilmente più “originario”, più datato e debitore dei modelli di coppia precedenti, che corrisponde ad un richiamo ancestrale e collettivo, che impartisce istruzioni orientate alla valorizzazione maturativa dei progetti di coppia (e poi di famiglia). Dall'altra parte c'è un software, più recente, ma altrettanto potente, che impartisce istruzioni opposte e contrarie che impongono prepotentemente la dittatura dei bisogni individuali. Si realizza in tal modo un conflitto di istanze profonde che difficilmente trova momenti di composizione.
Molte sofferenze delle coppie contemporanee sembrano risiedere proprio nei tentativi di composizione di istanze inconciliabili: da una parte comprendo che la coppia è importante in sé ed anche per me, sento che vorrei e potrei realizzare me stesso nella coppia, ma questo progetto mi appare oltremodo faticoso, antieconomico, talora lontano se non proprio contrario ai miei principi, praticamente impossibile, inconciliabile, irraggiungibile.
Ovviamente non è possibile dis-installare chirurgicamente uno dei due software in conflitto dal sistema operativo.
La centrale di senso si sposta dalla coppia (e ciò che seguiva, matrimonio e figli, come compimento), all'individuo che diventa alfa e omega del progetto di coppia, spostamento questo che produce come è intuibile un paradosso irrisolvibile. 
I conflitti più deflagranti avvengono infatti sul piano narcisistico di ciascun membro della coppia, dove le lacerazioni risultano più profonde e meno cicatrizzabili. Tale piano corrisponde alla scoperta dell'irraggiungibile alterità (a volte alienità) dell'altro della coppia, scoperto ben presto come distante, indifferente, chiuso a sua volta nei suoi irriducibili bisogni e interessi e nel suo guscio narcisistico, talora ostile, estraneo, ingombrante, frustrante, e dunque indisponibile a corrispondere, soddisfare, adempiere alle attese consolatorie, confermative, se non adoranti, nei propri confronti.
 
Questo articolo è il capitolo 2.6 del libro "Alienazioni compiacenti. Stare bene fa male alla società" Luigi D'Elia, Amazon

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