Segue da parte I: Ricorrenze e ricordi (clicca e vai all’inizio)
Eventi. Lo avevamo previsto, ed era facile, nel primo articolo del 2016, quello relativo al capodanno a Colonia[i]. Che a lungo nell’incertezza non avremmo potuto stare. Bisognava decidersi ad accogliere accogliendo. Riconoscere come legge assoluta a proposito del migrare il fatto che ogni uomo ha diritto ad abitare la terra, nel luogo che più gli aggrada e gli conviene; un diritto semplice, che accompagna ognuno dalla nascita. Perché la convenzione, la casualità e contingenza storica dell’appartenenza a uno Stato-Nazione che ci designa come “cittadini” è una qualificazione più superficiale e precaria della natura umana che ci fa “esseri umani”. Oppure….
L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli USA è il segno che si sta andando in direzione opposta. Non che la presidenza Obama sia destinata a essere rimpianta. Tutto quell’armare l’Isis perché sparasse su Assad, i curdi perché sparassero sull’Isis, i turchi sui curdi, l’Arabia saudita perché armasse l’Isis e bombardasse in Yemen; sparare su Assad da una parte, sull’Isis dall’altra e sui civili nel mezzo, destabilizzare e aprire ferite nella geografia del mondo al solo apparente scopo di lasciarle aperte a sanguinare. Certo, un passo verso una sanità più equa, gli accordi con Cuba e Iran sono parsi andare invece nella giusta direzione, la pace, ma bastano in otto anni? E che fine faranno adesso? E, certo, il mancato veto USA alla condanna all’ONU degli insediamenti israeliani nella Palestina occupata ha permesso un lampo di giustizia internazionale; ma arriva con otto anni di ritardo nei quali sul terreno Israele ha potuto espandere gli insediamenti illegali e tenere in sua balia la popolazione civile di Gaza distribuendo morte e distruzione quando le è parso opportuno, senza che per questo gli USA di Obama cessassero di fornire armi e sostegno diplomatico.
Il mestiere di presidente USA non dev'essere dei più facili, ma credo che si potesse far di meglio… Tant'è: nonostante fino a poco fa paresse incredibile, temo che potremmo rimpiangere questa presidenza nata sotto il segno di un premio Nobel per la pace incautamente assegnato a credito, e poco onorato. Trump fa perfino pensare a un personaggio dei fumetti, Cattivik – mi riferisco solo al nome, non ne conosco le vicende – perché pare voler fare apposta tutto ciò che il senso comune considera cattivo. Abbiamo pensato: è uno scherzo, con questi programmi non vincerà le primarie; le ha vinte. Abbiamo pensato: per quanto Hillary non brilli per simpatia – né per giustizia sociale il suo programma – non sarà eletto; lo è stato. Abbiamo pensato: ma dopo l’apparato lo costringerà a cedere al realismo e non prendere sul serio le promesse elettorali; le sta confermando e sta nominando uno staff a esse conforme. E adesso, non sappiamo davvero più cosa pensare!
Non ricordo perciò un anno che si sia aperto sotto un cielo più cupo, sotto auspici peggiori, del 2017. O uno che si sia chiuso lasciando a quello successivo un’eredità tanto pesante, come il 2016. Oggi sentiamo lo sgomento e la paura dell’immigrato messicano che attende di essere ricacciato nella miseria e nella disoccupazione; del cubano, il venezuelano, il curdo e il palestinese preoccupati perché vedono il cielo farsi fosco per loro, più fosco ancora. Trattare tra i forti e sacrificare i deboli: mi pare che il programma non potrebbe essere più chiaro, fare pagare ai deboli il prezzo di un nuovo ordine mondiale ancora più di prima fondato sulla forza. Sarà possibile resistere? Bah, almeno varrà comunque la pena di averci provato[ii].
