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Gli psichiatri e la legislazione razzista del 1938

1 Gen 18

A cura di Luigi Benevelli

Nell’’anno 2018 che si apre ricorrono 80 anni dall’adozione nel Regno d’Italia di una legislazione razzista che discriminava le persone ritenute non appartenenti alla “razza italiana”, in particolare, ma non solo, gli ebrei. Come noto, a firmare il “Manifesto della razza” [1] ci fu  anche Arturo Donaggio, direttore della Clinica Neuropsichiatrica dell'Università di Bologna e presidente della Società Italiana di Psichiatria, a documento del rilevante contributo della scienza psichiatrica al razzismo e alla elaborazione dell’esistenza della “malattia ebraica”.
Di quest’ultimo ’argomento si è occupato, fra gli altri, il prof. Thomas Beddies[2]:
La discussione su malattie riscontrabili, in modo presunto o reale , tra gli ebrei, in seguito denominate pure come “malattie degli ebrei”, risale al XVIII secolo. Il concetto di “fragilità nervosa ebraica”[3] […] deve essere visto sullo sfondo di una perdurante discussione su una specifica vulnerabilità degli ebrei rispetto a determinate malattie. Contributi a questa tesi furono forniti in gran parte sia da parte ebraica che non ebraica. […]
La regola fu che la predisposizione degli ebrei per determinate malattie venisse presa come dato di fatto. […] Nella fattispecie si disse che l’osservanza delle leggi loro proprie produceva una separazione degli ebrei dai loro concittadini, per effetto della quale erano inclini a “depressione e malinconia”. […] Una volta dati per noti il destino e le condizioni di vita degli ebrei, si iniziò a ritenere ovvia la causa “donde derivi la coloritura giallo scura e la straordinaria sensibilità della loro struttura nervosa” e la ragione per cui si troverebbero tra gli ebrei molti casi di “ipocondria nervosa”, nonché di “instabilità delle facoltà psichiche”. In questo contesto è ricorrente il riferimento alle condizioni abitative del tutto insopportabili nei ghetti delle grandi città, nonché delle condizioni lavorative restrittive degli ebrei tali da escludere ogni sviluppo positivo.
A questo va aggiunto che negli anni attorno al 1900 si erano diffusi in Europa grande allarme e “nervosismo” per quanto avrebbe potuto accadere nel XX secolo che si apriva. Gli ebrei, visti come i protagonisti della modernità, risultavano per questo particolarmente affetti da “fragilità nervosa” e da malattie quali nevrastenia, isteria, fino alla “femminilizzazione”  della loro  “razza”, schizofrenia, quest’ultima trasmissibile per via ereditaria grazie anche alla frequenza dei matrimoni fra consanguinei.
Il tipo nervoso ebreo diventerà – accanto ad altri caratteri elaborati attraverso l’antropologia, quali il presunto cranio tipicamente ebreo, il naso ebreo e una costituzione fisica femminea- un tratto costituzionale di una presunta razza ebraica. […]
Secondo le statistiche dell’epoca […] gli ebrei pagarono cara la propria ascesa sociale, sostenuta dalla preparazione culturale e dal successo economico con conseguenti disturbi di natura prettamente nervosa: la contrazione del numero delle nascite, la riduzione del numero dei matrimoni e, di contro, quelli frequenti in età avanzata, l’aumento dell’alcoolismo, la crescita delle malattie veneree, l’intensificarsi delle cosiddette malattie della civilizzazione, quali l’arteriosclerosi e il diabete, e il numero crescente dei suicidi furono ritenuti tutti elementi caratteristici, connessi con i fattori di rischio per la salute che comporta l’assimilazione. […]
Se la constatazione di una “fragilità nervosa ebraica” rappresentò quindi, dal punto di vista degli ebrei, soprattutto un ammonimento contro gli effetti dell’assimilazione,  le medesime argomentazioni poterono essere utilizzate, dal punto di vista antisemita, quali prove di una degenerazione della “razza”” ebraica. Con ciò è rilevante il fatto che, da entrambe le parti, fu preso in considerazione meno l’aspetto di un trattamento psichiatrico/psicologico individuale, quanto in misura assai maggiore quello della lotta al presunto male con “aggressioni al corpo” collettivo. […]In tal modo alcuni sionisti avrebbero stigmatizzato gli “ebrei dell’Est” dal punto di vista fisico come più deboli di costituzione, e dal punto di vista caratteriale come privi di forza di volontà e codardi. L’obiettivo sarebbe stato quello di dimostrare che una guarigione dal morbus judaicus sarebbe stata possibile solo al di fuori della diaspora, in una terra propria. […]
Fondamentale in questa visione delle cose fu l’autorevolezza crescente a partire dalla seconda età del XIX secolo, delle spiegazioni delle malattie psichiche basate su modelli biologici.
La “razza ebraica o semita” aveva le sue basi su dati biologici e antropologici e sull’opera di uno “spirito ebraico” trasmesso e appreso con la mentalità religiosa.
I tratti razziali così identificati vennero assunti come immutabili. Anche la medicina e l’antropologia cercarono di illustrare la diversità delle razze sulla base di caratteristiche fisiche. Nella psichiatria Emil Kraepelin attorno al 1900 aveva fatto del paradigma ereditario il modello interpretativo dominante nelle teorie relative all’eziologia delle malattie. Egli non considerò le circostanze sociali o culturali […] come fattori essenziali all’insorgenza di differenti malattie, ma unicamente peculiarità di tipo razziale.

Luigi Benevelli ( a cura di)

Mantova, 1 gennaio 2018



[1] Sul numero 1 del 5 agosto 1938 della rivista “La difesa della razza” diretta da Telesio Interlandi comparve la seguente nota:
Il ministro segretario del partito ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista.
1. Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
2. Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
3. Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
4. La popolazione dell’Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L’origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell’Europa.
5. È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l’Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d’Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio.
6. Esiste ormai una pura “razza italiana”. Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
7. È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l’Italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
8. È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall’altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
Il Manifesto della  razza  fu preludio del successivo provvedimento legislativo Regio Decreto Legge n. 1728, 17 novembre 1938 Provvedimenti per la difesa della razza italiana.
[2] Thomas Beddies, L’uccisione di esseri umani malati e disabili ai tempi del nazionalsocialismo, in Atti del convegno di studio Verso un nuovo ordine razziale e la violenza contro i malati di mente, Mantova ebraica, Mantova, 2005, pp. 13-29. Thomas Beddies è docente di storia della medicina presso la facoltà di Medicina dell’Università Humboldt di Berlino.
 
[3] Jüdische nervosität

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