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Edipo ammaccato. La psicoanalisi contemporanea e l’obsolesecenza degli strumenti teorici.

10 Giu 17

A cura di info_1

EDIPO AMMACCATO
 
La psicoanalisi contemporanea e l’obsolesecenza degli strumenti  teorici.
 
 
 
 

Deleuze e Guattari nella loro celebre opera  
‘ L' anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia’  muovono diverse critiche  al plinto fondante dell’apparato psicoanalitico, vale a dire la triangolazione edipica.      Scrivono:   ‘Edipo ristretto è la figura del triangolo papà mamma,    la costellazione familiare in persona,  ma quando la psicoanalisi ne fa il suo dogma non ignora l’esistenza di relazioni dette preedipiche. In pratica questo significa l’influenza simbolica della generazione precedente nella determinazione dell’insorgenza delle psicosi ad esempio. (…) È questa a fare dell’Edipo una sorta di simbolo cattolico universale’.

Sono partito da questa evidenza, incontrata personalmente, per fare una breve disamina delle ammaccature presenti sulla carrozzeria dell’ammiraglia della dottrina freudiana servendomi della clinica esperita in questi anni, nonché attingendo al mio percorso personale.     

 
 
Premessa: I luoghi di scelta.  
 
 L ’edipizzazzione forzata cui la psicoanalisi si abbandona’ paventata dagli autori,   quali conseguenze può avere nella clinica di oggi? Quali orizzonti può aprire, a quali impasse può condurre?   
Ogni analista, giocoforza elabora idee e deduzioni senza poter prescindere dal proprio luogo di nascita,  dall’ambiente nel quale lavora, dal proprio ceto di appartenenza.    Per questo motivo oggi assistiamo a idee tanto diverse tra di loro, seppure originate  da medesimi corpus teorici,  a seconda di quale clinico le esprima. Questo perchè tanti colleghi provengono da altrettanti humus culturali ed economici differenti tra di loro, in molti casi universi che mai si intersecano, o dai quali è appena possibile intuire l’esistenza di altre forme di vita.
Ecco la prima contraddizone insita nel concetto di scelta del soggetto, base fondante delle conseguenze che egli dovrà rettificare in corso di ivta.   
‘ Si sceglie sempre’ mi diceva un agiato ed altolocato collega d’oltralpe, assai bravo, coscienzioso  e   preparato, riferendosi ad azioni delinquenziali o al limite della legge  messe in atto da diversi  analizzanti sui quali ci stavamo confrontando. Mi chiedo se costui, provenendo dal Cep di Palermo o da altre  zone economicamante depresse o completamente in mano alla n’drangheta , farebbe le medesime affermazioni. Chi appartiene ad un territorio ordinato e presieduto da legami mafiosi, fatto di codici ed usanze opposte alle leggi dello Stato, può davvero dire di no all’Altro quando, ad esempio, si mostra sottoforma di matrimonio combinato?      In alcuni casi, condividendo  con lui una colazione, mi sono addirittura chiesto se abbia mai immaginato che possano esistere    altre realtà che non quelle raccontate  dai suoi pazienti, anch’essi provenienti dal suo stesso  locus confortevole. Insomma, si sceglie si, ma seconda di come l’Altro lo abbia già deciso. Sappiamo dall’antropologia che si impazzisce e si diventa folli  a seconda di come l’Altro lo decida, seguedo i suo canoni predefinti. Questa differenza non è una contraddizione,  bensì la ricchezza di una psicoanalisi declinata secondo la riterritorializzazione di cui parlano D e G. Dunque un analista che provenga da ed operi quasi eslusivamante in un ceto medio borghese, accuserà  sicuramente  e massicciamente l’evaporazione del  padre di cui parla Lacan, teorizzandone la  scomparsa    e  le sue conseguenze  all’interno della  triangolazione    familiare.  
Ma, appunto,  è necessario stare attenti  a non elevare questo dato a dogma universale, come spiegano D. e G.,  cadedno nella facile trappola di  estendere   a tutta la clinica  quel particolare edipo-familgia estrapolato dai propri analizzanti. 
 