Né il cielo si rasserena gran che zoommando su quella piccola parte del mondo che è la nostra. Non è una novità di quest’anno, ma nel Mediterraneo l’umanità ha continuato a pagare in questo 2016 uno spaventoso tributo di vite umane all’avidità dell’Europa. Pare che siano stati oltre 3.000 i morti nel canale di Sicilia, un tratto di mare che avrebbero potuto attraversare in tutta sicurezza se soltanto avessimo teso loro una mano (5.000 stimati dall’UNHCR nell’attraversamento del Mediterraneo). In più, quest’anno un contenimento dei flussi si è ottenuto con la scelta odiosa di costringere i profughi a fermarsi o ritornare in Paesi inaffidabili sotto il profilo del rispetto della persona, la Turchia dove la repressione del popolo curdo e delle sue espressioni culturali e politiche è cresciuta in modo esponenziale, in primo luogo. I corpi seminudi, ammanettati e ammucchiati dei soldati golpisti negli hangar rimangono l’immagine emblematica dell’anno trascorso. Nell’altro Paese dove un regime di fascismo in clima islamico si è imposto, l’Egitto, siamo sempre in attesa – illusoria attesa – della verità sul massacro di Giulio Regeni e di migliaia di cittadini egiziani con lui. Nella stessa area, a poche centinaia di chilometri da noi si continua a morire in Libia, Siria, Iraq, Yemen e persino in Afghanistan. In Palestina proseguono l’occupazione israeliana e la disperata resistenza della popolazione civile contro una pressione sorda e ostinata che anche quest’anno ha illegalmente strappato qualche metro in più di terra; una decisione coraggiosa dell’UNESCO ha suscitato un putiferio per essersi permessa di considerare occupazione coloniale quella che è occupazione coloniale a Gerusalemme.
Quanto all’Occidente, le vicende mediorientali sono riverberate con uno stillicidio di attentati terroristici specie all’inizio – per poi ripresentarsi a Berlino alla fine – dell’anno; chi tende a prescindere dal contesto politico, economico ed emotivo nel quale le cose si verificano ha voluto tirare in ballo la follia, ma credo che questa lettura impedisca di comprendere e quindi, se davvero lo si vuole, prevenire; e offenda chi per la follia, quella clinica e vera, soffre ogni giorno: malati, familiari, operatori. Ma di questo abbiamo detto[iii].
Un solo passo avanti mi pare da registrare in casa nostra: è l’approvazione, l’11 maggio, della legge sulle unioni civili che ha consentito a tante coppie omosessuali un “sì” a lungo atteso che solo la cattiveria aveva fino a quel momento negato loro; e all’Italia di diventare appunto, almeno sotto questo profilo, più civile. Era davvero l’ora, insomma!
Servizi. Il 1 agosto di quest’anno io e il Servizio pubblico per la salute mentale abbiamo celebrato le nozze d’argento: 25 anni; capisco che non è un grande evento, ma mi piace ricordarlo soprattutto a me stesso. Al termine del 2015 speravamo che qualcosa migliorasse, ma invece i tagli alla spesa pubblica continuano a colpire il welfare, i singoli utenti e, anche se per adesso in minor misura, i servizi. Valgono perciò ancora le considerazioni svolte al termine dell’anno scorso, che non ripeto[iv], e una conferma dell’aumento della forbice in Italia tra ricchezza e povertà è data dalla crescita dell’indice Gini che misura le disuguaglianze di reddito – e la matematica non è un’opinione – dal 1990 al 2011 da 0.40 a 0.51, una delle evoluzioni peggiori in Europa. La tendenza prosegue, con il rischio di povertà che riguarda nel 2015 più di 1 persona su 4, con quasi 4.600.000 persone colpite da povertà assoluta, in costante aumento negli ultimi anni nei quali aumenta anche il numero dei miliardari che raggiunge 342 nel 2015 (ISTAT). Questi dati, insieme alla contrazione progressiva del welfare, creano un meccanismo a tenaglia che sembra un destino maligno, ma è invece frutto di scelte di politica economica: quella che Luciano Gallino definisce la lotta di classe al contrario, silenziosa ma sempre efficace, dei ricchi contro i poveri. Qualcuno trova lavoro, ma spesso le nuove tipologie di contratto nel giro di qualche mese lo riportano a casa. Chi lavora nei servizi fa perciò quotidianamente esperienza nella miseria del welfare della ferocia dell’organizzazione sociale nella quale viviamo. Il troppo abusato tema del burn-out dell’operatore dell’aiuto ha a che fare anche con questa sensazione d’intrappolamento tra un sentimento di rabbiosa impotenza di fronte al rendersi palese dell’ingiustizia e il rifugio nel diniego nel quale Umberto Galimberti identifica uno dei nuovi vizi della modernità[v]. E che fa sì che non vediamo più i naufragi nel Mediterraneo, come quelli nelle nostre strade.
