Segue dalla parte I, “Ricorrenze ed eventi” (clicca qui per andare all’inizio).
Servizi – Ché dire dei nostri Servizi? Nel contesto di un’economia che in Italia stenta a ripartire il welfare – cioè quel minimo che un contesto capitalista può fare per attenuare la spinta alla disuguaglianza – continua a essere sacrificato, né sono sufficienti sporadiche mance a questa o quella categoria per risolvere i problemi. Occorrerebbe un piano organico contro la povertà, a partire da un reddito minimo che sia riconosciuto socialmente alla persona come diritto di esistere, occorrerebbero piani organici per rispondere alla giusta aspirazione dei migranti all’inclusione nella nostra vita, nel lavoro e nel reddito. E i nostri servizi sono sempre più spesso costretti a occuparsi, anziché delle disabilità che genera la psicopatologia, delle sofferenze che genera la miseria. Questo il contesto. Quanto a noi, il rapporto Salute mentale in Italia[i], sapientemente chiosato dalla SIEP guidata da Fabrizio Starace[ii] mette in luce una realtà disomogenea.
Ma, riflettendo sulla realtà che quotidianamente viviamo, mi pare che molteplici fattori concorrano a metterci in difficoltà, e tra gli altri propongo alla riflessione:
– incremento dei bisogni, legato al fatto che per sempre più persone la vita è difficile, all’indebolimento delle reti solidali naturali e anche a fenomeni specifici come la diffusione delle nuove droghe tra i giovani per la liquefazione della famiglia e della scuola e per la distruzione delle ideologie e dei valori perseguita da un liberismo che non è poi in grado di dare senso, dimensione comunitaria e responsabilità collettiva alla vita:
– indebolimento negli organici per poco responsabili scelte di risparmio (a risparmiare sui servizi destinati ai deboli, si suscitano meno proteste…), ma anche loro contrazione temporanea per ritardi incomprensibili ed evitabili nei meccanismi di avvicendamento;
– scelte organizzative discutibili e mai oggetto di verifica, come ad esempio:
1. la messa in discussione del carattere multiprofessionale dei CSM e la scelta di linee gerarchiche spesso confuse e sovrapposte, contrarie al principio aziendale di efficienza dell’organizzazione che dovrebbe puntare a dare risposte integrate a nuclei definiti, non eccessivamente grandi, di popolazione
2. la costituzione di dipartimenti giganti che accrescono la centralizzazione, e quindi la distanza tra luoghi delle decisioni e dell’operatività e tra istituzione e territorio
3. lo sbilanciamento, nell’aggiornamento dei professionisti, a vantaggio dei temi legati all’organizzazione e alla sanità difensiva rispetto a quelli legati alla clinica e alle pratiche specifiche di salute mentale
4. il perdurante scarto tra i diritti enunciati e quelli concretamente esigibili nelle situazioni reali, che mette in una condizione di perenne sensazione di difetto i professionisti e genera inevitabilmente iniquità per la quale i livelli di risposta possono essere determinati più dalla capacità di “lamentazione”, sotto varie forme, e da ciò che è dato per acquisito che dal reale bisogno
Quanto agli OPG, sono chiusi e la gestione della loro popolazione da parte dei DSM si è rivelata certo a volte complessa, ma non impossibile come si temeva. Piuttosto, preoccupa il fatto che permane a volte molto difficile il rapporto tra servizi e Magistrati, e non mi pare si possano registrare ancora a questo riguardo significativi passi avanti[iii]. Il buon andamento delle cose dipende ancora troppo spesso dalla buona volontà di collaborare nell’interesse del paziente degli uni e degli altri, dalla fortuna cioè di incappare in un buon giudice e in un buon servizio.
