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La nostra massa telematica

24 Feb 17

A cura di antonello.sciacchi16

La massa è un’“anima collettiva” con sentimenti e impulsi comuni dell’individuo, che non è più un’individualità. In essa è vissuto il “noi tutti” senza “l’Io”. Nelle azioni comuni momentaneamente ha una potenza irresistibile, è credula, priva di critica e di qualsiasi sentimento di responsabilità, ma anche influenzabile e rapidamente mutevole. Tende verso le “psicosi di massa”, verso emozioni smisurate, verso azioni violente (panico, saccheggi, assassinii). Come membro della massa, l’individuo sente, si comporta e agisce come non agirebbe mai nella sua personale individualità e nella sua tradizione storica. Egli è diventato un automa, privo di volontà, con un aumentato senso di potere. Lo scettico diventa credente, l’uomo onorevole diventa criminale, il vigliacco un eroe.[1]

Jaspers non conosceva le masse informatiche dei social network. Le avesse conosciute, la sua psicopatologia delle masse avrebbe avuto significativi approfondimenti. Analogo discorso vale per Freud. Forse la psicopatologia freudiana delle masse, basata sui modelli molto ristretti della chiesa e dell’esercito, a loro volta fondati sull’identificazione al Führer o all’ideale, avrebbe dovuto subire un sostanziale rimaneggiamento. Qui tenterò, appunto, di rimaneggiare Freud alla luce dell’esperienza informatica.

Non è stata ancora formulata – forse non è un caso – una sistematica psicopatologia della massificazione informatica. Il freudismo non poteva formularla essendo vincolato al modello di massa come si presenta nella chiesa e nell’esercito, che sono masse in un certo senso simmetriche rispetto alle masse informatiche. Chiesa ed esercito sono masse identificatorie: ogni singolo componente della massa è identificato al Führer o all’ideale; in quanto tale non interagisce con il simile. Nei social, invece, non vigono identificazioni all’ideale altolocato; non vigono simmetrie trascendentali; vigono interazioni locali disperse tra entità che non si integrano in qualche unità ideale superiore. Come se ne fa la teoria? Come si controllano in pratica?

Per inquadrare il problema, semplificando drasticamente il fenomeno, mi riferisco a due estremi, uniti però dalla facilità di “pubblicare” in rete. Da una parte c’è chi si rivolge a uno, il persecutore, dall’altra chi si rivolge, o crede di rivolgersi, a tutti. Il primo estremo non è tipico della realtà virtuale. Trasferisce al virtuale i meccanismi proiettivi dell’Io che già rendono virtuale la vita reale. Si chiama paranoia e sta al fondo di ogni personalità. Perciò non considero il fenomeno in questa sede, benché abbia una frequenza non trascurabile. Il secondo estremo invece richiede un’analisi più elaborata.
Parto proprio dal secondo estremo, dal caso che ho sotto mano e almeno per me è evidente: me stesso. Io, che scrivo su una rivista di psichiatria on line con più di seimila iscritti, credo di scrivere perché tutti mi leggano. Credo – voglio credere e perciò scrivo – che tutti si interessino alla mia idiosincrasica ideuzza: la possibilità di trasformare la psicoanalisi in scienza, in una di quelle scienze che Lacan chiamava “scienze congetturali del soggetto”.

Non è così. Nessuno si interessa alla mia ideuzza e non perché sia un mio idiotismo, ma perché “nessuno esiste in rete” o meglio “tutti sono nessuno”. In pratica, non esiste in rete il gioco tra alter ed ego, tra esterno e interno. È come se fosse attivo un sistema senza ambiente, simile alla massa freudiana, dove ogni singolo è disconnesso dall’altro, ma senza polo identificatorio o, forse meglio ancora, simile a un sistema lacaniano con altro immaginario e/o simbolico ma non reale. Forse non stupisce, allora, che né da parte freudiana né lacaniana si sia proposto un abbozzo di psicopatologia della rete.

In mancanza dell'altro reale siamo nel campo dell’autismo secondo Bleuler. Sarebbe allora la schizofrenia il modello di funzionamento della rete? Sono propenso a crederlo, nella misura in cui la schizofrenia è l’immistione del soggetto collettivo nell’individuale, cui conferisce la propria specifica sconnessione o Zerfahrenheit. È questo il termine che sia Bleuler sia Freud usano per indicare la disconnessione dei contenuti psichici, rispettivamente nella schizofrenia e nell’Es. Intendono indicare un campo (fangoso) solcato dalle rotaie di carri dirette in tutte le direzioni, quindi senza una direzione precisa che indichi la finalità del sistema. Noi utenti della rete ci “schizofreniamo” nel momento in cui digitiamo un url, un indirizzo da cui non tornerà risposta. Operiamo in modo autistico, quindi dissociato, zerfahren, nel senso che non c’è correlazione tra una nostra azione e la successiva all’interno di un progetto comunicativo. E lo stesso vale per gli altri, compresi quelli che sembrano risponderci, ma in realtà non ci rispondono, ognuno seguendo le proprie idiosincrasie.