Chiusi gli OPG nel 2015, poi, il 2016 non è stato un anno di grandi eventi su questo terreno, quanto piuttosto del lavoro silenzioso che segue un passaggio importante. Terminavo il bilancio dell’anno scorso formulando la speranza che un’applicazione equa e coerente del provvedimento diventasse l’obiettivo comune al quale Stato, Regioni, singoli tecnici e singoli Magistrati si impegnassero ciascuno per la sua parte a concorrere. Ma questo sta avvenendo solo molto lentamente e molto in parte; è stato paventato il rischio che – per contenere l’aumento dei posti letto in REMS che, in una situazione che rimane in gran parte caotica circa ingressi e dimissioni e senza una regia unitaria rischia di andare incontro a una deriva – i soggetti in misura di sicurezza provvisoria debbano attendere, se incompatibili con soluzioni più leggere, in carcere. Io spero che questo non accada, per sentimento di giustizia e per esigenze cliniche: infatti è a caldo, dopo un fatto grave, il momento che la necessità di luoghi di cura è semmai maggiore[vi].
Ex libris. Tra i libri usciti quest’anno ricordo innanzitutto Iris (Roma, Alpes), sul quale su questa rivista in molti sono intervenuti; esposte da Francesco Bollorino nel linguaggio delicato, onirico e lieve, sapientemente allusivo, della fiaba vi si scoprono le vicende dell’usignolo, il ranocchietto, il gigante e la sirena, l’incubo del programma dell’impossibile infelicità e le storie dell’invenzione della scrittura, della musica, della casa, quelle di Aziza e il principe insieme a tante altre e si possono trascorrere momenti piacevoli nel leggerle. Massimo Cirri ricostruisce nel volume Un’altra parte del mondo (Milano, Feltrinelli) la vicenda di Aldo Togliatti, il figlio di Palmiro e di Rita Montagnana affetto da problemi di salute mentale recentemente scomparso presso la casa di cura Villa Igea di Modena dopo oltre vent’anni di ricovero, cogliendo l’occasione per uno sguardo d’insieme sul gruppo dirigente del PCI negli anni dello stalinismo, della Guerra di Spagna, del II conflitto mondiale, del dopoguerra. In una prospettiva del tutto soggettiva e peccando forse un po’ di immodestia, vorrei ricordare il volume collettivo Il policlinico della delinquenza. Storia dell’ospedale psichiatrico giudiziario (Milano, Franco Angeli) al quale i curatori – gli amici Gaddo Maria Grassi e Chiara Bombardieri – mi hanno invitato a concorrere, ricostruendo con lo storico Francesco Paolella le origini del dibattito sul manicomio criminale nel XIX secolo. Il volume prosegue con un’analisi di Gaddo sull’evoluzione dell’OPG lungo il Novecento fino alla recente chiusura, e a seguire Marica Setaro con l’interessante biografia di un internato del manicomio di Roma reo omicidio dell’allora presidente della Provincia commesso con gli strumenti dell’ergoterapia, poi condannato e trasferito ad Aversa; Annacarla Valeriano con le sue storie di pazzi morali e ree per passione del manicomio di Teramo; Paola Conti e la storia dell’OPG di Montelupo Fiorentino. Un altro testo collettivo al quale mi è stata offerta la possibilità di collaborare è Guerra e disabilità. Mutilati e invalidi e primo conflitto mondiale realizzato da Nicola Labanca, tra i maggiori esperti italiani di storia militare e coloniale, in collaborazione con l’ANMIG (Milano, UNICOPLI), con saggi tra gli altri dello stesso Labanca, di Vanda Wilcox sugli aspetti emotivi della mutilazione, Andrea Scartabellati sui ricoveri manicomiali dei soldati, Fabio Montella sull’evoluzione delle protesi e la riabilitazione motoria, Martina Salvante sull’esperienza fiorentina di Aurelio Nicolodi e la riabilitazione dei ciechi di guerra. Dobbiamo poi a Pier Maria Furlan il volume Sbatti il matto in prima pagina. I giornali italiani e la questione psichiatrica prima della legge Basaglia (Roma, Donzelli) nel quale viene ricostruita attraverso un’antologia degli articoli pubblicati sui principali quotidiani italiani dalla fine degli anni ’40 al 1978. La ricchezza del volume rende difficile una sintesi: il libro indigna per le testimonianze degli scandali dentro manicomi