Ex libris – Per ciò che riguarda i libri pubblicati in questo 2017 sono molte le segnalazioni alle quali terrei. Comincerò però con l’argomento centrale in questo nostro tempo: la questione migratoria, e quella coloniale dalla quale deriva e con la quale ha inquietanti elementi di somiglianza. E con un testo alla cui realizzazione ho avuto il piacere di essere invitato a prender parte, Noi e altri. Identità e differenze al confine tra scienze diverse curato dal genetista Emilio Di Maria e pubblicato a Genova da De Ferrari per la Genova University Press. Il volume raccoglie scritti di antropologi, storici, giuristi, psicologi, genetisti, neurologi, psichiatri e testimonianze. Tra gli autori ricordo Guido Barbujani Stefano F. Cappa, Valentina Codeluppi, Gaddo Flego, Antonio Guerci, Jean Paul Habima, Tahr Lamri, Elvira Mujcic, Lelia Pisani, Paolo F. Peloso, Francesco Remotti, Ilario Rossi. E’ accompagnato da due DVD dai quali è possibile ascoltare, oltre a molti degli interventi precedenti, testi di Emilio Di Maria, Silvio Ferrari, Antonio Gibelli, Moni Ovadia e letture di testimonianze di sopravvissuti al genocidio del Ruanda[iv] o di cosa significhi attraversare una frontiera essendo un uomo di colore da parte di Jonas Hassen Khemiri, lette da Carla Peirolero. L’importanza e la ricchezza del volume è tale da non consentirmi di entrare in questa occasione più nel merito; lo farò in una prossima occasione su Pol. it. Rimaniamo sui temi dell’alterità e differenza, in chiave etnopsichiatrica, con il terzo numero di quest’anno della Rivista Sperimentale di Freniatria, Dislocazioni, con testi di Branca, Tarricone, Zorzetto, Tavano, G.D ed S. Inglese, Cardamone, Turrini, Barbui, Nosé, Mazzetti, Vistoli, Bertacchini, Paolella. Nello stesso fascicolo ho pubblicato una recensione del volume collettaneo curato da Francesco Paolella La psichiatra nelle colonie. Una storia del Novecento (Franco Angeli), che riprendo qui nei passaggi principali[v]. Si tratta del secondo volume pubblicato dal Centro di storia della psichiatria di Reggio Emilia dopo quello dedicato l’anno precedente alla storia degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari[vi], e contiene le relazioni esposte in occasione del convegno “La psichiatria e le altre culture: una prospettiva storica” tenutosi nel settembre 2015[vii]. Nel primo dei saggi che lo compongono, Disagio psichico e dimensione culturale, il curatore sottolinea l’attualità del tema in relazione ai movimenti migratori di questi anni, ma anche ai molteplici interrogativi ancora aperti nel campo dell’etnopsichiatria sull’intreccio tra storia coloniale, razzismo e psichiatria negli ultimi due secoli. Propone quindi una sintesi storica efficace dalle prime osservazioni da Moreau de Tours, a Kraepelin, alla Scuola di Algeri, a Carothers e ai primi timidi segnali di un interesse per il tema anche tra gli psichiatri italiani. Fino all’affermarsi, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, di un taglio critico negli scritti di Fanon e Devereux. Il secondo saggio, Transcultural psychiatry, decolonization and nationalism: comparisons between Nigeria and India è dello storico Matthew M. Heaton, professore a Blacksburg negli USA, e ha per oggetto affinità e differenze nello sviluppo della psichiatria nel ventennio della decolonizzazione, tra gli anni ‘50 e ’70, in due delle più popolose colonie britanniche, Nigeria e India. Ancora alla situazione indiana è dedicato il saggio seguente, Beyond East and West. From the History of Colonial Medicine to a Social History of Medicine(s) in South Asia, dello storico della medicina coloniale Waltraud Ernst, docente presso la Oxford Brookes University in Gran Bretagna. Esso ha per oggetto l’approccio degli storici al tema e la sua evoluzione negli ultimi decenni. Oggi non si tratta per Ernst di dimenticare il carattere di sfruttamento, violenza e razzismo che caratterizzò la colonizzazione dell’India, ma di coglierne il parallelo con lo sfruttamento e la repressione delle masse popolari che ebbe luogo negli stessi anni in Gran Bretagna. La medicina coloniale, a sua volta, è solo una parte di tutto ciò che, di sanitario, avveniva in colonia; una “medicina indigena” diversa regione da regione e variamente ibridata con quella del colono, non ha mai cessato di curare. Marianna Scarfone, ricercatrice presso l’Università di Strasburgo, individua nella psichiatria coloniale italiana tre principali filoni: uno caratterizzato da genuina