Si è svolto il 27 e 28 gennaio a Trieste, presso la sala del Consiglio regionale e il Teatro F. Basaglia, il seminario Si conclude a Trieste la storia degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. A margine la mostra dei disegni di Roberto Sambonet I volti dell’alienazione, dalla quale è tratta l’immagine a fianco. Sull’evento è stato incombente il ricordo di Nadia Pulvirenti – la TeRP venticinquenne uccisa il 24 gennaio da uno dei pazienti che aveva in cura – evocato da Rotelli, Dell’Acqua, Mezzina, Pellegrini e dai colleghi della Cascina Clarabella presso Iseo, con la loro presenza commuovente e discreta. Abbiamo pensato credo tutti in quel momento alle giovani TerP che si sono formate con noi in questi anni, credo per la prima volta così duramente colpite come categoria, tutte con lo stesso sorriso, lo stesso entusiasmo, la stessa giovinezza di Nadia. E al fatto che la possibilità che il nesso tra follia e pericolo dia improvvisamente segno di sé è componente immanente al nostro lavoro: non possiamo permettere che ci paralizzi, ma dobbiamo essere vigili. E, purtroppo, sappiamo che talvolta anche questo non basta[i].
Manca solo una dozzina di internati a Barcellona Pozzo di Gotto, ormai, perché l’OPG sia consegnato alla storia. Si poteva probabilmente fare meglio, alcune scelte non hanno pienamente convinto, si poteva trovare un equilibrio migliore tra sanità e sistema penitenziario, Regioni e DSM potevano muoversi prima e avrebbero avuto 7 anni[ii]. Ma ciò che sembrava impossibile è stato comunque fatto, e segna oggi un risultato importante! La soddisfazione di quanti si sono battuti per questo obiettivo, in gran parte presenti a Trieste, nell’incredulità dei più e contro le resistenze più varie, era palpabile. E insieme ad essa la consapevolezza delle difficoltà di quello che appare oggi come un navigare a vista, un equilibrio fragile che basterebbe un nulla a spezzare.
La gran parte dei bisogni lasciati inevasi dalla chiusura dell’OPG è stato assorbito – era possibile e quindi doveroso che lo fosse – dal circuito dell’assistenza psichiatrica ordinaria[iii]. E per gli altri?
Il commissario governativo Franco Corleone, prossimo alla chiusura del mandato[iv], ha ricordato l’importanza che le REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), oggi 30 strutture capaci di circa 650 posti complessivi, hanno avuto per raggiungere il risultato. Chi lavora al loro interno “sa di fare qualcosa di grande”. Com’è possibile, si è chiesto, che la società esprima loro concretamente riconoscenza?
Ma questo non è certo l’unico interrogativo. Altri ne seguono: come uscire dall’atteggiamento impaurito, succube che spesso caratterizza la sanità nel suo confronto col potere giudiziario? Che relazione c’è tra le non-strutture di 2 posti nel Friuli V.G. e i 120-160 posti di Castiglione? Bene il criterio della distribuzione territoriale, ma quale “territorio” accoglierà all’uscita i 50 senza dimora oggi in REMS? Come si trovano le donne, spesso da sole in REMS maschili? Si può tollerare ancora l’espressione stigmatizzante “internati” nel Codice penale? E il confinamento di alcune REMS in piccoli borghi sperduti? O architetture degli spazi e degli arredi che talvolta ricordano carceri di piccole dimensioni più che luoghi di cura? E ancora: perché tanta differenza nella necessità di posti REMS tra regione e regione? Quanto ciò dipende dallo stile di lavoro dei Tribunali, dei DSM, dalle relazioni tra gli uni e gli altri? Non è forse giunto il momento che tra le REMS si cominci a pensare a momenti di coordinamento, a partire dal basso, per ragionare insieme su problemi, esperienze, soluzioni? Ed è possibile intervenire per migliorare la qualità delle perizie e dell’iter peritale?[v]
E poi, di fronte al rischio che il bisogno di posti REMS sfugga di mano: è possibile escludere dall’utilizzo chi deve scontare una misura di sicurezza è solo provvisoria? Sul che, personalmente, io sono convinto di no; perché questo significherebbe impedire l’utilizzo – tra ogni altra possibile soluzione dal carcere alle strutture ordinarie del DSM – della REMS proprio a chi, forse ancora in preda a una crisi psicopatologica, fa i conti con il reato appena commesso. E ciò sulla base di un criterio giuridico che dal punto di vista clinico e umano non ha significato. La strada per contenere la necessità di posti REMS mi pare semmai un’altra, e non sono possibili scorciatoie: insistere – come del resto in molti hanno fatto nel corso del seminario – sul fatto che a sostituire l’OPG è tutto il DSM e non la REMS, che ha carattere residuale, estremo, eccezionale; e sulla necessità di adottare criteri rigorosi nell’attribuzione del vizio di mente per evitare fenomeni di impropria psichiatrizzazione del comportamento criminale.