e brefotrofi rese con la limpida prosaicità della cronaca (negli anni la psichiatria non ha risparmiato davvero nessuna vessazione ai propri pazienti!) e interessa perché documenta la faticosa affermazione di un nuovo modello del quale nulla era a priori scontato. Rispetto alle due recenti e competenti ricostruzioni dello stesso periodo da parte degli storici Valeria Paola Babini[vii] e John Foot[viii], gli elementi originali sono qui rappresentati dalla fonte utilizzata, i giornali appunto, dal carattere prevalentemente antologico e dallo spostamento del fuoco della ricostruzione dai centri della riforma, a partire dai “classici” di Gorizia e Trieste, a una prospettiva nazionale dove a prevalere, semmai, è il caso di una grande città come Torino. Segnalo, ancora, due libri di poesie, Il libro di un pazzo. Note autobiografiche e rime (Macerata, Giometti & Antonello) di Giovanni Antonelli, e Uno di nessuno (Bellinzona, Casagrande) che un altro poeta, Massimo Gezzi, dedica alla vicenda di questo poeta irregolare che attraversa negli ultimi decenni del XIX secolo l’esperienza della navigazione, del vagabondaggio, del carcere e del manicomio. Non hanno direttamente a che fare con l’assistenza psichiatrica, ma con quei fenomeni correlati alla migrazione con i quali sempre più spesso i nostri servizi hanno a che fare nell’incontro con un’umanità malsopportata e priva di prospettive due libri piccoli per dimensione ma pregevoli per contenuto: Terra e confini. Metamorfosi di un solco di Sandro Mezzadra (Roma, Manifestolibri)[ix] e Necropolitica del sociologo camerunense Achille Mbembe originariamente pubblicato nel 2003 e proposto in italiano dalle edizioni Ombre corte di Verona con un saggio inedito di Roberto Beneduce[x]. A cura di Walter Ghia è uscita come volumetto autonomo per l’editore Mimesis di Milano-Udine La storia di Cantuccio e Taglierino, una delle Novelle esemplari che Cervantes ha pubblicato nel 1613: con la simpatica vicenda di due mariuoli getta uno sguardo d’insieme sull’organizzazione della malavita, prototipo delle moderne organizzazioni camorristiche, nella Siviglia tra XVI e XVII secolo. Segnalo, ancora, Tortura (Torino, Bollati Boringhieri) con il quale la filosofa Donatella Di Cesare ripercorre la persistenza imbarazzante (così imbarazzante che ancora il nostro Parlamento non è stato in grado di legiferare) di questa pratica nella contemporaneità, e la tendenza della contemponeità a giustificarne di volta in volta (sempre l’unica volta, beninteso!) il carattere di lecita eccezione. Infine, ho visto recensito ma non ho ancora fatto a tempo a leggere La morte dentro la vita. Riflessioni psicoanalitiche sulla pulsione muta. La pulsione di morte nella teoria, nella clinica e nell’arte di Rossella Valdré (Torino, Rosenberg & Sellier)[xi]. Buone letture, quindi.
Questa notte, girando a Genova con gli amici per un centro storico affollato, sono capitato in una piazza dove un gruppo composto in prevalenza da rifugiati siriani suonava musiche dei balcani, la Grecia e il Medio oriente, e tanti giovani ed ex giovani salutavano ballando l'anno nuovo. Questa immagine contrasta violentemente con la tragedia verificatasi nelle stesse ore in una discoteca di Istanbul; a significare, ancora una volta, che siamo sul bilico tra diversi nuovi mondi possibili. E allora, a pesar de todo, auguri per un 2017 più sereno per tutti noi, e per tutti. Insomma: BUON ANNO!!!
Eventi. Lo avevamo previsto, ed era facile, nel primo articolo del 2016, quello relativo al capodanno a Colonia[i]. Che a lungo nell’incertezza non avremmo potuto stare. Bisognava decidersi ad accogliere accogliendo. Riconoscere come legge assoluta a proposito del migrare il fatto che ogni uomo ha diritto ad abitare la terra, nel luogo che più gli aggrada e gli conviene; un diritto semplice, che accompagna ognuno dalla nascita. Perché la convenzione, la casualità e contingenza storica dell’appartenenza a uno Stato-Nazione che ci designa come “cittadini” è una qualificazione più superficiale e precaria della natura umana che ci fa “esseri umani”. Oppure….
