Giovanni Mingazzini (1859-1929), neurologo, anatomopatologo del cervello, psichiatra con esperienza di studi e lavoro in Germania, fu direttore del manicomio di Roma e ordinario di Clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Roma. Egli fu incaricato di tenere la relazione Sul significato delle anomalie della superficie dell’encefalo nei criminali[1] nella sessione dei lavori dell’ XI Congresso Medico Internazionale (Roma, 29 marzo- 5 aprile 1894) dedicata a “Psichiatria, neuropatologia ed antropologia criminale, chirurgia ed ortopedia”presieduta da Cesare Lombroso. In essa tratta e discute delle sue osservazioni anatomiche su cervelli, comparate con quelle di altri scienziati italiani, francesi e tedeschi, sul solco di Rolando, la fissura parieto-occipitale, i lobi frontale, parietale, temporale, la faccia mediale, la fissura calcarina non solo in persone normali, in delinquenti, ma anche in primati (scimpanzé, gorilla).
In particolare, sono discussi:
1. il reperto di una piega di Gratiolet (fissura parieto-occipitale) profonda anziché superficiale, per concludere che “la sua frequenza varia da razza a razza; che può trovarsi anche in persone intelligenti; e che comunque abbia un significato atavico, tuttavia nei delinquenti non comparisce con una frequenza maggiore che nei normali”
2. un gyrus cunei, superficiale in quasi tutti i primati, che si approfondisce invece nell’uomo; di qui la tesi di un “indubbio significato atavico” se riscontrata superficiale nell’uomo. Al riguardo Mingazzini cita i reperti propri (5-6% di cervelli di infanticidi ed omicidi); di Giacomini ( su 200 cervelli 4 casi “in individui aventi caratteri esterni di grave inferiorità”); di Parker (“questa anomalia non è rara nei negri, in microcefali e negli idioti”); di Benedikt (nel 5,7% di falsari ed assassini)
3. le variazioni delle circonvoluzioni del lobo frontale di normali e di delinquenti di razze diverse che sarebbero da ascriversi a “fattori etnici, od individuali, o sessuali”.
La conclusione è che “non esiste affatto nei delinquenti un tipo speciale di cervello” e che “un tipo normale di cervello non esiste”. Ciò detto, subito dopo, Mingazzini avanza la considerazione che nei delinquenti “non si può negare la frequenza di anomalie aventi un significato o di arresto di sviluppo, o filogenetico” e che “nell’encefalo e nel cranio dei delinquenti si presentano con frequenza maggiore che nei normali caratteri degenerativi e abnormi”; così pure sarebbero più frequenti i processi morbosi dell’encefalo dei delinquenti. A questo punto Mingazzini dopo essersi chiesto quale sia il peso dell’atavismo e dei processi morbosi e quali le relazioni fra gli stessi, afferma che :
alla crescente degenerazione psichica corrisponde un aumento sensibilmente parallelo dei processi morbosi e di reminiscenze ataviche […]. A misura che l’esponente psichico degenerativo diminuisce e che si procede dallo studio somatico degli alienati e quello dei delinquenti, e da questi ai normali, si nota che diminuiscono in frequenza e le tracce dei processi patogenetici e simultaneamente le reminiscenze atavistiche. Quanto più profonde sono le lesioni che si riscontrano negli organi e rispettivamente nell’encefalo, quanto più precocemente ivi si svolgono , tanto più facilmente l’esperienza ha insegnato che vi ricompaiono i segni filogenetici.(corsivo nel testo dell’A.)
Con queste argomentazioni Mingazzini giudica di essere riuscito a concludere lo sforzo di
“conciliare le due principali dottrine nelle quali fin d’ora si è scissa la scuola positiva (che esista cioè il tipo del cervello criminale- tesi attribuita ai Lombosiani- o se, usando la dovuta cautela, occorra attendere risultati più certi dallo studio morfologico del cervello), d’interpretare le molteplici anomalie somatiche della delinquenza, come espressione della vittoria di ricordi latenti filogenetici sopra le proprietà ontogenetiche acquistate in linea ereditaria, dato però come substratum di un processo morboso. Poiché queste anomalie raggiungono nei delinquenti una frequenza maggiore che nei normali, senza che nessuna di esse possa affermarsi esserne patognomonica, non è possibile accettare un tipo somatico del delinquente, ma è lecito affermare che i delinquenti rappresentano una categoria di esseri inferiore a quella dei normali”.
