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TURBOCAPITALISMO E COSMOMINCHIONERIA

7 Dic 17

A cura di chiclana

La prima impressione che ho provato quando i notiziari hanno passato qualche immagine dell’irruzione "pacata ma inquietante" alla riunione nella sede della Rete Como senza frontiere del 28 novembre è stata, insieme a un sentimento generico di oppressione, che si trattasse di quattro minchioni di dimensione cosmica, sulle cui gesta fosse inutile – forse addirittura controproducente – soffermarsi. Poi però sono andato a recuperare in questi giorni una sequenza un po’ più lunga sul web[i], e sono stati soprattutto i visi e le parole delle vittime a convincermi che no, non era il caso di non curarci di loro e passar oltre.
Negli anni precedenti la scuola di specializzazione avevo frequentato presso la Cinica psichiatrica di Genova una serie di seminari tenuti dallo psicoanalista Roberto Speziale-Bagliacca sul linguaggio del corpo. Gli incontri consistevano nel visionare in gruppo spezzoni di un film (per un certo periodo si trattò di Anna dei miracoli, poi de Le relazioni pericolose) eliminando l’audio per concentrarci sul linguaggio non-verbale, cioè sulle posture del corpo e le espressioni dei visi come veicoli di manifestazione e trasmissione delle emozioni. Così, ho provato a farlo con la scena dell’irruzione.
Da una parte i componenti della squadra. La coreografia volutamente e pateticamente marziale (che mi ha richiamato alla mente la stessa estetica dei balletti mascherati dei black-block durante i cortei del G8 di Genova), la rigidità a tipo di minaccia al tempo stesso esibita e trattenuta nella corazza muscolare e nella virilità delle posture (e subito mi è venuto da ripensare agli studi sulla personalità autoritaria di Wilhelm Reich[ii]), la seriosità compunta dei visi tutta compresa dell’importanza del momento e della solennità delle parole. Inutile evidenziare che la postura era quella dell'occupazione militare di uno spazio; e mi riferisco in particolare al personaggio immobile dietro al lettore. Corpi che trasmettevano un’intimidazione per la quale non era necessaria enunciazione.
Sentimenti contrastanti anche in chi guarda ora, da fuori e dopo, la scena: uno irrefrenabile di ridicolo, e uno di rabbia come di fronte a una insopportabile ingiustizia.
Dall’altra parte le vittime, costrette dagli intrusi a leggere e ascoltare a occhi basi il verbo del quale erano latori: la ragazza acqua e sapone; quel signore con il viso da brav’uomo; qualche “sciora” comasca piena di voglia di fare quel che si può, perché ce n'è bisogno. Persone che non conosco, ma che potrei benissimo conoscere, il tipo di persone cui mi pare di appartenere. Gente normale, normalmente riunita come dovrebbe essere normale riunirsi in un Paese normalmente democratico. Persone di varia età, comunque adulte, visibilmente umiliate nell’essere costrette a interrompere i propri ragionamenti e il proprio lavoro per sottostare come tanti scolaretti a una sorta di dettato, per il tempo che ai bellimbusti in divisa nera sarebbe piaciuto imporre loro. Sempre che non avessero deciso di fare di peggio. Non voglio certo esagerare dicendo che questa scena evocava in me il martirio di Matteotti, di Giovanni Amendola, Gobetti, Gramsci, i Rosselli e tanti altri; il fascismo delle bastonature o peggio degli assassini. Ma neppure minimizzare cogliendo soltanto l'aspetto caricaturale della somiglianza dei giovanotti di Como con i "fascisti su Marte" nella grottesca rappresentazione di Corrado Guzzanti.
No, era un altro il fascismo che la scena  evocava e che stava generando in me un senso profondo di tristezza e oppressione: era quello dell’umiliazione dell’altro attraverso l’infantilizzazione, ottenuta attraverso una violenza che non sta ancora nelle azioni, ma rimane minacciosamente sospesa nell’aria. Un’infantilizzazione che si concretizzava qui nell’intrappolamento di persone adulte per un quarto d’ora in un clima da scuola elementare autoritaria; e un tempo colpiva in modo più diretto il corpo attraverso la perdita del controllo sfinterico imposta con lo “scherzo” così avvilente dell’olio di ricino. A queste vittime, che credono nelle cose in cui crediamo e fanno quello che anche noi ci sforziamo di fare, va tutta la nostra simpatia e la nostra amicizia per il brutto quarto d’ora che sono stati costretti a passare dalla bravata di un pugno d’imbecilli. Ma proprio per loro ho creduto anche doveroso non far finta che niente sia accaduto.
Poi, finito l’esperimento, ho rivisto la scena con l’audio, per analizzare cosa avrà mai avuto da sostenere di tanto importante il proclama. Contrastava con l’atmosfera minacciosa e satura di aggressività  la voce quasi timida e tremolante del lettore, da far venir voglia di dirgli: “dai, te lo leggo io se proprio non riesci…”. E così, dopo la cosmica ed esilarante minchiata del “turbocapitalismo alienante” – e si capisce l’imbarazzo a leggerla – un brodo primordiale nel quale sguazzava, tra l’altro, una misteriosa differenza tra popoli e non-popoli generati dalla modernità.
Cosa vuol dire? E a chi l’onore della distinzione? Sono certo che, se lo domandassimo ai marziali ragazzotti, non saprebbero ché rispondere. Ma già, il fascismo prevede proclami , non dibattiti. E poi, a seguire, una retorica di un disarmante semplicismo su una questione complessa come quella del migrare, con la complessità dei suoi problemi e le sue quotidiane tragedie[iii]. Pare che la lezioncina sia durata, bontà loro, poco. Poi alla fine, prima di togliere il disturbo (perché di ciò si trattava), la benevola concessione: “Ora potete riprendere a rovinare la nostra Patria”. Grazie per il permesso, capirai. Davvero surreale!
E così, questo ragionamento sgangherato evoca in me la memoria di testi d’altri tempi; uno in particolare, perché me ne sono occupato di recente: il Manifesto degli scienziati razzisti, datato luglio 1938. E’ un insieme di asserzioni storicamente infondate e davvero poco rispettose del principio di non contraddizione che un maestro di scuola elementare di Predappio ha imposto d’autorità alla firma di una decina di sedicenti scienziati asserviti e/o impauriti – lo psichiatra Arturo Donaggio era tra loro in nome della SIP[iv] – e dopo un paio di mesi un re inetto ha trasfuso in una legge infame a vergogna perenne dello Stato italiano. La "patria", come dicono lorsignori. I due testi hanno in comune ancor più il lessico zoppicante e la disarmante confusione che non la cattiveria, la viltà e la ferocia del contenuto.
E fin qui, su questa scena patetica che non avremmo voluto mai vedere né commentare, e che vogliamo sperare davvero che non abbia a ripetersi in futuro.
Ma girellando sul web in cerca del video, mi è capitato di imbattermi anche in un’altra scena, se possibile più patetica ancora. Che è quella dell’on. Mussolini (Alessandra) mentre veniva intervistata sul fatto in una trasmissione della RAI. La quale si affannava a sostenere che no, violenza a Como non c’è stata, avete forse visto torcere un capello a qualcuno? Come se fosse stato tutto normale, insomma. E come se davvero l’onorevole non riuscisse a percepire che di violenza, in quella stanza, era satura l’aria e che quella stessa sensazione sgradevole di intimidazione e prevaricazione diffonde ancora adesso dal monitor, se si guarda anche soltanto il video a distanza di tempo e di luogo. Come se non esistessero atteggiamenti violenti, oltre che comportamenti violenti; i quali non fanno danni fisici, ma ne fanno morali. E' di questo atteggiamento omertoso, ammiccante, io credo, che ragazzi come quelli che abbiamo visto in scena a Como abbeverano una cultura fatta di prevaricazione, menefreghismo nei confronti dell’altro e xenofobia. E non dobbiamo farci ingannare dal cognome che porta l’onorevole; non sta certo lì il problema. Siamo abbastanza lontani dall’eugenetica per ritenere che si possa essere nipoti di Mussolini ed essere ottime persone, o magari avere anche idee del tutto opposte a lui. Il problema è di ordine purtroppo molto più grande e sta nel fatto che a ragionare in questo modo sia un europarlamentare appartenente a uno dei gruppi maggiori, il Partito Popolare Europeo, eletto nella lista di un partito che si considera “moderato”, Forza Italia. Un deputato che qualcuno ha voluto in quella lista, per il quale ha raccolto i consensi, che in molti devono avere votato.
E allora credo che dobbiamo riflettere sul fatto che la coltura da dove fatti come quello di Como – più vistoso ma certo non più grave di tanti altri cui abbiamo assistito di questi tempi – traggono nutrimento sia costituita, e temo proprio di non sbagliare, da quel circo variopinto che il passaggio dalla prima alla seconda repubblica ha generato di ex fascisti, postfascisti, semifascisti, agnostici sul fascismo. Quelli che “beh certo che dal ’38 in poi (o dal ’40 in poi, o dal ’43 in poi) ci sono stati degli errori, però prima…”, o che “certo sono morti tanti antifascisti ma anche sul fronte del fascismo tanti ragazzi sono morti eroicamente”. E poi quelli che furbescamente si schivano: “il fascismo non c’è più, inutile prendere posizione perciò… guardiamo avanti, non indietro”. O quelli per i quali: “rosso e nero, pari e patta”. Una corte ambigua di soggetti, insomma, che rischia di costituire tra le posture marziali dei bellimbusti di Como e il sorriso bonario dell’imprenditore di Arcore un filo grigio fatto di strizzate d’occhio, minimizzazioni e banalizzazioni alle quali rischiamo di assuefarci senza farci più caso.
 
