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Contro il sacrificio Lectio Magistralis di Massimo Recalcati

6 Gen 18

Di maimonide@iol.it
Collegio Ghislieri di Pavia 18 dicembre 2017
 Appunti e annotazioni
 
L’ATTESA
Aula goldoniana del Ghislieri: in attesa dell’arrivo di Recalcati sto piacevolmente dialogando con una mia ex docente[1] e corsista di “Incontri sulla psicanalisi” e con suo marito,  entrambi seduti proprio dietro di me; ella mi sta riferendo come la loro presenza sia anche “merito mio”, per la curiosità suscitata in lei durante i corsi, nei quali  io cercavo di trasmettere, non solo concetti psicanalitici, ma anche l’interesse e il desiderio per la psicanalisi, anche invitandoli alla lettura di  testi che io consigliavo per una loro maggiore  fruibilità e una presumibile maggiore presa sul lettore e  tra essi, un’ampia scelta di quelli scritti dal relatore della serata[2].
Mentre parliamo, lo scorgiamo sfilarci accanto, lungo il corridoio sinistro, con una andatura svelta e, all’apparenza scevra del benchè minimo autocompiacimento per l’aula riempita in ogni ordine di posto; nel successivo accomodarsi al tavolo, inquadra la platea con uno sguardo rispettoso, dai quali non vedo trapelare rispecchiamenti narcisistici per l’atmosfera carica di attesa e interesse, ma, scusandosi per l’impercettibile ritardo, passa molto rapidamente  e con un sobrio incipit, alla Lectio Magistralis “Contro il Sacrificio”. 
 
L’Attenzione
Da parte dell’uditorio, una silenziosa attenzione subentra ad una mormorante attesa: capisco che tanti sono già soddisfatti della sola presenza del relatore, dica quel che dirà, mentre i più sono mossi da interesse e curiosità  per quanto verrà detto.  
La mia presenza è quasi casuale,  in quanto,  all’oscuro del convegno fino alla mattina, ero stato avvertito dall’amico Bollorino; non sapevo nemmeno del libro, che compero, appena entrato, con la riserva mentale che non lo leggerò prima di avere scritto questo articolo e che riferirò quindi, solo sulla base degli appunti che mi accingo a prendere.
 
Il pregiudizio e la smentita
L’intervento dell’Autore si rivela molto spiazzante per me, che presumevo attingesse, per la relazione, da alcuni passaggi di “Desiderio Godimento e Soggettivazione” , di seguito riportati:
  1. a pagina XVI dell’introduzione,

    • Gli psicoanalisti appaiono irrigiditi nella postura che la loro pratica gli assegna: quella del morto. Non sanno più sorridere e non sanno più emozionare (sanno ancora desiderare? Sanno ancora godere della vita?). Sono per lo più asserviti allo spirito di serietà e di rassegnazione. In questo ereditano la tristezza sacrificale dei peggiori "preti". Lo constatava con la consueta sferzante ironia Gilles Deleuze:
 
“Gli psicoanalisti ci insegnano la rassegnazione senza limiti, sono gli ultimi preti (no, ne spunteranno ancora di altri preti). Non si può dire che essi siano molto allegri, guardate lo sguardo spento che hanno, la loro nuca irrigidita”.
 
Nuche rigidamente volte al passato e sguardo spento che non riescono a guardare il futuro
Mi aspettavo quindi anche una dissertazione sulla visione/versione sacrificale della professione di tanti psicanalisti, che spesso senza consapevolezza, ma con colpevolezza, sono intrappolati in una “tristezza” quasi compiaciuta, suppongo anche alimentata inconsciamente, dal convincimento che un volto atteggiato all’immolazione di sé, assuma maggiore autorevolezza e amplifichi nell’analizzante, la percezione di confrontarsi con un ancor più immaginario e immaginifico “Soggetto supposto sapere”.
Una tristezza che sembra alludere a una immaginaria e folle supponenza di un sapere troppo grande e della quale se ne gode la sofferenza: quella tristezza che trapela nello sguardo e nelle parole dell’androide Roy Batty di Blade Runner: “Ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi ….”.
Questa tristezza sacrificale sortisce solo l’effetto di inibire la possibilità di  cogliere l’incantesimo della vita, perchè la “nuca irrigidita” e bloccata all’indietro, non permette, nel transfert, l’aprirsi  dell’inconscio dell’analizzante alle possibilità e prospettive future, inconscio del quale vengono spremute ripetutamente e  quasi voyeuristicamente gli scacchi, le ferite, i deficit, i conflitti.
Le nuche irrigidite non possono alimentare il desiderio, la cui dimensione non è l’attualità del sintomo, né un futuro già scontato come ripetizione coattiva del passato: ripetizione  ciclica, tautologica, senza alcun “guadagno”.
  • Le nuche irrigidite possono garantire solo un temporaneo lenimento del sintomo, una mera sopravvivenza, nella quale la seduta psicanalitica rappresenta non una promessa, non un procedere psichico, ma solo un attimo di tregua, una gestione temporanea del sintomo e non  la presa in carico di un destino.
  • Le nuche irrigidite garantiscono sedute al termine delle quali, abbandonato lo studio, all’analizzante rimane solo la possibilità di continuare a  rimuginare sul proprio passato, in attesa di rimasticarlo  con l’analista, nella successiva seduta: senza che intervenga il desiderio di mandare giù il boccone amaro, per assaggiare altro, perchè non ha trovato  chi gli faccia intravvedere questo altro e la sua appetibilità.  
 
