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VIZI MORALI, MEDICHE PASSIONI. Parte II: L’igiene come virtù

10 Dic 16

A cura di Paolo F. Peloso

Vizi morali, mediche passioni: la medicalizzazione della virtù e la biopolitica. Appunti per un convegno. Parte II: L’igiene come virtù

Segue da parte I: Sulla dimensione politica dei vizi. Divagazioni (clicca e vai all'inizio)

 
Quando il medico si fa interprete di un’etica della mortificazione nel campo della gola, e al limite dell’ira e della lussuria, opera qualcosa che indubbiamente lo impegna sul versante della biopolitica, cioè di un esercizio dell’arte sanitaria che tende a interferire con l’esercizio generale della libertà, ma ha ragioni per farlo. Nel 2008 la rivista Aut Aut ha dedicato un numero, sul quale non possiamo qui soffermarci, al tema significativo della “La medicalizzazione della vita[i] affrontando proprio i problemi dai quali, in ogni caso, questa pratica medica per così dire “espansa” non va esente. La difficoltà, in altri termini, di trovare tra prescrizione/imposizione sanitaria e libertà/trasgressione nei comportamenti un punto di ragionevole equilibrio e di mettere, quindi, la medicina come ogni cosa al “giusto” posto nella nostra vita. 
Quando il medico, però, tende a occupare lo stesso spazio nel campo degli altri quattro vizi, il rischio che non sia più in quanto tale che interviene, ma piuttosto in quanto intellettuale, portatore di un punto di vista e di interessi della classe cui appartiene, si fa più consistente. Descuret scrive di volere affrontare la medicina delle passioni da un punto di vista medico, politico, religioso, ma non distinguendo tra questi piani rischia che siano le sue idee personali negli altri due campi, non il suo sapere medico, a guidarlo.
Da regolatore del nostro rapporto con il corpo, il medico rischia così di trasformarsi nel regolatore generale della libertà. Si finirebbe, per questa via, per dover chiedere al medico il permesso per mangiare e per scopare, per incazzarci, e passi, ma anche per insuperbirci, invidiare il prossimo, per sapere quanto, quando e come spendere, o se impegnarci in qualcosa: una tirannia sanitaria, insomma sul cui rischio la bella rivista di Pier Aldo Rovatti ha fatto benissimo a marcare il punto.
C’è un rischio evidente di implicazioni nel campo della libertà improprie in questo farsi regolatore generale della vita, che d’altra parte non dobbiamo pensare riguardi soltanto l’uscita dal secolo dei lumi, alla quale lo scritto di Descuret appartiene. Nel corso del ventennio, è noto che un gruppo di medici fondò un periodico dal titolo significativo di Archivio fascista di medicina politica[ii] (esiste dunque una medicina politica, che di volta in volta sarà fascista, liberale, cattolica, comunista?); e in altra occasione ci siamo soffermati sull’ortogenetica di Nicola Pende, nella quale di nuovo l’interferenza tra modelli endocrinologici e appartenenza al fascismo del fondatore è trasparente[iii]. Sono solo esempi più chiari di un rischio di politicizzazione – cioè di un farsi impropriamente regolatore della libertà – più o meno surrettizia che il sapere medico corre ogni volta che investe ambiti più distanti da quello di stretta pertinenza.
Ma per proseguire il nostro ragionamento, è indispensabile addentrarci a questo punto nel testo di Descuret. Lo schema è dunque quello tipico della letteratura medica, e prevede quindi per l’analisi di ogni passione cinque passaggi:
 

  1. definizione e sinonimi;
  2. cause;
  3. sintomi, effetti e termine;
  4. cura;
  5. casistica clinica.
 
Le venti passioni (in realtà in alcuni casi la definizione di passione è opinabile, perché vengono affrontate situazioni più complesse) sono affrontate in successione, e tra esse riconosciamo anche i sette vizi capitali. Ghiottornia, ira, libertinaggio sono compresi tra le sei passioni animali; superbia e vanità, invidia e gelosia, avarizia tra le nove passioni sociali; manca solo anche qui la misteriosa accidia, della quale sarà necessario ricercare tracce in primo luogo nel capitolo dedicato alla pigrizia[iv], e poi in quelli dedicati a paura (un sentimento che paralizza), suicidio (la rinuncia alla vita che si fa irreversibile) e nostalgia (una spinta indietro, anziché avanti, nello spazio e nel tempo).
Vorrei, a questo punto, soffermarmi a titolo esemplificativo sul modo in cui Descuret affronta una di queste passioni; mi occuperò della ghiottornia, la prima ad essere affrontata, sottoponendomi con questo forse a una sorta di volontario contrappasso. Nella disamina di questa passione, incontreremo passaggi nei quali la commistione tra il medico e il moralista diventa evidente, o anche interessanti riferimenti a teorie mediche ancora in voga in quegli anni, dalla medicina degli umori, alla frenologia di Gall, alla fisiognomica[v].
Osservo poi che nel suo saggio, ricco di spunti pregevoli, sui vizi capitali Galimberti elenca il consumismo tra i nuovi vizi, insieme a conformismo, spudoratezza, sessomania, sociopatia, diniego e vuoto. Personalmente sarei più incline invece a considerare il consumismo un’espansione del vizio della gola, il cui modello trascende così l’ambito della relazione col cibo per applicarsi a ogni altra merce, che come il cibo è voracemente consumata e rapidamente degradata in merda, per poi rientrare come letame dall’inizio nel ciclo produzione-consumo-riproduzione. Un ciclo infernale che vede impegnato sul suo versante faticosamente ascendente l’uomo inteso come forza lavoro, e su quello precipitosamente discendente lo stesso uomo come consumatore. Ma è solo uno spunto.
 