L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli USA è il segno che si sta andando in direzione opposta. Non che la presidenza Obama sia destinata a essere rimpianta. Tutto quell’armare l’Isis perché sparasse su Assad, i curdi perché sparassero sull’Isis, i turchi sui curdi, l’Arabia saudita perché armasse l’Isis e bombardasse in Yemen; sparare su Assad da una parte, sull’Isis dall’altra e sui civili nel mezzo, destabilizzare e aprire ferite nella geografia del mondo al solo apparente scopo di lasciarle aperte a sanguinare. Certo, un passo verso una sanità più equa, gli accordi con Cuba e Iran sono parsi andare invece nella giusta direzione, la pace, ma bastano in otto anni? E che fine faranno adesso? E, certo, il mancato veto USA alla condanna all’ONU degli insediamenti israeliani nella Palestina occupata ha permesso un lampo di giustizia internazionale; ma arriva con otto anni di ritardo nei quali sul terreno Israele ha potuto espandere gli insediamenti illegali e tenere in sua balia la popolazione civile di Gaza distribuendo morte e distruzione quando le è parso opportuno, senza che per questo gli USA di Obama cessassero di fornire armi e sostegno diplomatico.
Il mestiere di presidente USA non dev'essere dei più facili, ma credo che si potesse far di meglio… Tant'è: nonostante fino a poco fa paresse incredibile, temo che potremmo rimpiangere questa presidenza nata sotto il segno di un premio Nobel per la pace incautamente assegnato a credito, e poco onorato. Trump fa perfino pensare a un personaggio dei fumetti, Cattivik – mi riferisco solo al nome, non ne conosco le vicende – perché pare voler fare apposta tutto ciò che il senso comune considera cattivo. Abbiamo pensato: è uno scherzo, con questi programmi non vincerà le primarie; le ha vinte. Abbiamo pensato: per quanto Hillary non brilli per simpatia – né per giustizia sociale il suo programma – non sarà eletto; lo è stato. Abbiamo pensato: ma dopo l’apparato lo costringerà a cedere al realismo e non prendere sul serio le promesse elettorali; le sta confermando e sta nominando uno staff a esse conforme. E adesso, non sappiamo davvero più cosa pensare!
Non ricordo perciò un anno che si sia aperto sotto un cielo più cupo, sotto auspici peggiori, del 2017. O uno che si sia chiuso lasciando a quello successivo un’eredità tanto pesante, come il 2016. Oggi sentiamo lo sgomento e la paura dell’immigrato messicano che attende di essere ricacciato nella miseria e nella disoccupazione; del cubano, il venezuelano, il curdo e il palestinese preoccupati perché vedono il cielo farsi fosco per loro, più fosco ancora. Trattare tra i forti e sacrificare i deboli: mi pare che il programma non potrebbe essere più chiaro, fare pagare ai deboli il prezzo di un nuovo ordine mondiale ancora più di prima fondato sulla forza. Sarà possibile resistere? Bah, almeno varrà comunque la pena di averci provato[ii].
Né il cielo si rasserena gran che zoommando su quella piccola parte del mondo che è la nostra. Non è una novità di quest’anno, ma nel Mediterraneo l’umanità ha continuato a pagare in questo 2016 uno spaventoso tributo di vite umane all’avidità dell’Europa. Pare che siano stati oltre 3.000 i morti nel canale di Sicilia, un tratto di mare che avrebbero potuto attraversare in tutta sicurezza se soltanto avessimo teso loro una mano (5.000 stimati dall’UNHCR nell’attraversamento del Mediterraneo). In più, quest’anno un contenimento dei flussi si è ottenuto con la scelta odiosa di costringere i profughi a fermarsi o ritornare in Paesi inaffidabili sotto il profilo del rispetto della persona, la Turchia dove la repressione del popolo curdo e delle sue espressioni culturali e politiche è cresciuta in modo esponenziale, in primo luogo. I corpi seminudi, ammanettati e ammucchiati dei soldati golpisti negli hangar rimangono l’immagine emblematica dell’anno trascorso. Nell’altro Paese dove un regime di fascismo in clima islamico si è imposto, l’Egitto, siamo sempre in attesa – illusoria attesa – della verità sul massacro di Giulio Regeni e di migliaia di cittadini egiziani con lui. Nella stessa area, a poche centinaia di chilometri da noi si continua a morire in Libia, Siria, Iraq, Yemen e persino in Afghanistan. In Palestina proseguono l’occupazione israeliana e la disperata resistenza della popolazione civile contro una pressione sorda e ostinata che anche quest’anno ha illegalmente strappato qualche metro in più di terra; una decisione coraggiosa dell’UNESCO ha suscitato un putiferio per essersi permessa di considerare occupazione coloniale quella che è occupazione coloniale a Gerusalemme.