Nerina Dirindin, Stefano Cecconi e altri hanno ricordato il percorso accidentato della riforma, l’incoraggiamento del presidente Napolitano a rendere lo scandalo palese, la fermezza della Commissione parlamentare nel chiedere che si procedesse alla fine "senza indugio" e fare muro contro nuove proroghe che avrebbero trascinato l’agonia dell’OPG all’infinito.
I responsabili dei DSM del Friuli V.G. – Mezzina, Cassin, Bonn – poi, hanno illustrato un’interpretazione creativa e originale della riforma: lo sforzo di trasformare il concetto di REMS da struttura a funzione; la disponibilità a contaminare di questa funzione, “spacchettandola” e sparpagliandola, le strutture ordinarie del DSM; l’importanza di far sentire “accolto in casa” il paziente sottoposto all’Autorità giudiziaria come gli altri; l’utilità per gli operatori di non essere confinati a loro volta in REMS, ma di operare in turn-over coi colleghi; l’economicità nell’interesse pubblico di disporre di posti in grado di assumere la funzione REMS se necessaria, ed essere in altri momenti a disposizione per altro. Rileggendo l’appendice sull’incidente al termine de L’istituzione negata, si può credo rintracciare la sorgente lontana di questa impostazione: sostituire il sostegno che dà l’istituzione aperta a quella che era la sorveglianza in quella chiusa.
Franco Rotelli ha certamente ragione: il fatto che sia venuto meno l’altrove che l’OPG rappresentava obbliga il DSM a interrogarsi su se stesso, apre a una molteplicità di sguardi, esperienze, osservazioni nuove che possono scuotere l’ambiente, dove è necessario, dall’abulia, cambiare l’aria insomma.
Ma non tutti i DSM potranno beneficiare di ciò nella stessa misura. La sensazione trasmessa dal seminario è che quanto più la REMS è collocata nel cuore dalla città, è bene integrata con le strutture del DSM che si assume la responsabilità di coprire almeno i ruoli della dirigenza (o, meglio, tutti) con personale dipendente, è vissuta dagli amministratori e dai clinici come un’opportunità da esplorare anziché una iattura da schivare, tanto meglio la REMS funziona e il DSM può trarne vantaggio in termini di dinamicità, innovazione tecnica, crescita in umanità e – magari – anche disponibilità di nuovo personale giovane e libero da incrostazioni, e di risorse.
Lo hanno dimostrato le tavole rotonde del sabato, dove sono emerse altre criticità: per Pietro Pellegrini i difficili rapporti con il DAP, in particolare per invii alla REMS privi di congruo preavviso e delle notizie indispensabili, e la necessità di filtri che garantiscano un’interfaccia e una regia regionale; e poi, ancora, qualora si scegliesse di escluderlo dalle REMS, la necessità di soluzioni ad hoc per chi è in misura di sicurezza provvisoria. E il fatto che gran parte dei periti continui a operare prescindendo dal DSM, che si trova a farsi carico solo a posteriori di decisioni altrui. Antonella Calcaterra, di stop-OPG Lombardia, ha sollevato tre problemi: quello delle segnalazioni di pericolosità al Magistrato effettuate dagli SPDC, che corrispondono a denunce; quello dei semiinfermi, con i quali il DSM dovrebbe cominciare il lavoro per la misura di sicurezza mentre scontano la pena; quello dell’incostituzionalità dell’art. 148, indirettamente aggravata dalla riforma, a fronte dell’art. 147[vi]. Il giudice triestino Francesco Antoni ha esposto le difficoltà del magistrato della cognizione, al quale capita solo sporadicamente di imbattersi in queste questioni, mostrando attenzione per il processo in atto e le questioni poste dagli psichiatri, e a proposito dello scandalo dell’OPG si è chiesto se il magistrato non avrebbe dovuto andare a vederlo dall’interno, prima di firmare un invio o una proroga[vii] (e lo stesso, dovrebbe forse valere per il carcere prima di firmare una sentenza, come mi sono spesso trovato a pensare quando ci ho lavorato).