 

[i] Vedi il video allegato dalla trasmissione "Agorà" della RAI. Segnalo che per sabato 9 è prevista a Como una manifestazione per ribadire le ragioni dell'antifascismo, della solidarietà, dell'accoglienza.  
[ii] Agli scritti dello psicoanalista austriaco mi sono recentemente rifatto in questa rubrica in occasione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre; cfr.: OTTOBRE 1917. SESSO E RIVOLUZIONE (clicca qui per il link).
[iii] Del problema delle migrazioni contemporanee ci si è occupati ripetutamente in questa rubrica: CORPI ECCEDENTI, CORPI VIOLATI. Le donne di Colonia e i (vecchi e nuovi) fantasmi d’Europa. Monologo sull’Europa, gennaio 2016 (clicca qui per il link); TERRA E CONFINI. UNA RECENSIONE, dicembre 2016 (clicca qui per il link); POLITICHE MIGRATORIE. Preoccupazioni dalla svolta estiva, agosto 2017 (clicca qui per il link); “NON SONO RAZZISTA MA". Luigi Manconi a Genova, ottobre 2017 (clicca  qui per il link). E per l’aspetto del problema in ambito penitenziario: IL DETENUTO STRANIERO, febbraio 2017 (clicca qui per il link).
[iv] All’episodio ci siamo riferiti in questa rubrica in due occasioni: DALLE MACERIE.  70 anni dal XXIII congresso SIP, ottobre 2016 (clicca qui per il link); LA MOSTRA DI ROMA E IL "MEA CULPA" DELLA PSICHIATRIA, marzo 2017  (clicca qui per il link).

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