curiosità per l’altro, l’esotico, ed è il caso dell’approccio etnografico e comparativo dello psichiatra padovano Benedetto Giovanni Selvatico Estense; uno più influenzato dal pregiudizio eurocentrico di superiorità e dall’approccio bio-antropologico di derivazione lombrosiana che ritroviamo in Guido Ruata; uno più attento alla psicologia del colono che ha il principale esponente in Marco Levi Bianchini con i suoi studi giovanili sul Congo belga, la cui assonanza con alcune osservazioni di Fanon cinquant’anni dopo ho avuto modo di evidenziare altrove. Subito dopo la guerra di Libia, Luigi Scabia e Placido Consiglio posero l’esigenza di un manicomio a Tripoli che ponesse fine alla situazione che vedeva gli indigeni inviati al manicomio di Palermo e insieme garantisse cure adeguate a militari e coloni italiani. Ciò fu possibile solo negli ani ’30, quando il fascismo rilanciò la questione coloniale, operava a Tripoli Angelo Bravi, il primo vero etnopsichiatra italiano con il volume Frammenti di psichiatria coloniale pubblicato nel 1937, ben inserito in una rete di contatti internazionali attraverso legami con la scuola di Algeri. Con Bravi si apre un primo reparto psichiatrico in ospedale, si sviluppano un piccolo ospedale psichiatrico per indigeni attivo per cinque anni nei pressi di Tripoli e un dispensario “per razze miste”. Nel corno d’Africa, intanto, divenivano più frequenti osservazioni tra le quali colpisce per originalità e, forse, buon senso l’ipotesi di Alberto Mochi di riprendere, per l’Eritrea, il modello di Geel, con qualche assonanza con quella che sarebbe stata anni dopo l’esperienza di Lambo in Nigeria. A partire dai primi anni ’30, poi, avviene che reparti psichiatrici siano previsti nei principali ospedali civili. Scarfone ricorda infine, cogliendone i limiti culturali e scientifici rispetto a quella di Bravi, l’esperienza di un altro psichiatra italiano, Mario Felici, direttore di ospedale psichiatrico in Libia dal 1947 al 1967. Chiude il volume la riproduzione di un saggio di Eustachio Zara dedicato a un individuo “di razza negra” affetto da paralisi progressiva, originariamente pubblicato nel 1935 sulla rivista L’ospedale psichiatrico, introdotta da Luigi Benevelli che ricostruisce il dibattito sulla paralisi progressiva nella medicina coloniale di quegli anni e le sue implicazioni razziste.
Rimaniamo nell’ambito dell’incontro tra popoli diversi con la pubblicazione a cura di Gabriele Proglio di La rivoluzione algerina e la liberazione dell’Africa (ombre corte) che raccoglie una serie di scritti finora inediti in italiano di Frantz Fanon. I testi, originariamente pubblicati anonimi sulla rivista del FLN, El moudjahid, investono temi estremamente attuali, dalla lotta anticoloniale e il suo significato tanto per il nord che per il sud del mondo, al significato ambivalente che al suo interno può giocare la religione islamica. Ancora allo stesso ambito di questioni, nei loro risvolti di questi ultimi tempi, è attento L’abisso, piccolo mosaico del disumano di Flore Murad-Yovanovitch (Stampa alternativa) che è il terzo di tre opuscoli dedicati da questa operatrice umanitaria a una lucida ricostruzione dei fatti tragici nei quali uomini, donne, bambini migranti sono condannati a morire in quell’abisso che separa l’Africa dall’Europa, il Mediterraneo, o alla carcerazione e alla tortura nei campi della Libia che hanno suscitato lo sdegno dell’ UNHCR e delle ONG e dei giornalisti che vi si sono avventurati[viii]. Ma anche in un altro abisso, che è quello della nostra coscienza. E’ un testo, credo, che ciascuno di noi “bianchi” dovrebbe leggere, per aver chiare le cose delle quali si rende complice nel fingere di non sapere o nel non combatterle con sufficiente determinazione e sul modo in cui la storia ci giudicherà. Ricordo ancora, su temi analoghi, Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione di Donatella Di Cesare (Bollati Boringhieri) nel quale si discute tra l’altro, sotto il profilo filosofico, di uno jus migrandi che, in nome del principio di ospitalità, afferma il diritto di soggiornare sulla terra, su ogni parte della terra, per ogni uomo e ogni donna. E’ un tema fondamentale, tanto più irrinunciabile in questo momento di cocente delusione nel quale siamo stati costretti a constatare l’incapacità di una legislatura nella quale la sinistra è stata incessantemente forza principale di governo a sottrarre, e sarebbe stato almeno un primo passo, un concetto già di per sé