Definizioni e sinonimi
 
Per Descuret la ghiottornia corrisponde a «intemperanza nel mangiare, amore raffinato e disordinato della buona tavola, golosità, vizio di chi mangia avidamente, eccessivamente».
Seguendo Anselme Brillat-Savarin (1755-1826) – l’autore di una Fisiologia del gusto che Vazquez Montalbàn definisce gastrosofo e considera fondatore dell’arte culinaria[vi] – Descuret contesta questa eclettica definizione e propone di riservare il termine ghiottornia a «una preferenza appassionata, ragionata e abituale per gli oggetti che sollecitano il gusto». Se la ghiottornia eccede in quantità e si trasforma in golosità, voracità, crapula, essa cade nella sfera di competenza dei moralisti, che la curano con i consigli; o del medico, che la cura con i farmaci (ma, come vedremo, non ne ha a disposizione, perciò dispensa anche lui rimproveri, insulti e buoni consigli).
Descuret propone perciò di distinguere – con un atteggiamento stigmatizzante che lascia perplessi in un medico e richiama semmai alla mente un bizzarro collega barese contemporaneo, spesso ospite  alla radio – il ghiotto, o gastronomo, che è un esperto raffinato di cibi e bevande che “sa mangiare”, mentre «coll’epiteto di goloso svergogneremo chi passa i limiti della temperanza».  Lo stesso atteggiamento stigmatizzante troviamo oltre, quando cita il Rousseau dell’Emilio che definisce i golosi «bamboccioni (…) senza vigore e senza fermezza; La ghiottoneria è il vizio dei cuori bassi, l’animo di un goloso è tutta nel palato (…). Nella stupida sua incapacità [il goloso] non è ben collocato che a tavola (…). Lasciamogli senza invidia il bell’impiego». Poi ancora, quando scrive che a tavola: «Il mangione, il pappatore e il ghiottone si danno a conoscere al primo tratto: ci disgustano». E poi: «Hanno più della bestia che dell’uomo».
Ma se di passione deviata, cioè di malattia, si tratta, perché tanto disprezzo? E se invece è un vizio, perché trattarlo come una malattia da parte del medico? Qui mi pare stia il rischio di ambiguità dell’operazione, forse inevitabile peraltro, nella quale Descuret è impegnato, ma noi anche oggi con lui, quando la medicina si addentra nel campo dei vizi, vecchi e nuovi.
E ancora: che si debba cercare di avere un’alimentazione e una vita sana, per poter proseguire la vita e tutelarne la qualità, è un fatto inoppugnabile e ben vengano per questo i consigli dell’igiene, ma è giusto porre questo problema in termini morali e trasformare l’igiene da necessità in virtù?
E’ interessante, poi, che Descuret prosegua citando un’opinione di “giornalisti” secondo la quale nei regimi democratici la fornitura di cibi al goloso può essere usata come strumento di costruzione del consenso (l’antico panem et circenses, insomma!). Più precisamente, poi:
 
  • goloso è chi si abbandona smodatamente ai buoni cibi: grande e buona tavola, dunque;
  • leccardo è chi è goloso di cose leggere, fini e delicate (confetti, pasticcerie);
  • mangione chi s’impinza indistintamente di qualsiasi cibo, mangia per mangiare;
  • pappatore chi divora senza pausa tra i bocconi, non fa che mettere in bocca e ingoiare;
  • ghiottone chi si scaglia sulle vivande che divora sporcamente e rumorosamente e inghiotte ogni cosa.
 
A costoro va aggiunta la «mostruosa ingluvie di certi esseri che pure appartengono alla stirpe umana»: antropofago (si ciba di uomini); omofago (che mangia carne cruda); polifago (che divora ogni cosa). Esiste infine una curiosa epidemiologia della ghiottornia su base etnica: «gli Spagnoli sono sobri; i Francesi ghiotti; gli Inglesi golosi; gli Italiani leccardi; gli Anglo-Americani mangioni; i Russi pappatori; i Cosacchi ghiottoni». Il che certo comporta una certa consapevolezza del carattere anche culturale del comportamento alimentare, ma appare un po’ lontano dall’Evidence Based Medicine e prossimo semmai a pregiudizi da barzellette, mi pare
 
Cause
 
Per Descuret si può nascere golosi, come sordi o ciechi. In più:
 