 
 
 
1 Fuori le mura edipiche: Dio come stampella
 
Nel paragrafo titolato ‘ La sintesi disgiuntiva di registrazione’,   D. e G. sostengono la base fondante, e non messa in discussione, della triangolazione Edipica, come elemento capace di fornire all’io quelle ‘coordinate che lo differenziano nello stesso tempo quanto alla generazione, quanto al sesso e allo stato’. Anche nell’Edipo delle famiglie migranti, i cui figli hanno nome , cognome, territorialità e differenziazione sessuale, si innesta e fa da sottofondo un fattore di estimità.  Ho constatao  la  messa alla prova della struttura edipica tradizionale  confrontata  con quella delle nuove famiglie  composte da migranti , per le quali l’appartenenza simobolica è fortisisma con la madre patria, ma una semplice questione burocratica con il paese che li ospita. 
Eva, nome di fantasia, è una ragazza che indossa sempre i jeans e studia da avvocatessa. Litiga ferocemente con padre e madre che non sono d’accordo sul suo desiderio.    Alla prova della nevrosi tuttavia ella cade ammalata quando il suo fidanzato conosce uno scompenso psicotico grave a seguito di un licenziamento.  Nel suo dire  il compagno paga   una maledizone degli ‘jinn’, spiriti locali propri della sua terra, per aver infranto un tabu’. Non certo per il licenziamento.   E’ su questa tensione con l’Altro di provenienza, sul timore che una qualche infrazione abbia minato un ordine naturale della sua antica madre patria  che si ammala . Come si vede non è una donna ingabbiata  dentro la triparizone edipica, ma questo non la salva dalla nevrosi. 
 
 L’esempio  portato dagli autori dello schizofrenico, o dello psicotico che parla con Dio come Schreber, mette in campo un terzo ( Dio), che ha un effetto prevaricante e prevalente  nei confronti dei due assi portanti dello schema: padre e madre. Una funzione tale da metterli in scacco.
Essi parlano di un soggetto ‘trans-posizionale- Schreber è uomo e donna, genitore e bambino, morto e vivo.  Ecco perché il Dio dello schizofrenico ha cosi’ poco a che vedere con il Dio della religione’ .Lo schizofrenico ‘libera una materia genealogica greggia, illimitativa, ove può mettere, iscriversi , rintracciarsi in tutte le diramazioni contemporaneamente.  Fa saltare la genealogia edipica.’
Ecco dunque a cosa voglio arrivare: questo è il solo Dio ammesso in seduta.
Quello delle allucinazioni, quello dei fenomeni elementari.
Questa è la sola presenza di dio che, come D. e G. indicano, possa vivificare il soggetto, riprenderlo dagli abissi, dargli una forza che nessun analista potrebbe trovare, in nessun luogo. Questo Dio è terapeutico risolutivo.
Cuce, tiene unito, rammenda, lega, compensa. Sostiene.
Il Dio che placa l’angoscia del fobico, il Dio col quale si parla nel delirio. Il Dio che salva la madre dagli abissi del lutto inelaborabile  allorquando perde un figlio.
Il Dio del padre che prega e , pregando, non prende psicofarmaci.
Io ricordo bene la preghiera di una donna affetta da crisi di panico, su struttura pre psicotica, la      quale ad ogni crisi ingestibile, si recava in chiesa e , invocando Dio, otteneva pacificazione.
 