Il Desiderio "È ciò che ci spinge a cercare ciò che ci manca".
È un passo della prefazione di Gerard Severin (pag. IX) a  “I Vangeli alla luce della psicanalisi” di  Francoise Dolto.
Faccio ricorso a questa autrice lacaniana per la naturale associazione con Recalcati nella loro lettura di un Cristo che viene a “insegnarci il desiderio e trascinarci ad esso”[3]
In questa definizione il “ci manca” del titolo del paragrafo è la chiave di tutto.
  • Nell’analisi e nella vita, dobbiamo fare ricerca di ciò che ci manca e non avvitarci sterilmente e irrimediabilmente su ciò che ci è mancato.
Certo che ciò che ci è mancato ci ha segnato, ma, se non ci impedisce di aprirci al futuro, come capita nella quasi totalità dei casi, è sul futuro, sulle sue inedite e molteplici possibilità, che noi  dobbiamo trovare l’apertura e la dimensione nel quale risignificare il nostro passato.
Di seguito ripropongo il seguito della risposta che la Dolto dà a Severin, sulla questione del desiderio:
 
Dolto "Gesù insegna il desiderio e non una morale."
SeverinMa che cos'è il desiderio che Gesù ci insegna? Dolto rispon­derebbe semplicemente:
” È ciò che ci spinge  a cercare ciò che ci manca:
 
  • Come in quel rompicapo cinese, costituito da un piccolo rettangolo in cui le lettere dell'alfabeto o gli elementi di un disegno sono inscritti su piccole tessere mobili.
Ma c'è un vuoto.
Questo spazio vuoto permette di far scivolare i quadrati gli uni dopo gli altri al fine di formare una parola o comporre un disegno.
E grazie a questa assenza, a questa mancanza che il gioco può funzionare.
Lo stesso vale per noi. Abbiamo un vuoto, una mancanza che cerchiamo di colmare senza mai riuscirvi.
Se, per caso, ci riusciamo, è per poco tempo, e il nostro vuoto si ritrova altrove, sempre altrove, come nel "rompicapo cinese", attraverso l'espe­rienza tragica o gioiosa della vita. – Severin
 
Il Sacrificio della Lingua Italiana e l’Impossibilità dell’analizzare
Difficile dire  “Lapsus”
Anche cogliere il lapsus diventa oggi quasi impossibile, in quanto esso presume che l’interlocutore sapendo quello che dice,  avendone le competenze linguistiche, sventatamente, lo dice male.
La difficoltà a definire lapsus una incoerenza linguistica è data, oggi, da fattori oggettivi quali l’evoluzione/involuzione/contaminazione del linguaggio, dato dalla mobilità delle masse, dalla contaminazione intergenerazionale,  dalla pervasione dello slang digitale e da una scarsa attenzione alla grammatica e alla sintassi, in televisione, sui giornali, a scuola.
Come analista, ci potrebbe essere una difficoltà a capire se un termine detto per un altro o un neologismo o un errore sintattico o grammaticale, sia  un “compromesso” linguistico, tra ciò che si vorrebbe consciamente e inconsciamente dire o semplicemente frutto di ignoranza: così, questo potenziale  e potente strumento di analisi viene meno.  
Cerco di essere più chiaro con un esempio, andando  sul concreto e sul faceto:    
  • Poniamo che io abbia  in analisi la Ministra della Istruzione Fedeli che  in un recente intervento ha detto per ben due volte e nel giro di 30 secondi “più migliore”, leggendo da un foglio[4] e quindi proprio per una solare ignoranza;
Poniamo che durante una seduta ella mi dica “più migliore”:   io, conoscendo il suo ruolo istituzionale, penserei a un lapsus e cercherei, nella catena significante nella quale ella è presa, quali possibili significati, sintomi, tale lapsus celi:
  • È che ella si sente inadeguata per un ruolo che eccede le sue competenze e lo manifesta sbagliando ciò che nemmeno un bidello sbaglierebbe?
  • Lo dice coscientemente per capire se io lavoro anche sui  lapsus?
  • Lo dice per altri motivi inconsci che lascio al lettore supporre?
No: lo dice semplicemente perché è ignorante; perché  non conosce l’aggettivo comparativo di maggioranza di “buono”.
  • Il problema  è mio, che sono fuorviato nell’analisi;
  • il problema è suo che tornerà a fare, per fortuna, altro;
  • il problema è di tanti milioni di studenti che hanno capito che per fare il Ministro, in Italia, può non servire, studiare.
 