Qualcuno ha provato anche a guardare oltre: l’abolizione degli art. 88 e/o 89, della pericolosità, dell’interdizione. Ma voglio chiudere invece col soffermarmi sulla freschezza della tavola rotonda, moderata da Giovanna del Giudice, che ha visto protagonisti gli operatori delle REMS di Basilicata, Abruzzo, Veneto, Friuli V.G., Sardegna. Sì, Corleone ha ragione: si percepiva davvero un’aria nuova, fresca, il sommovimento che segue la caduta di un muro, la soddisfazione di essere riusciti a modificare, una volta tanto, concretamente la qualità della vita di un migliaio di persone. Il fatto di sentirsi molti di quegli operatori, spesso evidentemente alla prima esperienza lavorativa, pionieri col mettere in campo la loro capacità di affrontare con apertura, passione e atteggiamento sereno l’aspetto più inquietante del nostro lavoro, quello più prossimo alla dimensione del pericolo. Credo che finché ci saranno questi ragazzi a proseguire, un’altra psichiatria continuerà a essere possibile.
Manca solo una dozzina di internati a Barcellona Pozzo di Gotto, ormai, perché l’OPG sia consegnato alla storia. Si poteva probabilmente fare meglio, alcune scelte non hanno pienamente convinto, si poteva trovare un equilibrio migliore tra sanità e sistema penitenziario, Regioni e DSM potevano muoversi prima e avrebbero avuto 7 anni[ii]. Ma ciò che sembrava impossibile è stato comunque fatto, e segna oggi un risultato importante! La soddisfazione di quanti si sono battuti per questo obiettivo, in gran parte presenti a Trieste, nell’incredulità dei più e contro le resistenze più varie, era palpabile. E insieme ad essa la consapevolezza delle difficoltà di quello che appare oggi come un navigare a vista, un equilibrio fragile che basterebbe un nulla a spezzare.
La gran parte dei bisogni lasciati inevasi dalla chiusura dell’OPG è stato assorbito – era possibile e quindi doveroso che lo fosse – dal circuito dell’assistenza psichiatrica ordinaria[iii]. E per gli altri?
Il commissario governativo Franco Corleone, prossimo alla chiusura del mandato[iv], ha ricordato l’importanza che le REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), oggi 30 strutture capaci di circa 650 posti complessivi, hanno avuto per raggiungere il risultato. Chi lavora al loro interno “sa di fare qualcosa di grande”. Com’è possibile, si è chiesto, che la società esprima loro concretamente riconoscenza?
Ma questo non è certo l’unico interrogativo. Altri ne seguono: come uscire dall’atteggiamento impaurito, succube che spesso caratterizza la sanità nel suo confronto col potere giudiziario? Che relazione c’è tra le non-strutture di 2 posti nel Friuli V.G. e i 120-160 posti di Castiglione? Bene il criterio della distribuzione territoriale, ma quale “territorio” accoglierà all’uscita i 50 senza dimora oggi in REMS? Come si trovano le donne, spesso da sole in REMS maschili? Si può tollerare ancora l’espressione stigmatizzante “internati” nel Codice penale? E il confinamento di alcune REMS in piccoli borghi sperduti? O architetture degli spazi e degli arredi che talvolta ricordano carceri di piccole dimensioni più che luoghi di cura? E ancora: perché tanta differenza nella necessità di posti REMS tra regione e regione? Quanto ciò dipende dallo stile di lavoro dei Tribunali, dei DSM, dalle relazioni tra gli uni e gli altri? Non è forse giunto il momento che tra le REMS si cominci a pensare a momenti di coordinamento, a partire dal basso, per ragionare insieme su problemi, esperienze, soluzioni? Ed è possibile intervenire per migliorare la qualità delle perizie e dell’iter peritale?[v]
E poi, di fronte al rischio che il bisogno di posti REMS sfugga di mano: è possibile escludere dall’utilizzo chi deve scontare una misura di sicurezza è solo provvisoria? Sul che, personalmente, io sono convinto di no; perché questo significherebbe impedire l’utilizzo – tra ogni altra possibile soluzione dal carcere alle strutture ordinarie del DSM – della REMS proprio a chi, forse ancora in preda a una crisi psicopatologica, fa i conti con il reato appena commesso. E ciò sulla base di un criterio giuridico che dal punto di vista clinico e umano non ha significato. La strada per contenere la necessità di posti REMS mi pare semmai un’altra, e non sono possibili scorciatoie: insistere – come del resto in molti hanno fatto nel corso del seminario – sul fatto che a sostituire l’OPG è tutto il DSM e non la REMS, che ha carattere residuale, estremo, eccezionale; e sulla necessità di adottare criteri rigorosi nell’attribuzione del vizio di mente per evitare fenomeni di impropria psichiatrizzazione del comportamento criminale.