Nella rete sembra venir meno il simbolico, inteso nel senso di Luhmann (non di Lacan o di Freud). Verrebbe meno “ciò che fa uno”, proprio perché manca l’altro rispetto al quale l’uno può differenziarsi come uno. D’altra parte, mancando l’altro reale non ci può essere unificazione generalizzante di tutti gli altri, che restano disconnessi. Non c’è funzione comunicativa, in rete, tanto meno linguistica, se è vero che la funzione specifica del linguaggio “consiste nel generalizzare il senso mediante simboli”.[2] Luhmann intende dire che i simboli non sono segni di qualcosa. “Invece di designare qualcos’altro, tali simboli sono essi stessi ciò che realizzano”.[3] La rete priva di funzione linguistica diventa allora follia che non si può “contenere”, perché non comunica nulla nel momento in cui comunica tutto; non si può internare in qualche luogo chiuso di stampo manicomiale, perché è generalizzata, diffusa e incontenibile, cioè non è psichiatrizzabile. Insomma, la rete non è un uni-verso (verso uno) chiuso. In matematica si direbbe che la rete non è un insieme, definito da una proprietà caratteristica, ma è una classe propria, che non può essere ridotta a elemento di un’altra classe. Una classe propria è un collettivo senza qualità, come l’uomo di Musil.

Per chi vi entra la rete è, perciò, un ambiente indeterminato, che l’utente tenta di determinare come persona, cioè come sistema psichico visto dall’altro (ancora Luhmann). Se l’operazione riesce, e per lo più riesce, la rete può assumere in concreto diverse facce. Da qui l’aspetto proteiforme della rete che è di tutti ed è di nessuno. Da lì la sensazione di estrema libertà che dà navigare in rete. Ma è una navigazione per cui non esiste la “seconda navigazione”, secondo Platone. La navigazione va sempre avanti all’infinito e non torna mai in porto, cioè l’utente della rete non torna mai in sé stesso, ma rimane sempre nell’altro (che non esiste!).

La rete come inconscio, allora? Piano. La rete non è l’inconscio, per esempio l’inconscio collettivo secondo Jung. La rete è solo un modello di inconscio. Funziona come un inconscio senza analista; Freud direbbe che la rete è “un inconscio selvaggio” o a cielo aperto, senza possibilità di instituire un processo di individuazione (direbbe Jung); senza possibilità di presa di coscienza (allora sarebbe protorimosso, secondo Freud). Ho un riscontro empirico del fenomeno che sto faticosamente cercando di circoscrivere. Ho ricevuto qualche domanda d’analisi dalla rete; nessuna ha retto all’impatto con il reale; nessuna è andata al di là di qualche seduta preliminare. Tutto è rimasto come prima allo stato virtuale. Mi dicono che succede qualcosa di analogo nei rapporti sessuali mediati dal chatting. Non durano.

Ciò interroga l’analista. Se c’è una psicopatologia in rete e della rete, si può analizzare? Si può curare? Quale forma assume il transfert, passando per il colabrodo della rete? Dove va a finire la supposizione del sapere tra le maglie della rete? Riconosciamo che le dottrine vigenti nel campo psicanalitico non sono attrezzate (aggiornate) per rispondere a questi interrogativi.

Allora è doveroso porsi certe domande, avendo qualche embrione di risposta. Per esempio, che il transfert verso il soggetto collettivo, certamente presente in rete, è una resistenza al transfert verso qualche soggetto individuale. Il disc orso è da approfondire, per esempio a partire dalla nozione di comunicazione.

Le analogie con la situazione analitica sono evidenti ma critiche, temo fuorvianti. Freud pose la comunicazione come regola fondamentale per i pazienti in psicanalisi, ai quali richiedeva di comunicare tutto ciò che venisse loro in mente sinceramente e senza critica, alles mitzuteilen, was Ihnen einfällt.[4] Per Luhmann la comunicazione è l’interazione fondamentale tra sistema psichico e ambiente, quindi tra utente e rete come tra analizzante e analista. La nostra difficoltà teorica è che la rete, a differenza dell’analista, non sembra essere a sua volta un sistema psichico o, se lo è, non è un sistema psichico come quelli codificati nei manuali di psicologia. Viene meno, sembra, quella doppia contingenza tra sistema e ambiente (e viceversa) che secondo Luhmann instaura la relazione (autofondante) di senso, che è sempre senso sociale. Il risultato è che diventa difficoltosa la presa di coscienza della comunicazione che sta avvenendo, se sta avvenendo.

