Mente ad arte
Percorsi artistici di psicopatologia, nel cinema ed oltre
di Matteo Balestrieri

Lo schermo empatico, di Gallese e Guerra. Un'opera sui rapporti tra Cinema e Neuroscienze (parte I)

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1 novembre, 2016 - 13:02
di Matteo Balestrieri

Vittorio Gallese e Michele Guerra hanno scritto un interessante volume nel quale sono spiegati i concetti che legano l’esperienza del cinema alle neuroscienze cognitive. Il fulcro dell’opera dei due Autori è l’analisi della cognizione incarnata (embodied cognition), vale a dire il meccanismo attraverso il quale le rappresentazioni corporee osservate attivano funzioni specifiche del nostro cervello. Per spiegare questo processo, è necessario esaminare alcuni neuroni specifici, in particolare i neuroni a specchio e i neuroni canonici. Questi neuroni sono contenuti nell’area premotoria, ossia in quella parte della corteccia cerebrale che è posta subito davanti all’area motoria primaria (area 4 di Brodman), e in particolare nell’area premotoria ventrale F5.
 
  I neuroni canonici sono neuroni relazionali, intendendo con questo concetto il fatto che questi neuroni si attivano anche in assenza di movimento, quando la vista ci pone in contatto con un oggetto manipolabile. In questo caso l’osservazione dell’oggetto determina l’attivazione del programma motorio che impiegheremmo se volessimo interagire con l’oggetto. Vedere l’oggetto significa simulare automaticamente cosa faremmo con quell’oggetto.
 
In modo complementare, nella stessa area F5 sono contenuti i neuroni a specchio, che si attivano sia quando si esegue un atto motorio, che quando si osserva un altro individuo eseguire un atto motorio o un gesto simile. La presenza di questi neuroni significa che noi non osserviamo l’agire altrui come se fossimo di fronte a un quadro, registrandone i movimenti, ma anche simulando quell’azione nel nostro sistema nervoso. Un elemento importante di questo processo è che i neuroni a specchio rispondono all’osservazione di un’azione eseguita da altri anche quando questa è parzialmente oscurata, cioè non visibile. E’ stato infatti osservato che in questo caso il rispecchiamento motorio avviene egualmente, perché metà dei neuroni a specchio si attiva con la stessa intensità e con lo stesso profilo temporale come quando tutta l’azione è visibile (il fatto che se ne attivi solo metà implica il fatto che una parte della rappresentazione è opera indipendente dell’autore dell’osservazione). Un ulteriore aspetto interessante è che i neuroni a specchio si attivano anche in assenza di una percezione visiva, ad esempio in presenza di stimoli sonori. Il suono delle azioni prodotte dal nostro corpo attiva in chi ascolta la rappresentazione motoria delle stesse azioni. Possiamo perciò vivere al nostro interno (cognizione incarnata) un’azione che percepiamo solo uditivamente.
 
Ma quale rapporto esiste tra la cognizione e le emozioni? Attivare i neuroni a specchio significa sentire le stesse emozioni percepite da chi osserviamo? Per rispondere a questo quesito dobbiamo considerare che l’osservazione delle espressioni facciali delle emozioni di base (per esempio, il disgusto) in un'altra persona attiva un ristretto gruppo di strutture cerebrali, che comprendono la corteccia premotoria verbale, l’insula anteriore sinistra e l’amigdala. Tali strutture sono le stesse che vengono attivate se proviamo in prima persona la stessa percezione (il disgusto). Quello che cambia, ci dice Gallese, è il fatto che la stessa insula è funzionalmente collegata ad aree e regioni cerebrali differenti. Il quesito è allora in che modo provare un’emozione in prima persona è differente dall’osservare quella emozione in un'altra persona. E allora, per introdurre il tema del cinema, ci si può chiedere se le emozioni che proviamo guardando un film sono vere emozioni, analoghe a quelle suscitate da situazioni simili nella vita reale, o in altri termini com’è possibile provare genuine emozioni per situazioni che sappiamo essere palesemente non reali.
 
Per approfondire questo aspetto, Gallese e Guerra introducono il concetto di simulazione liberata, attraverso la quale ci stacchiamo dal mondo reale nel momento in cui ci poniamo in una dimensione dell’immaginario, come quella del cinema. Tale simulazione liberata rappresenterebbe una situazione qualitativamente differente da quella dell’osservazione del reale, nella quale vi è un potenziamento dei meccanismi di rispecchiamento. Questo fatto è accentuato dalla condizione di immobilità in cui ci veniamo a trovare quando guardiamo un film. Di questo parlerò nel prossimo post (http://www.psychiatryonline.it/node/6480).

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