desueto e discutibile come la cittadinanza al vincolo arcaico del diritto del sangue (in realtà delle ovaia e lo sperma, semmai). Cioè al concetto di stirpe che tanto era caro all’antropologia fascista. E’ stato un’occasione irresponsabilmente, che non sappiamo se e quando ritornerà! Ancora su temi in qualche misura collegati, segnalo il volume collettaneo Esclusi. La globalizzazione neoliberista del colonialismo di insediamento curato da Enrico Bartolomei, Diana Carminati e Alfredo Tradardi (Deriveapprodi); o Il governo dei poveri all’inizio dell’età moderna. Riforma delle istituzioni assistenziali e dibattiti sulla povertà nell’Europa del Cinquecento di Lorenzo Coccoli (Jouvence); o ancora Populismo digitale. La crisi, la rete e la nuova destra di Alessandro Dal Lago (Cortina). E a proposito di recrudescenza della nuova destra[ix], segnalo anche l’attualità di un testo di carattere più locale, Una Spoon river partigiana (Il canneto editore), con il quale Giordano Bruschi e Giuseppe Morabito propongono le vicende di 51 antifascisti sepolti nel cimitero genovese di Staglieno, il più noto dei quali Ferruccio Parri.
Dall’oppressione dei dannati della terra di ieri e di oggi a quella della quale sono oggetto le donne, e cito volentieri per primo un volume del quale ci siamo già occupati su questa rivista, Lasciatele vivere. Voci sulla violenza contro le donne (Pendragon), curato da Valeria Babini e recensito in occasione dell’8 marzo[x]. Proseguendo con storie di violenza che hanno donne come vittime, ricorderò che recensendo quest’anno per la Rivista Sperimentale di Freniatria il bel volume di Pier Maria Furlan Sbatti il matto in prima pagina (Donzelli, 2016), mi era capitato di imbattermi nel caso di una donna che era arsa viva all’OPG di Pozzuoli. Questo fatto di cronaca aveva spinto già nel 1975 Luigi Pintor a chiedere la chiusura degli OPG. Ora quella donna ha un nome e una storia grazie a Dario Stefano dell’Aquila e Antonio Esposito, autori del volume Storia di Antonia. Viaggio al termine di un manicomio (Sensibili alle foglie). Un’altra storia per alcuni aspetti simile di violenza e noncuranza istituzionale è quella di Concetta, la donna che si è data recentemente fuoco per la disperazione in una sede dell’INPS a Torino, alla quale Gad Lerner dedica il volume Concetta. Una vita operaia (Feltrinelli).
Dopo la questione postcoloniale e quella femminile, quelle più strettamente legate alla salute mentale e ai diritti. Un altro testo pubblicato a Genova quest’anno al quale ho preso parte è la seconda edizione del volume Cento… ottanta. Psichiatria tra storia e memoria di un ottuagenario (1956-2015) che ha ora acquisito un secondo sottotitolo: Arricchimento con contributi originali di psichiatri protagonisti (Boves, ArabaFenice). Esso propone i ricordi di Andrea Arata, primario psichiatra prima presso i manicomi genovesi, poi presso l’SPDC dell’Ospedale Galliera e responsabile di una delle strutture del superamento degli OP, e insieme ad esso testimonianze di Bollorino, Conforto, Ferrannini, Maura, Orsini, Pisseri, Vaggi sulla realtà della psichiatria ligure dagli anni ’70 ad oggi. Tra tanti protagonisti e testimoni, l’autore principale a me ha chiesto di fare la parte dello storico occupandomi della legge 36, la legge Giolitti cioè, della cui promulgazione non sono evidentemente stato testimone, né tanto meno protagonista. La proposta mi ha permesso però di affrontare un argomento poco studiato, cercando di inquadrare la legge nel momento storico nel quale è stata approvata e soprattutto di collocarla al centro di 140 anni circa che vanno dal 1838, anno di approvazione della legge psichiatrica francese e del Motuproprio del Granducato di Toscana, e il 1978, anno di approvazione della legge 180. Ciò mi ha dato l’opportunità di sfatare alcuni luoghi comuni come quello che per la legge 36 tutti i matti siano pericolosi, o che la legge avesse peggiorato le cose rispetto alla realtà preesistente, che invece era il caos dove regna sempre l’abuso. Ma questo non significa che la legge non avesse difetti. Li aveva, pur giudicandola con gli occhi di allora, perché risentiva del clima securitario che caratterizzava l’Europa degli ultimi decenni dell’800 e rappresentava un netto passo indietro dalla cura alla custodia rispetto ai due citati provvedimenti del 1838: “prima di tutto custodire”, insomma. Ma non mi dilungo oltre sul volume, al quale Pasquale Pisseri ha già dedicato una recensione su Pol. it[xi].