Quanto all’Occidente, le vicende mediorientali sono riverberate con uno stillicidio di attentati terroristici specie all’inizio – per poi ripresentarsi a Berlino alla fine – dell’anno; chi tende a prescindere dal contesto politico, economico ed emotivo nel quale le cose si verificano ha voluto tirare in ballo la follia, ma credo che questa lettura impedisca di comprendere e quindi, se davvero lo si vuole, prevenire; e offenda chi per la follia, quella clinica e vera, soffre ogni giorno: malati, familiari, operatori. Ma di questo abbiamo detto[iii].
Un solo passo avanti mi pare da registrare in casa nostra: è l’approvazione, l’11 maggio, della legge sulle unioni civili che ha consentito a tante coppie omosessuali un “sì” a lungo atteso che solo la cattiveria aveva fino a quel momento negato loro; e all’Italia di diventare appunto, almeno sotto questo profilo, più civile. Era davvero l’ora, insomma!
Servizi. Il 1 agosto di quest’anno io e il Servizio pubblico per la salute mentale abbiamo celebrato le nozze d’argento: 25 anni; capisco che non è un grande evento, ma mi piace ricordarlo soprattutto a me stesso. Al termine del 2015 speravamo che qualcosa migliorasse, ma invece i tagli alla spesa pubblica continuano a colpire il welfare, i singoli utenti e, anche se per adesso in minor misura, i servizi. Valgono perciò ancora le considerazioni svolte al termine dell’anno scorso, che non ripeto[iv], e una conferma dell’aumento della forbice in Italia tra ricchezza e povertà è data dalla crescita dell’indice Gini che misura le disuguaglianze di reddito – e la matematica non è un’opinione – dal 1990 al 2011 da 0.40 a 0.51, una delle evoluzioni peggiori in Europa. La tendenza prosegue, con il rischio di povertà che riguarda nel 2015 più di 1 persona su 4, con quasi 4.600.000 persone colpite da povertà assoluta, in costante aumento negli ultimi anni nei quali aumenta anche il numero dei miliardari che raggiunge 342 nel 2015 (ISTAT). Questi dati, insieme alla contrazione progressiva del welfare, creano un meccanismo a tenaglia che sembra un destino maligno, ma è invece frutto di scelte di politica economica: quella che Luciano Gallino definisce la lotta di classe al contrario, silenziosa ma sempre efficace, dei ricchi contro i poveri. Qualcuno trova lavoro, ma spesso le nuove tipologie di contratto nel giro di qualche mese lo riportano a casa. Chi lavora nei servizi fa perciò quotidianamente esperienza nella miseria del welfare della ferocia dell’organizzazione sociale nella quale viviamo. Il troppo abusato tema del burn-out dell’operatore dell’aiuto ha a che fare anche con questa sensazione d’intrappolamento tra un sentimento di rabbiosa impotenza di fronte al rendersi palese dell’ingiustizia e il rifugio nel diniego nel quale Umberto Galimberti identifica uno dei nuovi vizi della modernità[v]. E che fa sì che non vediamo più i naufragi nel Mediterraneo, come quelli nelle nostre strade.
Chiusi gli OPG nel 2015, poi, il 2016 non è stato un anno di grandi eventi su questo terreno, quanto piuttosto del lavoro silenzioso che segue un passaggio importante. Terminavo il bilancio dell’anno scorso formulando la speranza che un’applicazione equa e coerente del provvedimento diventasse l’obiettivo comune al quale Stato, Regioni, singoli tecnici e singoli Magistrati si impegnassero ciascuno per la sua parte a concorrere. Ma questo sta avvenendo solo molto lentamente e molto in parte; è stato paventato il rischio che – per contenere l’aumento dei posti letto in REMS che, in una situazione che rimane in gran parte caotica circa ingressi e dimissioni e senza una regia unitaria rischia di andare incontro a una deriva – i soggetti in misura di sicurezza provvisoria debbano attendere, se incompatibili con soluzioni più leggere, in carcere. Io spero che questo non accada, per sentimento di giustizia e per esigenze cliniche: infatti è a caldo, dopo un fatto grave, il momento che la necessità di luoghi di cura è semmai maggiore[vi].