Cosa ben diversa dagli ‘ Jinn’ e dal Dio di Schreber è quel  Dio che sta appeso  alle spalle dell’analista, convocato a sostenre la triade edipica.
Oggi purtroppo, a fronte dell’evidente scricchiolio dell’impalcatura edipica,   stante le  sue evidenti lacune o incapacità nello spiegare tutta la psicopatologia corrente, è assai in voga uno strumento pernicioso: l’appello a Dio come elemento esterno capace di rammendare il malfunzionamento dell’apparato.   In pratica, piuttosto che accettare l’inserzione di altre discipline ( come, ad esempio, le neuroscienze), ammettendo infine che solo prendendo atto dei suoi limiti il ferro edipico può  continuare a funzionare, purché corretto, si preferisce scotomizzare  le sue zone di inapplicabilità, forzando la realtà tutta ad adeguarsi alla sua forma arcaica. Ne risulta una visone distorta del quotidiano, come se qualcuno cercasse, oggi,  di spiegare ii fenomeni atmosferici forzando la natura a sottoporsi al sistema Tolemaico.  
Ecco il punto critico di una parte  dell’analisi, e della clinica, nel contemporaneo: far passare convinzioni individuali  dalla cruna dell'ago de : 'Lo ha detto Dio’'. Per alcuni analisti il problema non è tanto il loro retroterra cattolico ( o protestante, o ortodosso), e nemmeno il loro ritrovarsi su un identico sentire. Semmai è il non riuscire a  farne a meno, condizione faticosa ma necessaria per incarnare quella posizione ‘neutra’ che l’analista deve avere.  Posizionare Dio fuori dalla porta dello studio, de facto, dandogli il ruolo di ‘garante’ del setting, toglie qualsiasi legittimità clinica a questa pratica analitica. La rende spendibile, appetibile, ruffiana e corteggiata, specie in tempo di crisi che pare chiedere l’intervento del ‘ padre riparatore e autoritario.   Lo psicoanalista J.A . Miller,  intervenuto in un similare dibattito in Francia , sottolinea bene la posizione dalla quale un analista deve parlare su questi temi, se lo fa da quella posizione e nessun’altra, al di la del suo credo religioso. ‘Gli analisti non sono solo analisti. Essi sono anche cattolici, credenti, non credenti, omosessuali, conservatori, progressisti, etc. Possono essere a favore o contro, pensare che devono impegnarsi in o no, che sia meglio mantenere il silenzio prudente di Conrad. Ma, come studiosi di Lacan, non possono, a mio parere, opporsi al matrimonio gay in nome della psicoanalisi’.
 Per alcuni analisti il problema non è tanto il loro retroterra cattolico ( o protestante, o ortodosso), e nemmeno il loro ritrovarsi su un identico sentire. Semmai è il non riuscire a  farne a meno, condizione faticosa ma necessaria per incarnare quella posizione ‘neutra’ che l’analista deve avere.  

 
2 Pezzi di ricambio : padre, madre, figlio e sinthomo.  
 
E’ la clinica lo strumento pirincipale attraverso il quale prendere atto che  l’imposizione triadica ha perso nel tempo  colpi.   Penso ad esempio   al concetto lacaniano di sinthomo.   Un sedimento progressivo che il soggetto fa proprio   per soppeire alle cerenze strutturali del simbolico sino a farne un punto centrale ed annodante della sua vita. Dunque un qualcosa di irridicucibile, un uno per uno, una specificità non trattabile nè guaribile, ma che, come insegna Miller, è “Elemento riparatore […], una guarigione, un elemento terapeutico” capace di sostenere l’individuo come nodo portante della struttura.'   Il sinthomo, appare in quanto tale un elemento che permette all’individuo di sostenere la sua struttura al di la dell’influenza del duo padre  – madre. Si tratta di un elemento di sostegno ‘auto frabbricato’ che il soggetto è costretto a reperire fuori le mura, al di ladi  quello che possono lasciare mamma e papa. E’ ‘eccentrico’ al triangolo, si pone al di fuori, ma lo integra e lo sostiene. Si tratta di una  constatazione che  la clinica del quotidiano registra,  attuale, reale e veritiera. Un clinico conosce bene quanto  questo esamotge serva a  sostenere soggetti sempre meno desideranti, sempre meno inseriti nella triangolazione edipica e da questa formati. Quegli uomini di desiderio che scarseggiamno, come insegnano D. e G.
 