Vorrei poi ancora ricordare per parte mia il volume Il vetro, il libro, la spada. Stramberia e delirio in due personaggi di Miguel de Cervantes, pubblicato sulla Collana di Studi e Ricerche dell’Accademia Ligure di Scienze e Lettere, dove ho ripreso alcune note pubblicate su Pol. it a proposito della prima parte del Chisciotte[xii] e del Licenciado Vidriera[xiii] approfondendole ed estendendole in molteplici direzioni, in particolare al campo della critica psichiatrica all’opera di Cervantes e al contributo della psicologia e psicopatologia (James, Bergson, Binswanger, Freud ecc.), nonché di altri lettori illustri (Turgenev, Dostoëvskij, Pirandello, Borges, Foucault ecc.), alla sua comprensione. Mi ha fatto molto piacere poter contare su una documentata postfazione di Pier Luigi Crovetto, docente di letteratura spagnola all’Università di Genova ed esperto del tema.
Alla storica Anncarla Valeriano – già autrice nel 2014 per Donzelli di Ammalò di testa. Storie dal manicomio di Teramo (1880-1831) – dobbiamo il volume Malacarne. Donne e manicomio nell'Italia fascista (Donzelli), dedicato alla ricostruzione della relazione tra donna e internamento manicomiale e la sua eoluzione negli anni del regime. Vi ritorneremo per dirne di più nel corso dell'anno. Eugenio Borgna è ritornato a occuparsi della relazione di cura con L'ascolto gentile. Racconti clinici (Einaudi). Raccontando l'incontro di cura con alcune donne depresse o schizofreniche, Borgna insiste ripetutamente su questi due degli elementi per lui imprescindibili della relazione d'aiuto all'altro sofferente: la disponibilità a un ascolto, talvolta anche silenzioso; e la gentilezza, la delicatezza, la discrezione nel nostro modo di essere presenti. Un tema sul quale si ferma in particolare è quello del suicidio del paziente, che rappresenta per esperienza purtroppo comune a noi tutti uno dei momenti più drammatici nell'esperienza dello psichiatra, e dell'operatore "psi", quello nel quale entriamo più in contatto con il nostro limite, e talvolta anche la possibilità di commettere errori. Quanto alla collana 180 delle edizioni AlphaBeta Verlag di Merano, diretta da Peppe Dell’Acqua, prosegue il lavoro di documentazione e denuncia nel campo della salute mentale,che vede nel 2017 aggiungersi ai tanti importanti dei quali ci siamo occupati in alcuni casi negli anni scorsi[xiv], tre nuovi titoli: La trappola del fuorigioco, romanzo di Carlo Miccio dedicato alle difficoltà di un ragazzo nel comprendere e supportare il padre nella sua esperienza di malattia mentale; Guida alla salute mentale. Per la conoscenza delle cure e dei servizi, di Renato Piccione e Gianluigi di Cesare; Liberarsi della necessità degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, curato da Pietro Pellegrini e dedicato a Mario Tommasini, che ricostruisce il percorso di chiusura degli OPG del quale Tommasini è stato, se così poso dire, un profeta e Pellegrini è un protagonista nella sua città, Parma. E poi ancora, più spostato verso l'area degli interessi criminologici e penienziari, segnalo la pubblicazione in italiano da parte di Adelphi de L'isola di Sachalin, un'inchiesta sulla condizione dei deportati realizzata nel 1890 da Anton Cechov, qui in un'insolito ruolo di giornalista d'inchiesta. Chiudo con un sorriso per La sinistra e altre parole strane di Michele Serra (Feltrinelli) perché, se certo di molte (troppe) cose in questi anni la sinistra si è dimostrata incapace, una cosa nella quale è stata almeno molto brava è stata sorridere scuotendo la testa di se stessa.