Ex libris. Tra i libri usciti quest’anno ricordo innanzitutto Iris (Roma, Alpes), sul quale su questa rivista in molti sono intervenuti; esposte da Francesco Bollorino nel linguaggio delicato, onirico e lieve, sapientemente allusivo, della fiaba vi si scoprono le vicende dell’usignolo, il ranocchietto, il gigante e la sirena, l’incubo del programma dell’impossibile infelicità e le storie dell’invenzione della scrittura, della musica, della casa, quelle di Aziza e il principe insieme a tante altre e si possono trascorrere momenti piacevoli nel leggerle. Massimo Cirri ricostruisce nel volume Un’altra parte del mondo (Milano, Feltrinelli) la vicenda di Aldo Togliatti, il figlio di Palmiro e di Rita Montagnana affetto da problemi di salute mentale recentemente scomparso presso la casa di cura Villa Igea di Modena dopo oltre vent’anni di ricovero, cogliendo l’occasione per uno sguardo d’insieme sul gruppo dirigente del PCI negli anni dello stalinismo, della Guerra di Spagna, del II conflitto mondiale, del dopoguerra. In una prospettiva del tutto soggettiva e peccando forse un po’ di immodestia, vorrei ricordare il volume collettivo Il policlinico della delinquenza. Storia dell’ospedale psichiatrico giudiziario (Milano, Franco Angeli) al quale i curatori – gli amici Gaddo Maria Grassi e Chiara Bombardieri – mi hanno invitato a concorrere, ricostruendo con lo storico Francesco Paolella le origini del dibattito sul manicomio criminale nel XIX secolo. Il volume prosegue con un’analisi di Gaddo sull’evoluzione dell’OPG lungo il Novecento fino alla recente chiusura, e a seguire Marica Setaro con l’interessante biografia di un internato del manicomio di Roma reo omicidio dell’allora presidente della Provincia commesso con gli strumenti dell’ergoterapia, poi condannato e trasferito ad Aversa; Annacarla Valeriano con le sue storie di pazzi morali e ree per passione del manicomio di Teramo; Paola Conti e la storia dell’OPG di Montelupo Fiorentino. Un altro testo collettivo al quale mi è stata offerta la possibilità di collaborare è Guerra e disabilità. Mutilati e invalidi e primo conflitto mondiale realizzato da Nicola Labanca, tra i maggiori esperti italiani di storia militare e coloniale, in collaborazione con l’ANMIG (Milano, UNICOPLI), con saggi tra gli altri dello stesso Labanca, di Vanda Wilcox sugli aspetti emotivi della mutilazione, Andrea Scartabellati sui ricoveri manicomiali dei soldati, Fabio Montella sull’evoluzione delle protesi e la riabilitazione motoria, Martina Salvante sull’esperienza fiorentina di Aurelio Nicolodi e la riabilitazione dei ciechi di guerra. Dobbiamo poi a Pier Maria Furlan il volume Sbatti il matto in prima pagina. I giornali italiani e la questione psichiatrica prima della legge Basaglia (Roma, Donzelli) nel quale viene ricostruita attraverso un’antologia degli articoli pubblicati sui principali quotidiani italiani dalla fine degli anni ’40 al 1978. La ricchezza del volume rende difficile una sintesi: il libro indigna per le testimonianze degli scandali dentro manicomi e brefotrofi rese con la limpida prosaicità della cronaca (negli anni la psichiatria non ha risparmiato davvero nessuna vessazione ai propri pazienti!) e interessa perché documenta la faticosa affermazione di un nuovo modello del quale nulla era a priori scontato. Rispetto alle due recenti e competenti ricostruzioni dello stesso periodo da parte degli storici Valeria Paola Babini[vii] e John Foot[viii], gli elementi originali sono qui rappresentati dalla fonte utilizzata, i giornali appunto, dal carattere prevalentemente antologico e dallo spostamento del fuoco della ricostruzione dai centri della riforma, a partire dai “classici” di Gorizia e Trieste, a una prospettiva nazionale dove a prevalere, semmai, è il caso di una grande città come Torino. Segnalo, ancora, due libri di poesie, Il libro di un pazzo. Note autobiografiche e rime (Macerata, Giometti & Antonello) di Giovanni Antonelli, e Uno di nessuno (Bellinzona, Casagrande) che un altro poeta, Massimo Gezzi, dedica alla vicenda di questo poeta irregolare che attraversa negli ultimi decenni del XIX secolo l’esperienza della navigazione, del vagabondaggio, del carcere e del manicomio. Non hanno direttamente a che fare con l’assistenza psichiatrica, ma con quei fenomeni correlati alla migrazione con i quali sempre più spesso i nostri servizi hanno a che fare nell’incontro con un’umanità malsopportata e priva di prospettive due libri piccoli per dimensione ma pregevoli per contenuto: Terra e confini. Metamorfosi di un solco di Sandro Mezzadra (Roma, Manifestolibri)[ix] e Necropolitica del sociologo camerunense Achille Mbembe originariamente pubblicato nel 2003 e proposto in italiano dalle edizioni Ombre corte di Verona con un saggio inedito di Roberto Beneduce[x]. A cura di Walter Ghia è uscita come volumetto autonomo per l’editore Mimesis di Milano-Udine La storia di Cantuccio e Taglierino, una delle Novelle esemplari che Cervantes ha pubblicato nel 1613: con la simpatica vicenda di due mariuoli getta uno sguardo d’insieme sull’organizzazione della malavita, prototipo delle moderne organizzazioni camorristiche, nella Siviglia tra XVI e XVII secolo. Segnalo, ancora, Tortura (Torino, Bollati Boringhieri) con il quale la filosofa Donatella Di Cesare ripercorre la persistenza imbarazzante (così imbarazzante che ancora il nostro Parlamento non è stato in grado di legiferare) di questa pratica nella contemporaneità, e la tendenza della contemponeità a giustificarne di volta in volta (sempre l’unica volta, beninteso!) il carattere di lecita eccezione. Infine, ho visto recensito ma non ho ancora fatto a tempo a leggere La morte dentro la vita. Riflessioni psicoanalitiche sulla pulsione muta. La pulsione di morte nella teoria, nella clinica e nell’arte di Rossella Valdré (Torino, Rosenberg & Sellier)[xi]. Buone letture, quindi.
Questa notte, girando a Genova con gli amici per un centro storico affollato, sono capitato in una piazza dove un gruppo composto in prevalenza da rifugiati siriani suonava musiche dei balcani, la Grecia e il Medio oriente, e tanti giovani ed ex giovani salutavano ballando l'anno nuovo. Questa immagine contrasta violentemente con la tragedia verificatasi nelle stesse ore in una discoteca di Istanbul; a significare, ancora una volta, che siamo sul bilico tra diversi nuovi mondi possibili. E allora, a pesar de todo, auguri per un 2017 più sereno per tutti noi, e per tutti. Insomma: BUON ANNO!!!
[i] Si veda in questa rubrica: CORPI ECCEDENTI, CORPI VIOLATI. Le donne di Colonia e i (vecchi e nuovi) fantasmi d’Europa.
[ii] Per un’analisi a caldo dell’elezione di Donald Trump nel contesto internazionale delle derive populiste e sulle esigue prospettive di resistenza segnalo l’interessante intervento Behind the protests there must be a web of relations that extend both intersectionally and internationally to establish alliances with movements elsewhere di Michael Hardt e Sandro Mezzadra (clicca qui).
[iii] Si veda in questa rubrica: TERRORISMO: QUESTA FOLLIA NON E’ FOLLIA.
[v] U. Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Milano, Feltrinelli, 2005, pp. 108-112.
[vi] Si veda in questa rubrica: NELL'AREA GRIGIA TRA MEDICINA E GIUSTIZIA STA LA PERSONA.
[vii] V.P. Babini, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Bologna, Il mulino, 2009.
[viii] J. Foot, La “Repubblica dei matti”. Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia 1971-1978, Milano, Feltrinelli, 2014.
[ix] Rimando alla recensione che ho da poco pubblicato su Pol. it: clicca qui.
[x] Conto di proporne presto una recensione per questa rivista.
[xi] Rimando pertanto alla recensione recentemente pubblicata da Antonello Sciacchitano su Pol. it (clicca qui).
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