Nella discussione che segue interviene Lombroso che fa notare a Mingazzini che “l’esistenza di un tipo di cervello criminale non era stata affermata da nessuno, ma soltanto la frequenza maggiore di anomalie”.
In particolare, sono discussi:
1. il reperto di una piega di Gratiolet (fissura parieto-occipitale) profonda anziché superficiale, per concludere che “la sua frequenza varia da razza a razza; che può trovarsi anche in persone intelligenti; e che comunque abbia un significato atavico, tuttavia nei delinquenti non comparisce con una frequenza maggiore che nei normali”
2. un gyrus cunei, superficiale in quasi tutti i primati, che si approfondisce invece nell’uomo; di qui la tesi di un “indubbio significato atavico” se riscontrata superficiale nell’uomo. Al riguardo Mingazzini cita i reperti propri (5-6% di cervelli di infanticidi ed omicidi); di Giacomini ( su 200 cervelli 4 casi “in individui aventi caratteri esterni di grave inferiorità”); di Parker (“questa anomalia non è rara nei negri, in microcefali e negli idioti”); di Benedikt (nel 5,7% di falsari ed assassini)
3. le variazioni delle circonvoluzioni del lobo frontale di normali e di delinquenti di razze diverse che sarebbero da ascriversi a “fattori etnici, od individuali, o sessuali”.
La conclusione è che “non esiste affatto nei delinquenti un tipo speciale di cervello” e che “un tipo normale di cervello non esiste”. Ciò detto, subito dopo, Mingazzini avanza la considerazione che nei delinquenti “non si può negare la frequenza di anomalie aventi un significato o di arresto di sviluppo, o filogenetico” e che “nell’encefalo e nel cranio dei delinquenti si presentano con frequenza maggiore che nei normali caratteri degenerativi e abnormi”; così pure sarebbero più frequenti i processi morbosi dell’encefalo dei delinquenti. A questo punto Mingazzini dopo essersi chiesto quale sia il peso dell’atavismo e dei processi morbosi e quali le relazioni fra gli stessi, afferma che :
alla crescente degenerazione psichica corrisponde un aumento sensibilmente parallelo dei processi morbosi e di reminiscenze ataviche […]. A misura che l’esponente psichico degenerativo diminuisce e che si procede dallo studio somatico degli alienati e quello dei delinquenti, e da questi ai normali, si nota che diminuiscono in frequenza e le tracce dei processi patogenetici e simultaneamente le reminiscenze atavistiche. Quanto più profonde sono le lesioni che si riscontrano negli organi e rispettivamente nell’encefalo, quanto più precocemente ivi si svolgono , tanto più facilmente l’esperienza ha insegnato che vi ricompaiono i segni filogenetici.(corsivo nel testo dell’A.)
Con queste argomentazioni Mingazzini giudica di essere riuscito a concludere lo sforzo di
“conciliare le due principali dottrine nelle quali fin d’ora si è scissa la scuola positiva (che esista cioè il tipo del cervello criminale- tesi attribuita ai Lombosiani- o se, usando la dovuta cautela, occorra attendere risultati più certi dallo studio morfologico del cervello), d’interpretare le molteplici anomalie somatiche della delinquenza, come espressione della vittoria di ricordi latenti filogenetici sopra le proprietà ontogenetiche acquistate in linea ereditaria, dato però come substratum di un processo morboso. Poiché queste anomalie raggiungono nei delinquenti una frequenza maggiore che nei normali, senza che nessuna di esse possa affermarsi esserne patognomonica, non è possibile accettare un tipo somatico del delinquente, ma è lecito affermare che i delinquenti rappresentano una categoria di esseri inferiore a quella dei normali”.
Nella discussione che segue interviene Lombroso che fa notare a Mingazzini che “l’esistenza di un tipo di cervello criminale non era stata affermata da nessuno, ma soltanto la frequenza maggiore di anomalie”.
Mantova, 1 dicembre 2016
0 commenti