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L’odio in politica e i luoghi comuni

30 Lug 17

A cura di Sarantis Thanopulos


Nella crisi generale della cultura avanza un pensiero ad effetto che scambia le impressioni di superficie con il senso profondo dell’esperienza e lavora nel senso della conservazione dell’esistente.
Così un giorno si viene a sapere che il problema  del PD, in difficoltà secondo i sondaggi, è l’odio che la sinistra nutre  nei confronti di Matteo Renzi.
Questa idea, che non è un pensiero politico, né una tesi “scientifica”, anima le discussioni tra amici. Poiché lascia il tempo che trova, ha fatto venire la tentazione di una sua presentazione più “dotta”.
Si scopre allora che nel DNA della sinistra alberga un odio nei confronti dei militanti eterogenei ai suoi dogmi. Questo odio scatterebbe secondo il meccanismo della salivazione condizionata del cane di Pavlov. L’analisi,  pubblicata su un importante quotidiano nazionale, non è adeguata: i concetti  sui quali è fondata potrebbero con ugual successo spiegare l’odio delle nuore per le suocere.Tuttavia, l’argomento merita la nostra attenzione perché il tema dell’odio in politica è molto  importante per lasciarlo alle improvvisazioni linguistiche.
È avventato usare a cuor leggero la parola “odio”, carica di tensione e passibile di grande fraintendimento, per assegnare un difetto “congenito” a qualcuno. Il suo uso come argomento politico stimola un’emotività impulsiva che danneggia lo spazio del nostro comune sentire, pensare e vivere.
Con il termine “odio” designiamo due cose tra loro molto diverse. La prima è un sentimento che fa parte della passione d’amore ed e un esporsi non distruttivo al riconoscimento doloroso di ciò che sfugge al nostro possesso a causa della sua differenza e libertà. Fa parte dell’elaborazione del lutto e tiene in caldo la possibilità di amare in attesa di tempi migliori. La seconda è un sentimento dissociato dalla passione, frutto di un narcisismo negativo, oppositivo, che si chiude alla vita piuttosto che schiudersi ad essa: un rifiuto dell’altro come oggetto d’amore che rende il lutto impossibile e il desiderio sterile. Questo narcisismo tratta l’oggetto del desiderio in termini di bisogno: lo usa come strumento di semplice scarica delle tensioni o se ne sbarazza se individua in esso la loro origine. Esiste, infine, un agire senza emozioni, estremamente autodistruttivo e distruttivo che è un odio impersonale nei confronti della vita in se stessa. Esprime un’inerzia psichica che distrugge come uno tsunami ciò che trova nel suo passaggio.
L’odio in politica esiste, non ha di per sé nulla di riprovevole. Ha un’importante funzione nella costituzione del senso di responsabilità nei confronti del nemico, senza il quale la lotta politica degenererebbe in uno scontro all’arma bianca. È l’odio a informare i cittadini che è l’ostacolo, l’irriducibile differenza di altri modi di pensare e di essere che rende la convivenza nella Polis interessante,  libera e significativa.
La libertà dell’amico di costituirsi come nemico delle nostre intenzioni e l’altrettanto importante possibilità del nemico di diventare oggetto del nostro desiderio è minacciata dal trasformismo (opportunismo) e dal ridursi della lotta politica a una relazione stabilizzata e asfissiante tra oppressori e oppressi. Gli oppressori odiano (e facilmente uccidono) chi mette in seria discussione il loro potere, chiudendosi nel loro imbarbarimento, e gli oppressi possono rimanere incastrati nel loro odio legittimo e perdere le ragioni della passione che in loro resta viva.
Definire Renzi come oggetto di un odio chiuso in se stesso, per evitare di parlare della mancanza di idee che ci affligge, è avvilente.

 

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