Vediamo   il caso di un soggetto che , grazie al sinthomo, è riuscito a superare un’impalcatura edipica inesistente. V nasce mentre i suoi si separano. Per molti anni porterà sulle spalle la ‘colpa’ da altri additata di essere non solo indesiderata, ma anche la causa  della rottura del il triangolo mama – papà – figli.   In realtà ella non fu la causa di nulla, non essendo stata cercata  da nessuno dei due, nata ( forse) da un residuo senso di rivalsa dell’uno verso l’altro. Come figlia di una ‘generazione zero’ V nasce senza nulla alle spalle. Manca qualsiasi riferimento maschile, non c’è un padre simbolico, nemmeno qualcuno che ne faccia le veci.   Per contro la madre appare  operante  una ‘protezione d’ufficio’ poichè in poco tempo si sbarazza di lei, dopo aver incontrato  un amante col quale se ne va, facendo perdere le proprie tracce.  V cresce ina una casa famiglia.
Sin da subito   si appassiona alla pittura   e alla scultura, diventando ben presto una ragazza  prodigio in quel campo.  Diverse e continue sono le crisi che l’affliggono   nel corso della sua crescita. Depressioni, senso di depersonalizzazione, passaggi all’atto, ricoveri. Tutto quello che attiene alla psicosi che,  , tuttavia, non si scatena mai definitivamente . Nel corso del tempo si costruisce, si affina e si definisce quel punto terzo che lei, intravedendo il disfacimento della suo nucleo originario, aveva sin da piccolisima già reperito, consapevole  sin dalla tenera età di non avere  assi solide sulle quali poggiare. Oggi è un artista piuttosto quotata che vive bene  del suo mestiere.   Nel corso della sua analisi la regressione    si inoltra sin nei momenti della prima infanzia, mostrando quanto radicata fosse la passione per quella cucitura che l’ha salvata   ‘Disegnare era la mia passione  sin da piccolissima, i colori erano tutto già da sei anni’.     
 

 

 
3 Edipo e polizia
 
Parliamo  della volontà coercitiva tesa a voler ‘edipizzare’ gli analizzanti   imponendo loro  una versione arcaica e brutale dell’Edipo trino e d’acciaio, oggi fuori luogo, legata ad una non elasticità dell’analista nel prendere atto dei costumi mutati, delle nuove famiglie, di quelle migranti,  il tutto viziato un irrigidimento a prioristico che , rispetto a ‘quelli che non si lasciano edipizzare’ ha come conseguenza che ‘ lo psicoanalista è li pronto a chiamare in aiuto il manicomio o la polizia. La polizia con noi! Mai la psicoanalisi ha mostrato meglio la sua propensione ad appoggiare il movimento ‘ . Potete immaginare, quale sia la deriva di tante ‘analisi’ che sfociano semplicemente in una repressione dell’inconscio, che non vuole lasciarsi ‘edipizzare’ da una visione  giurassica di una struttura, quella edipica,  che alcuni analisti non sono riusciti, o non hanno voluto, modellare in funzione del tempo.
Io  incontrato ciò di cui parlo.
 Io ho toccato con mano cosa significhi la censura al   fluire delle libere associazioni, l’irretimento del  pensiero spontaneo. Ho patito in corso di analisi l’imposizone di  una  versione veterotestamentale dell’Edipo, l’applicazione di una sorta   di linea guida che imponeva  l’assoggettamento alla regola padronale del percorso analitico, secondo la quale  non mi era permesso ‘disobbedire’, o dire ‘cose sbagliate’.
  Cosa impossibile  per chi   come me , intende l’analisi libera ,  a frattale, anarchica come è   l’nconscio, rigorosa come è la libertà pura che è stoccata nei meandri dell’animo umano. Una libertà di espressione che, nel mio caso, passava anche per la messa in discussione totale ed assoluta del padre, delle sue leggi, dei suoi veti. Una forza genuina che incontrò dall’altro lato non una posizione ‘aperta’  capace di fare uscire e rendere intellegibili questi moti interrati, quanto un desiderio di schiacciarli, forzarli, torcerli ad una legge paterna espressione di una sottomissione ad una visione poliziesca dell’Edipo.  
Per questo l’analisi ebbe su di me effetti devastanti.    
Solo dopo aver letto Deleuze e Guattari, capisco la portata di affermazioni quali ‘ se lei non risponde, è segno di follia, di forclusione’.
Vulgo: le sue riottosità a questa analisi si possono leggere non come critiche centrate, quanto come ‘l’esplosione della psicosi’. Insomma, se non ti adegui, sei folle.
Leggi leggi, fruga e rifruga, e trovo queste parole :’ ‘ l’utilizzo del concetto lacaniano di forclusione   tende all’edipizzazione forzata del ribelle (…) Quelli che non riconoscono l’imperialismo di Edipo sono pericolosi devianti, dei gauchiste che devono essere affidati alla repressione sociale e poliziesca, parlano troppo’ 
 