Avvengono cose insensate in rete? Sembra per lo più, ma avvengono anche cose sensate. Come si gestiscono? Come se ne prende coscienza? Questo dobbiamo ancora imparare a fare in modo proficuo. La rivista telematica fondata da Bollorino è certamente un modo sensato, nel senso che mette a disposizione degli utenti un capitale di sapere accumulato in un ventennio. Ma è un caso rappresentativo della generalità di interazioni con la rete e nella rete? Può a sua volta la rivista telematica Psychiatry on line auto-interrogarsi sui propri rapporti con la rete? Può analizzare sé stessa come massa che è in rete? Non sarebbe male. Il 20 gennaio scorso Bollorino propose a Milano di istituire un forum interno alla rivista sul tema. Io parteciperei molto volentieri. Forse questo post potrebbe essere il mio primo (incerto e problematico) contributo.



[1] K. Jaspers, Psicopatologia generale (1913), trad. R. Priori, Il Pensiero Scientifico, Roma 1964, p. 788.
[2] N. Luhmann, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale (1984), trad. A. Febbrajo e R. Schmidt, Il Mulino, Bologna 1990, p. 185. Poco prima Luhmann aveva definito il simbolico come “riferimento di una molteplicità a un’unità che lo simboleggia” (ivi, p. 183).
[3] Ivi, p. 185 (corsivo dell’autore). Riporto la citazione per sottolineare la differenza tra “simbolico” nel senso di Luhmann e “significante” secondo Lacan. La sociologia sistemica di Luhmann è una pratica senza soggetto. Il simbolismo di Luhmann mi sembra più vicino allo junghismo che al freudismo.
[4] S. Freud, “Zur Psychopathologie des Alltagslebens” (Psicopatologia della vita quotidiana, 1904), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. IV, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 14. In seguito Freud la chiamerà “regola tecnica fondamentale”, Technische Grundregel.

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3 Commenti

  1. lmontecc@libero.it

    Articolo molto interessante .
    Articolo molto interessante . Io proverei a discutere alcuni punti. In primo luogo sono d’accordo che il concetto di massa così come lo intendeva il Freud della Psicologia delle masse ed analisi dell’io sia totalmente inadeguato per descrivere i fenomeni della rete. Io preferisco il concetto di moltitudine. Ho descritto questo passaggio in un lavoro del 2006 che si può trovare qui:
    http://www.area3.org.es/sp/item/117/Dalla%20massa%20alla%20moltitudine.%20L.%20Montecchi
    L’altro punto riguarda il passaggio dall’io al noi che avviene nella esperienza di gruppo. Si tratta di accedere al concetto di gruppalita’
    Grazie per questo tuo stimolante intervento

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  2. admin

    due considerazioni: la prima
    due considerazioni: la prima riguarda il tema a me caso del cambiamento della natura dell'”oggetto” in rete che si presenta senza resistenze. Per me è attorno a questo concetto che ruota tutta la declinazione della fisiologia e della psicopatologia della vita on line. E’ evedente la possibilità di attivare “analogie” con il cosiddetto “reale” e conseguentemente poter applicare categorie che da lì provengono ma vi sono aspetti peculiari che invece meriterebbero uno studio specifico scevro da modelli preesistenti anche per provare a comprendere gli aspetti processuali che si attivano; la seconda riguarda l’opportunità di attivare una discussione tra di noi qui sulla rivista: essite uno spazio davvero poco usato che è lo spazio FORUM dove gli utenti registrati possono appunto fare ciò che Antonello propone nelle ultime righe del suo bel pezzo.. ci vogliamo provare? O la “passività” è una categoria psicopatologica da studiare quando si affronta il tema della rete?

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  3. renato.carlo.moglia

    Mi vien da dire, in modo
    Mi vien da dire, in modo problematico e interrogante, che la rete non solo non sembra, ma forse non è un sistema psichico, piuttosto è un sotto-sistema sociale, il cui ambiente di riferimento è il sistema psichico. La rete comunica, eccome, la comunicazione è la sua operazione di base, l’elemento operativo che la regge, la autocostituisce e la rende un sistema autopoietico.
    Il sistema-rete, in quanto sociale, è “disturbato” dal sistema psichico, che fa rumore con le sue aspettative. Sono due sistemi (rete e sistema psichico) che sono uno l’ambiente dell’altro, e si disturbano, in modo vincolante dal punto di vista coevolutivo, perché si basano entrambi sul senso, e nello specifico -della rete- sulla attribuzione (fittizia) del senso a un qualche soggetto (della serie: chi dice cosa).
    La rete probabilmente è un sotto sistema del sistema sociale che veicola fittiziamente (virtualmente) una falsità, una fake-new permanente, una finta interpenetrazione tra soggetti psichici. Forse si tratta invece di interpenetrazione tra diversi sitemi (rete e sistema psichico) che sono uno ambiente per l’altro.
    Ma se la rete è un sotto sistema sociale non è un soggetto psichico, neanche collettivo, quindi non è psicoanalizzabile, non è neanche un soggetto, è un sistema, quindi un funzionamento. Questo funzionamento ha dei punti di chiusura, ma essendo temporalizzato, nel tempo, ed autopoietico, è soggetto alla contingenza e all’apertura, ovvero all’evoluzione al fine di gestire la propria complessità interna e quella derivante dal disturbo ambientale.

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