Nerina Dirindin, Stefano Cecconi e altri hanno ricordato il percorso accidentato della riforma, l’incoraggiamento del presidente Napolitano a rendere lo scandalo palese, la fermezza della Commissione parlamentare nel chiedere che si procedesse alla fine "senza indugio" e fare muro contro nuove proroghe che avrebbero trascinato l’agonia dell’OPG all’infinito.
I responsabili dei DSM del Friuli V.G. – Mezzina, Cassin, Bonn – poi, hanno illustrato un’interpretazione creativa e originale della riforma: lo sforzo di trasformare il concetto di REMS da struttura a funzione; la disponibilità a contaminare di questa funzione, “spacchettandola” e sparpagliandola, le strutture ordinarie del DSM; l’importanza di far sentire “accolto in casa” il paziente sottoposto all’Autorità giudiziaria come gli altri; l’utilità per gli operatori di non essere confinati a loro volta in REMS, ma di operare in turn-over coi colleghi; l’economicità nell’interesse pubblico di disporre di posti in grado di assumere la funzione REMS se necessaria, ed essere in altri momenti a disposizione per altro. Rileggendo l’appendice sull’incidente al termine de L’istituzione negata, si può credo rintracciare la sorgente lontana di questa impostazione: sostituire il sostegno che dà l’istituzione aperta a quella che era la sorveglianza in quella chiusa.
Franco Rotelli ha certamente ragione: il fatto che sia venuto meno l’altrove che l’OPG rappresentava obbliga il DSM a interrogarsi su se stesso, apre a una molteplicità di sguardi, esperienze, osservazioni nuove che possono scuotere l’ambiente, dove è necessario, dall’abulia, cambiare l’aria insomma.
Ma non tutti i DSM potranno beneficiare di ciò nella stessa misura. La sensazione trasmessa dal seminario è che quanto più la REMS è collocata nel cuore dalla città, è bene integrata con le strutture del DSM che si assume la responsabilità di coprire almeno i ruoli della dirigenza (o, meglio, tutti) con personale dipendente, è vissuta dagli amministratori e dai clinici come un’opportunità da esplorare anziché una iattura da schivare, tanto meglio la REMS funziona e il DSM può trarne vantaggio in termini di dinamicità, innovazione tecnica, crescita in umanità e – magari – anche disponibilità di nuovo personale giovane e libero da incrostazioni, e di risorse.