–   Per i frenologi, può predisporre alla ghiottornia una prominenza nella fossa zigomatica;
– Da un punto di vista temperamentale, predispongono le costituzioni sanguigna e sanguigno-biliosa.
Infanzia e vecchiaia sono età a rischio;
– Predispongono ricchezza e ozio;
– Nel maschio prevale la golosità, nella femmina la leccardia; 
Negozianti, medici, letterati e bacchettoni sono più predisposti, i bacchettoni “per compenso” (un’espressione interessante, che fa pensare a un rudimentale ragionamento psicodinamico); i cuochi sono la categoria meno predisposta a questa passione.
– E’ spesso ereditaria, e si è osservato che la balia può trasmetterla con il latte. In altri casi possono trasmetterla cattivo esempio e cattiva educazione;
– Può anche essere prodotta da una neurosi accidentale dello stomaco, cagionata o da gravidanza o dalla tenia, oppure da una neurosi congenita.
 
Carattere e sintomi, andamento e termine
 
«I golosi sono di statura media, hanno la fronte stretta, gli occhi vivi e brillanti, il naso corto, le guance cascanti, i denti forti, grandi e larghi, le labbra bene sviluppate, il mento rotondo, il viso quadro o almeno tondeggiante, il ventre tondeggiante», col che i discepoli di Lavater, i fisiognomici, sono serviti. La diagnosi si fa a tavola: quando tutti sono sazi, se arriva ancora  un cibo appetitoso il goloso si distingue perché: «tutte le potenze del gusto si ridestano, gli viene l’acquolina in bocca, gli scintilla negli occhi il desiderio, e sulle labbra semiaperte si ridesta il raggio dell’estasi». Non ha limite, insomma. Le conseguenze sono problemi digestivi, affievolimento del senso del gusto, pinguetudine fuori dal comune che impedisce il movimento, e poi «congestioni, apoplessia, idropisia, ulcere alle gambe, renella, gotta». Il primo caso riportato nella casistica che segue è un cinquantenne arricchitosi improvvisamente e divenuto ghiottone, ingrassato all’inverosimile, che contrae gotta e difficoltà di digestione, e non riuscendo a limitarsi nel cibo muore di morte improvvisa dopo l’ennesimo pasto esagerato. L’autopsia, descritta a tinte fosche, mostra insieme all’irritazione di tutto il tratto digestivo il proverbiale “buco nello stomaco”.
 
Cura
 
Descuret pare dolersi che la legge nulla preveda contro il ghiottone; meglio fa la religione, che classifica la gola tra i vizi capitali e con San Paolo si unisce allo stigma generale contro il povero vizioso e scrive severa: il goloso pare non abbia altro dio che il ventre. Esercizi all’aria aperta, dieta semplice, regolarità nell’alimentazione sono le prescrizioni. Fosse facile! Nell’utilizzo del cibo come rinforzo positivo in campo pedagogico il medico suggerisce prudenza, specie nelle bambine, perché può predisporre al disturbo.
Occorre infine, saggiamente ci ricorda Descuret, prudenza nell’imporre al ghiottone costrizioni dietetiche, preparandosi ad affrontare possibili reazioni violente, o la caduta in improvvise crisi di pianto. E quest’ultimo mi pare finalmente un accenno interessante a possibili implicazioni emotive, psicologiche, che a questa passione, finora considerata forse con troppa superficialità e severità come priva di rimandi al mondo interno, possono sottendere. Le quali sono forse più meritevoli – nel momento in cui chi è portatore di un vizio se ne sente umiliato e affronta lo sforzo per liberarsene – di uno sguardo il più possibile complice e compassionevole, ancorché realistico, almeno da parte del medico, che non di severità o soprattutto disprezzo, del quale si è, naturalmente, tutti capaci salvo doverci poi sentire colpevoli, a nostra volta, di superbia.     
 
 
Nell’immagine: Jacques Collot (1592-1635): Allegoria della gola[vii]
 
 

[i] Aut Aut, n. 340, 2008 “La medicalizzazione della vita”.
[ii] Cfr. F. Paolella, Archivio fascista di medicina politica, Rivista Sperimentale di Freniatria, 133, 2009, 1, pp. 37-59.
[iii] E. Maura, P.F. Peloso, Allevatori di uomini. Il caso dell’Istituto biotipologico di Genova, Rivista Sperimentale di Freniatria, 133, 2009, 1, pp. 19-35.
[iv] Sul tema vedi: P.F. Peloso, Contributo a un dialogo sulla pigrizia e la riabilitazione, Il Vaso di Pandora. Dialoghi in psichiatria e scienze umane, 4, 2, 1996, pp. 10-14.
[v] P.A. Rossi, I. Livigni, D. Arecco (a cura di), Oltre lo sguardo. La fisiognomica e lo studio della natura umana, Milano, Mimesis, 2011.
[vi] M. Vazquez Montlbàn, Contro i gourmet (1985), Milano, Frassinelli, 2005.
[vii] Immagine mostrata dalla storica dell’arte Alessandra Gagliano Candela nel corso dell’intervento Vizi e virtù: vizi capitali e arti visive da Bruegel a oggi, al convegno: Vizi o virtù? Attualità dei vizi capitali, Genova, 18 novembre 2016.

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