Come rivista abbiamo deciso di proporre una serie di domande sul tema a diversi psicoanalisti di formazione lacaniana.
Intervistando un lacaniano non si può pretendere che non usi un linguaggio lacaniano ma si può pretendere, e noi lo abbiamo fatto, che, per spirito di chiarezza e per uscire da veri o presunti esoterismi, ogni temine sia spiegato in maniera chiara per consentire anche a chi non conosce il pensiero di Lacan di comprendere pienamente il senso delle risposte. Non si tratta di semplificare o fare della divulgazione si tratta di permettere la comprensione e l’eventuale apertura di un dibattito attorno a questo testo.
Sullo stesso tema si veda anche l'intervista a Roberto Pozzetti seguendo il link.
Sullo stesso tema si veda anche l'intervista ad Alex Pagliardini seguendo il link
Sullo stesso tema si veda anche l'intervista a Franco Lolli seguendo il link
FRANCESCO BOLLORINO: Su quali basi teoriche e su quali presupposti clinici si basa, storicamente e contenutisticamente, la proposta tecnica di Lacan di istituire un setting in cui il tempo diventi variabile anziché con una durata prefissata e classicamente compresa tra i 45 e i 60 minuti come è nella psicoanalisi freudiana classica?
ANNALISA PIERGALLINI: La seduta breve viene introdotta come modalità di fare un’interpretazione che non vada sul senso, ma sul non-senso. L’inconscio per Lacan è strutturato come un linguaggio, una giostra però che non ha praticamente nessun senso ultimo. Alcune persone sono immerse in questo, non hanno alcun bisogno di cogliere il buco del linguaggio. Ecco allora l’invenzione.
Ma per gli altri, poveri nevrotici, isterici o nevrotici ossessivi, si tratta di rinvenire il quesito rimosso su cui il soggetto si tiene in piedi. Si tratta un po’ di togliergli la sedia da sotto il cu…
Qualunque interpretazione vada sul senso non fa che essere divorata e poi sputata, come può accadere nell’isteria o fungere come tappo all’ossessivo. In questi casi, non riesco nemmeno a immaginare come si possa fare senza il taglio della seduta. Ci sono altri modi di interpretare, senza interpretare, ma è comunque un atto analitico.
Sì in effetti, mi rendo conto, c’è una frattura; l’incompletezza dell’Altro avvicina la psicoanalisi (lacaniana) al taoismo e la allontana dalle psicoterapie.
FRANCESCO BOLLORINO: Per tempo variabile si dovrebbe intendere un tempo che varia a seconda del momento analitico (per capirci da 1 minuto a molte ore per dire) ma nella vulgata e credo anche nella pratica questo si è trasformato, spesso, in sedute della durata molto breve e ancora si può paventare il rischio che tale durata breve, istituzionalizzata, diventi l’equivalente dei 45 minuti classici con il sospetto che alla fine significhi semplicemente poter ricevere più pazienti nell’unita di tempo. Che ne pensi?
ANNALISA PIERGALLINI: La seduta breve è un taglio della seduta, che solitamente ha un suo massimo di tempo in 45-50’, con le dovute eccezioni. Deve essere un taglio nel discorso dell’analizzante, che deve puntare comunque al non senso e non al senso, perché è là che è la rotta.
Nella nevrosi si tratta di scardinare le identificazioni e i significanti che il soggetto ha scelto e dimenticato, quindi bisogna mettersi come un sasso sotto la ruota della ripetizione, metodo socratico, interrogare, ma appena si trova qualcosa, si rilancia per un nuovo giro. Si butta via il sassolino prezioso, faticosamente trovato. Tanti giri quanti servono al soggetto per cogliere che linguaggio e godimento non sono divisi nemmeno nelle favole.
Questo a un analista che non abbia moltissimi pazienti aspiranti analisti capita per una percentuale piuttosto bassa. Il taglio della seduta, soprattutto quello chirurgico, ritagliato sul fantasma del soggetto, è, comunemente, applicabile solo con i nevrotici, ma solo con quei nevrotici che abbiano una soggettivazione del sintomo. E quanti sono?
Il problema della tentazione a usare la seduta breve a fini di arricchimento personale c’è. Ma il problema è quello della posizione etica da tenere in ogni seduta e, per una bella fetta, della propria vita, anche fuori, diciamo quasi tutta la torta.
La posizione etica è anche riuscire a cacciare una fanciulla in lacrime o un giovanotto un po’ incazzato dopo 20’’, quando vorresti solo sprofondare; perché il taglio, quello vero, a volte pesa ben più che tre sedute ordinarie.
E ognuno, che faccia eticamente questo lavoro, sa che egli stesso paga quasi tutto prima e dopo la seduta e non tanto durante.
FRANCESCO BOLLORINO: Connesso con la durata variabile vi è il concetto di “taglio sulla parola”. Puoi spiegare tecnicamente e teoricamente il significato clinico di tale comportamento dell’analista lacaniano?