Lo hanno dimostrato le tavole rotonde del sabato, dove sono emerse altre criticità: per Pietro Pellegrini i difficili rapporti con il DAP, in particolare per invii alla REMS privi di congruo preavviso e delle notizie indispensabili, e la necessità di filtri che garantiscano un’interfaccia e una regia regionale; e poi, ancora, qualora si scegliesse di escluderlo dalle REMS, la necessità di soluzioni ad hoc per chi è in misura di sicurezza provvisoria. E il fatto che gran parte dei periti continui a operare prescindendo dal DSM, che si trova a farsi carico solo a posteriori di decisioni altrui. Antonella Calcaterra, di stop-OPG Lombardia, ha sollevato tre problemi: quello delle segnalazioni di pericolosità al Magistrato effettuate dagli SPDC, che corrispondono a denunce; quello dei semiinfermi, con i quali il DSM dovrebbe cominciare il lavoro per la misura di sicurezza mentre scontano la pena; quello dell’incostituzionalità dell’art. 148, indirettamente aggravata dalla riforma, a fronte dell’art. 147[vi]. Il giudice triestino Francesco Antoni ha esposto le difficoltà del magistrato della cognizione, al quale capita solo sporadicamente di imbattersi in queste questioni, mostrando attenzione per il processo in atto e le questioni poste dagli psichiatri, e a proposito dello scandalo dell’OPG si è chiesto se il magistrato non avrebbe dovuto andare a vederlo dall’interno, prima di firmare un invio o una proroga[vii] (e lo stesso, dovrebbe forse valere per il carcere prima di firmare una sentenza, come mi sono spesso trovato a pensare quando ci ho lavorato).
Qualcuno ha provato anche a guardare oltre: l’abolizione degli art. 88 e/o 89, della pericolosità, dell’interdizione. Ma voglio chiudere invece col soffermarmi sulla freschezza della tavola rotonda, moderata da Giovanna del Giudice, che ha visto protagonisti gli operatori delle REMS di Basilicata, Abruzzo, Veneto, Friuli V.G., Sardegna. Sì, Corleone ha ragione: si percepiva davvero un’aria nuova, fresca, il sommovimento che segue la caduta di un muro, la soddisfazione di essere riusciti a modificare, una volta tanto, concretamente la qualità della vita di un migliaio di persone. Il fatto di sentirsi molti di quegli operatori, spesso evidentemente alla prima esperienza lavorativa, pionieri col mettere in campo la loro capacità di affrontare con apertura, passione e atteggiamento sereno l’aspetto più inquietante del nostro lavoro, quello più prossimo alla dimensione del pericolo. Credo che finché ci saranno questi ragazzi a proseguire, un’altra psichiatria continuerà a essere possibile.
[i] Fanno riflettere le parole del parroco ai funerali di Nadia: «Non possiamo parlare di una fatalità, con le sue scelte Nadia sapeva dei rischi che correva. Lei credeva negli altri e vedeva del buono nel suo paziente». E, a proposito di lui: «Bisogna trovare il senso di pietà nei confronti di chi ha commesso questo gesto».
[ii] Sui limiti e le caratteristiche di questo processo rispetto a quello che ha portato nel 1978 alla chiusura dell’ospedale psichiatrico ho avuto occasione di soffermarmi in: P.F. Peloso, Liberi (proprio) tutti? Un confronto tra la chiusura degli Ospedali Psichiatrici e degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in Italia, L’arco di Giano, 85, 2015, pp. 15-28.
[iii] Siamo consapevoli che esiste, al riguardo, un rischio di espansione fuori controllo della residenzialità pesante, che deve essere ben monitorato.
[iv] Cfr. su POL. it: F. Corleone, La rivoluzione gentile: relazione trimestrale sul superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, 13 dicembre 2016 (clicca qui per il link).
[v] A proposito di questi problemi, che non è possibile qui approfondire, cfr. in questa rubrica: Nell’area grigia tra medicina e giustizia sta la persona (clicca qui per il link).
[vi] L’art. 148 del C.P. prevede che chi sviluppa nel corso della pena una condizione di malattia mentale incompatibile con la sua prosecuzione sia sottoposto a osservazione in OPG e oggi, dopo la sua chiusura, in reparti intracarcerari. L’art. 147 invece prevede che chi si trova nella stessa situazione per “grave infermità fisica” goda di una sospensione della pena per cure. Abbiamo avuto occasione di criticare la palese discriminazione di questa diversa previsione in: L. Ferrannini, P.F. Peloso, Questioni attuali nel rapporto tra Dipartimento di Salute Mentale e circuito penitenziario: complessità dei problemi e ipotesi di intervento, Rassegna italiana di criminologia, I, 2007, 1, pp. 160-179.
[vii] E’ quanto pare abbia fatto recentemente il dott. Nicola Graziano, magistrato di Napoli, mischiandosi per qualche giorno in incognito tra gli internati ad Aversa.
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