 
4 Come Chernobyl.  
 
Non si dimentichi mai una cosa: la clinica non è rigida, statica o conservatrice. Lo sono coloro i quali si ergono a suoi depositari. Quale è appunto il vulnus che essi isolano? La perversione. La perversione è il grande rimosso, il grande tabu’ del mondo analitico. Il perverso non accede ai luoghi analitici. D. e G.  sostengono che ‘  il perverso si lascia mal edipizzare, perché mai accetterebbe supinamente , dal momento che si è inventato  altre territorialità   ancora piu’ artificiali  dell’Edipo?’ Ecco allora la questione, da loro isolata che piomba a piene mani nel quotidiano. Il perverso va  in analisi? E la comunità analitica, cosa ne pensa?
 L’apparato analitico oggi, è disposto ad aprirgli  le porte? ( ne scrivevo qua  http://www.psychiatryonline.it/node/4647      )
 
No, non ancora. Ne ho avuto conferma a Roma, partecipando ad un congresso organizzato da esponenti della SPI. Dopo aver esposto le mie opinioni suddette   mi è stato obbiettato che ‘il rischio contenuto nella mie parole, è quello di diventare complici della perversione del soggetto, abdicando alla missione originaria, cioè quella di ‘psicoanalizzare’. 
Risposta simile quando, chiedendo  al Campo Freudiano in Italia, mi si è detto che qua non ci lavorano molto, meglio rivolgersi in  in Francia
 
Un collega della SPI   disse: ‘Si, ma questo non è, in fondo, un modo di colludere col perverso, mutando il fondamento stesso dell’apparato analitico? Mi disse. Ecco, questa obiezione nascondeva il mulinello dell’acqua    del ruscello  quando si strozza nella curva e da un lato prosegue, dall’altro viene risucchiata   della foce del fiume dal quale sgorga: la  schiuma in superfice che tradisce un movimento di opposti che non riescono ad armonizzarsi. Se seguiamo alla lettera non solo la lezione di Lacan, ma anche quella di D E G, come ho espresso in diverse parti del mio lavoro di indagine, la ribalta della perversione oggi è un dato di fatto, non una variabile in discussione. Se, come gli autori indicano, si deve seguire l’inconscio nei suoi meandri piu’ profondi,   come un analista dovrebbe fare , si arriva a quel ‘ al di la di ogni legge’ il che tratteggia, appunto, la perversione al suo stato piu’ puro. Non intesa come deviazione da costumi morali ma , appunto, lacanianamente, come ‘un'altra legge’, la possibilità dell’esplorazione di un'altra vita possibile, non assoggettata all’Epido. 
Questo carotaggio estrae un nocciolo de facto contrario ad ogni edipizzazione, che avviene solo successivamente nel corso della sviluppo del soggetto, con le necessarie dighe e strozzature che mettono l’altra legge a margine di quella dell’Edipo.   Ma, e qua voglio sottolineare il punto in questione, si tratta di un carotaggio che può aver effetti devastanti qualora sia l’analista , assistendo all’apertura del vaso di Pandora , ad imporre  una edipizazzione  forzata, in studio, falciando con regole, dogmi ed imposizioni, veti e moniti paracattolici ciò che invece in studio ha il diritto, analitico ed umano, a fluire seguendo le leggi libere del gas. D e G sostengono ‘ quante interpretazione del lacanismo, apertamente o segretamente pie, hanno cosi’ incontrato un edipo strutturale  per ( ..) ricondurci alla questione del padre'
 
 

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