Tanti libri che ci hanno tenuto compagnia per quest’anno che oggi finisce, e ce ne terranno ancora in quello che domani avrà inizio. Che, in ogni caso, spero sarà per tutti, e soprattutto per chi oggi soffre, più sereno e ragionevole di come si annuncia; per parte nostra, apriremo saldando qualche debito con il 2017, con un ricordo di coloro che nel ci sono mancati e qualche pensiero dedicato alla salute mentale sul posto di lavoro, cui è stata dedicata l’ultima giornale mondiale della salute mentale, e speriamo di poter proseguire occupandoci, ogni tanto, anche di qualche evento positivo.
In allegato il video della canzone Non me ne frega niente della trentenne cantautrice siciliana “Levante" (febbraio 2017). Non è propriamente il mio genere di musica, ma lo trovo interessante perché mi pare rifletta – senza voler eccedere nella ricerca del significato – il fatto che un ambiente sanitario (forse psichiatrico?) sia percepito, ovviamente nella trasfigurazione artistica, come metafora di una società opprimente dalla ragazza, che si dibatte tra aspirazioni ancora un po’ infantili di pace destinate alla frustrazione nella sfera pubblica e le contraddizioni della sfera privata; in una situazione in cui, caduti ideali e ideologie, rischia rimanerci solo un senso di insoddisfazione e rivolta che spesso non riuscire a tradursi in istanze e speranze collettive.
[i] V.D. Tozzi, G. Pacileo, Salute mentale in Italia. Sfide e prospettive manageriali nella sanità che cambia, Milano, Egea, 2017.
[ii] F. Starace, F. Baccari, F. Mungai (a cura di), La salute mentale in Italia. Analisi delle strutture e delle attività dei Dipartimenti di Salute Mentale, Quaderni di epidemiologia Psichiatrica, n. 1, 2017, scaricabile gratuitamente dal sito.
[iii] Sulla questione rimando in questa rubrica a: Nell’area grigia tra medicina e giustizia sta la persona. Pensieri sulla questione OPG, di ritorno da Pontignano (clicca qui per il link).
[iii] Sulla questione rimando in questa rubrica a: Nell’area grigia tra medicina e giustizia sta la persona. Pensieri sulla questione OPG, di ritorno da Pontignano (clicca qui per il link).
[iv] Sul genocidio ruandese cfr. su questa rivista la recensione alla testimonianza di Gaddo Flego, Un milione di vite, Terre di mezzo, 2015 (clicca qui per il link alla recensione).
[v] Per la versione completa della recensione cfr. Rivista Sperimentale di Freniatria, CXLI, 3, pp. 133-138.
[vi] Il policlinico della delinquenza. Storia dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario in Italia (a cura di G. Grassi, C. Bombardieri), Milano, Franco Angeli, 2016.
[vii] Sulla giornata cfr. su questa rivista il commento a caldo di Luigi Benevelli: L’EUROPA CONTEMPORANEA E’ UNO SPAZIO POSTCOLONIALE (clicca qui per il link).
[viii] Cfr. in questa rubrica: POLITICHE MIGRATORIE.. PREOCCUPAZIONI DALLA SVOLTA ESTIVA (clicca qui per il link).
[x] Cfr. la recensione su questa rivista: P.F. Peloso, Lasciatele vivere. Una recensione per l’8 marzo (clicca qui per il link).
[xi] Cfr. su questa rivista: P. Pisseri, RECENSIONE SAGGIO “CENTO…OTTANTA” (clicca qui per il link).
[xii] Omaggio a Miguel de Cervantes nel IV centenario della morte. Parte I: Impressioni storico-psichiatriche e antropofenomenologiche dalla I parte del Chisciotte (clicca qui per il link).
[xiii] Omaggio a Miguel de Cervantes nel IV centenario della morte. Parte II: Storia di un uomo che si credeva di vetro (clicca qui per il link).
[xiv] Ricordo i volumi … e tu slegalo subito di Giovanna Del Giudice e Il nodo della contenzione curato da Stefano Rosso, del quale ci siamo occupati nel bilancio del 2016 (clicca qui per il link)., nonché L’istituzione inventata di Franco Rotelli (clicca qui per il link alla recensione).
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