Altri passaggi di “Desiderio, Godimento e Soggettivazione”,
sul sacrificio e sacrificati nella relazione
Come vedete il mio è un avvicinamento indefinito alla relazione di Recalcati, e a voi potrei sembrare  Achille che non raggiunge mai la tartaruga, ma il mio traccheggiare è funzionale alla relazione stessa, se non altro per alimentare, nell’attesa, il desiderio della sua lettura o più ancora dei “testi fondamentali”:  per capire Freud, Lacan e la Psicanalisi.
 
  1. a  pagina XIX, sempre dell’introduzione:
“… in questo egli (Lacan[1]) fa propria la lezione più alta delle filosofie dell'esistenza, ma anche, più radicalmente, recupera quella nozione di responsabilità illimitata che si affaccia in occidente con l'esperienza cristiana, come mostra la rilettura che Derrida propone – attraverso Kierkegaard – del sacrificio di Abramo.
  1. a pagina  359 del testo
Nella psicosi la desoggettivazione assume la forma radicale di un assoggettamento totale alla volontà di godimento dell'Altro che comporta l'essere senza diritto di parola, mentre nelle nevrosi l'eccessivo incollamento del soggetto alla domanda dell'Altro comporta il sacrificio del proprio desiderio.
Ero preparato, perciò, a una lettura
  1. del sacrificio come assoggettamento all’Altro, soprattutto all’Altro genitoriale che esita nel  falso Sé Kohutiano (una mia licenza sul tema)
  2. del sacrificio del Soggetto Umano all’Altro dell’Inconscio, come ricettacolo di ogni nefandezza e come stampo ineluttabile che definisce irreversibilmente i nostri destini.

    • Un inconscio che  si manifesta solo come potere del passato situato come una causalità inflessibile, come principio causale, come motore immobile. Un passato che nega l’apertura all’avvenire e risucchia all'indietro il soggetto ridotto alla fatticità della sua infanzia. ….. Un  passato che ingombra il presente annullando il potere di trascendenza della realtà umana, assorbendo questo potere nella passività priva di intenzionalità della sua bruta fatticità. –[5]
 
Nulla di tutto ciò: Massimo Recalcati è stato come al solito molto spiazzante ed ha parlato di  “altro”: ha rinunciato alla rendita di un materiale già pronto e solo da sviluppare e rimodellare, per passare a una dissertazione inedita e anche per questo, per me  più  suggestiva rispetto a quanto mi attendessi.
Nella relazione emerge l’inattualità, la disfunzionalità, lo statuto pervertente di liturgie e interpretazioni proprie delle  frange della Chiesa meno emancipate e da preti:
per lo più asserviti allo spirito di serietà e di rassegnazione. In questo ereditano la tristezza sacrificale dei peggiori "psicanalisti  – [6].
Nella relazione, o meglio di ciò che io ne riporto, spero emerga il vero  senso della Croce, da intendere come il  sacrificio del Figlio di Dio, che rende le nostre vite sacre e insacrificabili e liberate dal Senso di Colpa ontologico: cioè presente in noi per il solo fatto che viviamo e desideriamo.[7]
 
 
La Lectio Magistralis
 – dai miei appunti  e ciò che ne ho capito
 
LA LEGGE DEL LINGUAGGIO.
Recalcati: Nella relazione vedremo due riletture: come Lacan rilegge Freud e come Gesù interpreta il “Logos Biblico”.
Partiamo dalla Legge e dalla Legge del Linguaggio.
Ciò che consente alla vita, anche biologica, la forma umana, è l’intervento della legge del Linguaggio, che impone un sacrificio simbolico alla vita, vita che, per essere tale, deve fare esperienza della perdita di godimento: il bambino che sugge dal seno della madre, può accedere alla parola nel momento in cui la bocca si stacca dal seno[8].
Il residuo che sfugge alla sublimazione, si manifesterà, magari, nel tabagismo, nella bulimia, etc.
Il mondo animale è il mondo in cui la vita  è al suo colmo, non ha sottrazioni; non ha mancanza, non soggiace alla castrazione del linguaggio.
 