ANNALISA PIERGALLINI: "Il desiderio del sogno, non si riduce alla lista delle pulsioni. (…) Interessanti invece sono le tappe dell'elaborazione del sogno.” (Lacan, Seminario II, 241-242). Ecco, per esempio, (e parlo di me) un punto da cui partire, per esempio, quando l’analizzante trova il senso di un suo sogno, che sbuca dal non senso di una farsa musicale sui marinai, per trasformarsi in una beffa del suo corteggiatore, cogliendone però solo anni dopo la veridicità della beffa. Ma allora, nei momenti magici in cui si svela un piccolo mistero, il taglio della seduta può essere un modo per sancire la scoperta del soggetto. In genere può aiutare a rendere cosciente un lampo nell’oscurità.
Teoricamente la giustificazione della seduta breve ci riporta a quella struttura del significante che è collegata a una costruzione rigida, prestabilita dei significanti, come nelle nevrosi. Ed è questa concatenazione che va stanata, ridotta all’osso. Concatenazione di un paio di significanti che reggono saldamente il soggetto. Lo reggono così saldamente che se si lanciano in mare loro, il soggetto li segue. Tutto per un paio di significanti, contornati da enormi quantità di sapere e di orpelli vari.
Come fare breccia in un discorso già dato, di cui però il soggetto sa solo qualcosa, se non tagliando, sfoltendo, interrogando, mettendo in dubbio, facendo vacillare?
E il taglio della seduta è una delle modalità tattiche con cui tagliare la parola e aprire il campo al non detto, all’al di là della parola. Questo nell’ambito di una strategia ipotizzata, su una politica invece inflessibile: quella della posizione etica dell’analista.
Il taglio della seduta è uno dei modi per tagliare la parola, senza però riempire di significato quel vuoto, quel vuoto che abita tra due significanti e che è il soggetto stesso.
FRANCESCO BOLLORINO: Mi sembra che vi sia una dicotomia tra dominio del tempo (proprio della tecnica lacaniana) e dominio del timing (proprio della tecnica freudiana classica) accomunati dalla necessità o dal tentativo da parte dell’analista di intervenire nel momento migliore per creare consapevolezza nel paziente. Che ne pensi?
ANNALISA PIERGALLINI: Per alcuni pazienti la seduta non è contenitiva se non si apre un varco di senso attraverso il muro del linguaggio, e, in alcuni casi, si fa tagliando la seduta là dove un lavoro è già stato fatto, il taglio breve e soprattutto brevissimo della seduta rimarcano, a volte, che il compito analitico è stato compiuto, che il soggetto è arrivato alla fine di un altro piccolo giro.
La scelta è la sua, se continuare, tornare o fermarsi.
Non ci vedo tantissimo una dicotomia col timing freudiano, ma un portarlo alle sue estreme conseguenze, e anche, un riattualizzarlo. La psicoanalisi esiste se esiste una sua lettura della contemporaneità, nella contemporaneità
FRANCESCO BOLLORINO: Nella tecnica tradizionale per certi versi tutto si conclude all’interno della seduta mentre con la tecnica lacaniana sembra che il working through sia volutamente ed espressamente portato “fuori della stanza di analisi” con un lavoro affidato al paziente e alla sua introspezione. Che ne pensi?
ANNALISA PIERGALLINI: Di solito no, il lavoro anzi è bene che sia il più possibile in seduta, così da alleggerire il lavorio dell’esistenza. Con moltissime persone non uso mai un taglio della seduta anticipato, a meno che lo chiedano loro. E anche il fatto che alcuni me lo chiedano è testimone che l’inconscio ha un tempo, che si piega solo a tratti all’orologio.
Ma torniamo al caso un po’ più generale, su cui ho parlato spesso fino ad ora, ossia le nevrosi. Sì in questo caso non ha importanza quando avviene il collegamento, ma importa quando, riportato, va illuminato, come facendo un taglio; uno dei modi è la seduta brevissima allorquando appunto il lavoro è stato svolto nel tempo trascorso tra una seduta e l’altra.
FRANCESCO BOLLORINO: Ritieni possibile esportare il tempo variabile dentro setting non lacaniani ovvero utilizzare il tempo variabile come uno strumento di miglioramento della qualità clinica dell’intervento psicoanalitico?
ANNALISA PIERGALLINI: Come dice Roberto Pozzetti, nella sua intervista: da più parti, ci sono segni di sdoganamento del tempo della seduta.
Perché non potrebbe essere utile il taglio della seduta al di fuori della cerchia dei lacaniani?
Purché ci si metta d’accordo una volta per tutte sul fatto che questo taglio, questo vuoto, questo buco di sapere, segna… tutti, anche noi. Quindi non ci resta che condurre la cura tra l’invenzione e lo smascheramento dell’impostura dell’inconscio.
Bello e ricco il contributo
Bello e ricco il contributo di Annalisa che, in parte in linea con quanto scrive Alex circa la concatenazione significante dsitinta dalla consapevolezza, puntualizza il tema del non-senso. Io ho inteso proprio questo: che un’analisi debba puntare proprio al non-senso relativo alla struttura stessa del linguaggio. A smarcare il linguaggio dalla frequente ricerca di senso e di significato. La seduta breve, in effetti, pone in risalto anche questo.
E questo viene testimoniato
E questo viene testimoniato dalla scrittura stessa di Lacan: come dice Antonio Di Ciaccia, i suoi sono testi incompleti, libri aperti, le letture sono come fette di cipolla, quasi infinite, anzi infinite