La “natura” del nostro mondo non è soltanto fatta di colline e pianure, di alberi e ciminiere, di spazi aperti e smog ma anche delle memorie di massa dei nostri dispositivi digitali.
Anche se il “virtuale” arriva da lontano, molto lontano anche temporalmente: in che luogo si svolge una telefonata se non nel virtuale? Va detto che l’affermazione pervasiva e definitiva del mobile[1] ha radicalmente cambiato la nostra vita in una sorta di costante realtà aumentata in cui siamo, nolenti o volenti, costretti a vivere.
Se a ciò aggiungiamo la potenza economica che dalla rete deriva per i grandi player e la conseguente ricerca di sempre nuove applicazioni che hanno nella facilità d’uso e nella pervasività i loro punti di forza, ecco che il quadro in cui ci muoviamo agiamo e viviamo appare chiaro ma soprattutto senza ritorno (verso cosa per altro?).
Di fronte ai tragici eventi di questi giorni col suicidio di una giovane donna schiacciata dalla vergogna e messa alla gogna sulla rete da una miriade di corvi appostati a ogni angolo del NET molte voci si sono alzate in due direzioni: arginare fenomeni di tal fatta attraverso il controllo, educare le persone a vivere questa “nuova natura” in maniera corretta e cosciente.
Vorrei liquidare il primo assunto con poche parole: la rete è incontrollabile e troppi interessi stanno dietro a tale “non controllo” per poter immaginare che esso venga messo in atto soprattutto perché si tratterebbe di immaginare un accordo tra TUTTI E DICO TUTTI gli stati e le istituzioni del mondo.
Il punto semmai è che stati e pubbliche istituzioni hanno ancora molto, troppo da imparare per una discronia tra i tempi del pensare ufficiale e gli sviluppi delle tecnologie digitali ma questo è un discorso lungo su cui tornerò un’altra volta.
Vorrei invece soffermarmi sul tema educazione.
I giovani cuccioli di pinguino quando han perso le piume alla fine dello svezzamento estivo vengono “garbatamente” spinti in acqua per imparare a nuotare imitando il comportamento dei genitori.
Al di là del metodo “spartano” si può ipotizzare che l’educazione all’uso della rete possa consentire un suo più corretto e maturo uso?
A chi competerebbe tale compito?
Dobbiamo solo preoccuparci dei nostri cuccioli “nativi digitali”?
Proverò a dare le mie personali risposte a queste importanti domande.
Io ritengo che un’educazione a livello scolastico all’uso di Internet debba entrare a pieno titolo nei curricula educativi della scuola a partire dalle primarie accompagnando i giovani progressivamente fino al liceo. Il problema non è l’apprendimento dell’uso degli strumenti ma l’educazione “a pensare” in termini anche digitali quando osserviamo e viviamo la realtà che è immanente e digitalizzata e non può essere negata nella sua complessità, nelle sue “meraviglie” ma anche e soprattutto nei suoi trabocchetti.
Il vero problema è che il virtuale ci è piovuto addosso permeando le nostre vite e tutti non solo i giovani dovrebbero imparare a conviverci senza troppi danni a partire dai genitori spesso travolti al pari dei figli dalle onde delle App, incapaci, loro stessi, di gestire in primo luogo le proprie emozioni virtuali.
La vita né inizia né finisce su Facebook o su Instagram ma ciò che è rappresentato su Facebook e Instagram è lo specchio di ciò che siamo nel bene e nel male; facciamocene una ragione non cinicamente ma con la dolorosa consapevolezza della realtà, unica via matura per agire e cercare vaccini e rimedi pur parziali e sicuramente non magici.
Anche e soprattutto gli adulti dovrebbero imparare che le ferite virtuali esistono e possono fare molto male che il problema non è lo strumento ma il suo uso, che questa “realtà” priva di resistenze fa emergere il peggio e non solo il meglio che è in noi.
Vorrei rammentare a chi legge ciò che Sigmund Freud scrisse in “IL DISAGIO DELLA CIVILTA’” (1929): “Homo homini lupus: chi ha il coraggio di contestare quest'affermazione dopo tutte le esperienze della vita e della storia? Questa crudele aggressività (…) rivela nell'uomo una bestia selvaggia, alla quale è estraneo il rispetto della propria specie"… parole tristi, parole vere on e off line…
reti informatiche formate da unità pensanti sempre più piccole, sempre più potenti, sempre più user-friendly, sempre più multimediali tra loro interconnesse mediante un protocollo di comunicazione cross-platform e mediante sistemi di comunicazione sempre più efficienti e rapidi nella distribuzione dei dati, la cui fruizione e la cui costruzione è controllabile, in buona parte dall’utilizzatore finale
E all’interno di questo paradigma ricerca, sviluppo e investimenti si muovono in una logica, direbbe Kuhn, “cumulativa” d’affinamento e miglioramento dell’esistente riconosciuto quanto meno come base di partenza certa e condivisa. (Bollorino – Rubini, ASCESA E CADUTA DEL TERZO STATO DIGITALE, Apogeo 1999)
sintetico e giusto
sintetico e giusto
Bollorino segnala con
Bollorino segnala con tempestività alcune emergenze relative a un mondo che si costituisce , dal punto di vista sociale, anche a partire da profonde innovazione nel modo stesso del farsi del sociale ovvero in quella che è la fenomenologia delle relazioni ovvero come le dimensioni emotive e in generali interiori della persona diventano fenomeni che comportano l’altro e prendono atto dell’accadere creaturale di un altro. Il virtuale è quel mondo intermedio in cui all’altro non si richiede ancora fattualità, esistenza fisica ma è sufficiente collocarlo nel disegno del dialogo interiore che deriva dalla sua presupposta esistenza.
Forse , in questa prospettiva il “Virtuale” è concetto debole, insufficiente e , in particolare , non rende ragione del fatto , parafrasando quanto dice Bollorino a proposito degli ” specchi” che l’accadere psichico è , in primo luogo un fatto personale . Come questo fatto personale possa poi essere educato per essere collocato in spazi e strumenti ” innovativi” è una questione delicata in cui , purtroppo , vediamo ogni giorno dimostrazioni problematiche alle quali , poi si aggiungono quelle , perverse create nel mondo impersonale dei fatti conosciuti non come tali ma come rappresentazioni evocazioni , racconti ovvero le icone che girano in rete e non solo di eventi che alludono in modo perverso agli aspetti più distruttivi dell’umano. Eppure il paradosso è che ogni “male” c” è un godimento che viene cercato e al quale un certo uso dei social sembra permettere un ingresso più semplice ed agevole.
si può’ ” educare” tutto ciò ? Si può portare il mondo del virtuale a un trattamento morale ? La domanda è davvero legittima . La risposta difficile, anche se credo che dovremmo partire dalla fragilità delle persone che pre-esiste e resiste attraverso i social network, le sostanze , e ogni altra cosa che cancelli o smantelli il percorso di autentico incontro con l’altro.