LA RADICE MORALE DEL SACRIFICIO
Parlare vuol dire cominciare a morire![9]
Nel cavallo non esiste un sacrificio della vita: esso risponde al Reale attraverso l’istinto.
In noi, soggetti umani, l’istinto è pervertito dalla legge del linguaggio: “Noi siamo animali morenti” – Seminario IX – Lacan
Il cane ama l’essere umano per quello che è, mentre nel mondo umano, l’amore porta sempre il fantasma![10]
Cane e padrone, come spesso ci capita di notare e di meravigliarci, si somigliano.[11]
 
La legge del Sacrificio confonde la castrazione imposta dal linguaggio, con la mortificazione della vita:
  • la passione sacrificale
  • la legge del sacrificio
  • la passione per la rinuncia
sono solo e proprie dell’uomo: nell’uomo non esiste istinto, bensì passione per il sacrificio.
Freud e Nietzsche sollevano grande scandalo allorché asseriscono che questa venerazione per la legge del sacrificio ha la sua radice morale in una finalità utilitaristica e del tornaconto, e cioè quella  di mettere la propria vita al riparo dell’angoscia e della vertigine della libertà.
Dove abbiamo esperienza di libertà, abbiamo il sintomo, la nausea: quella che si prova allorché si tende ad andare verso il mare aperto e si comincia ad avere nostalgia della terra, della rassicurazione della nostra identità data dalla nostra casa.
Si sacrifica la libertà del mare aperto, per avere la garanzia della stabilità della terra.
 
  1. Come si può amare un padrone?  Perché le masse hanno sopportato/desiderato il fascismo, il nazismo?  – Wilhelm Reich-
  2. Come si possono amare più le catene del sacrificio alla libertàSpinoza
  3. Attenzione a far rinascere Dio dopo la sua morte[12]Nietzsche
Nietzsche nel paragrafo “Le tre metamorfosi “  del “Così parlò Zarathustra”, asserisce che l’uomo del sacrificio assomiglia a un cammello: porta su di sé i pesi delle “Tavole della legge”, e fa tutto con pazienza, venerazione, rinuncia; e cammina in solitudine e indefessamente nel deserto.
 
Affrontata  la prima radice del Sacrificio, e cioè quella morale, quella che fa preferire le catene alla libertà, come ad esempio nel caso di tante donne sacrificate al proprio uomo: 
“Perchè stai con un uomo che ti schiaccia?”
risposta:
“Perché la mia vita è protetta!”   
Tale risposta ci indica l’utilità del sacrificio.
Lacan asserisce: ”Faccio esistere l’Altro come luogo della mia esistenza!”
 
Ora  passiamo  alla seconda radice del Sacrificio: quella “economica”.
 
LA RADICE ECONOMICA DEL SACRIFICIO
 
 “Io mi sacrifico! ……..[13]  “per Te!”.
E così, nominando il figlio erede del proprio sacrificio, lo condanna  a un debito insolvibile,  illimitato.  
Il vittimismo genera un debito illimitato: “Io mi sacrifico e sarò rimborsato illimitatamente”.
Questo dispositivo economico è alla base di tutti i fondamentalismi:
  • il nucleo del fantasma sacrificale è la certezza di un risarcimento senza pari.-
 
Il Super Io come tiranno[14]
Il Soggetto è sdoppiato e doppiamente soggiogato e tiranneggiato da uno sguardo e una voce interna e dallo sguardo giudicante e morale della Legge;
  • il Super Io non colpisce il soggetto perché colpevole, ma perché pulsionale e quindi potenzialmente colpevole, solo perché, costitutivamente, si sente sempre in colpa, a causa di una ultrapotenza morale della quale il soggetto umano non coglie il senso, ma dal quale resta soggiogato.
Recalcati cita “Il Processo” e “Il Castello” di Kafka, dove K. è ostaggio di situazioni che lo opprimono soprattutto perché in esse non trova un filo logico, né colpe di cui rimproverarsi e che potrebbero essere causa delle situazioni stesse: K. trova in tali situazioni opprimenti, solo nonsenso e arbitrarietà.
  • Però gli altri sanno e si meravigliano che K. non riesca a capire.
 
“Conosce Friedrich?” egli domandò. K. rispose negativamente. “Ma Friedrich conosce lei” disse il signore sorridendo. K. assentì, persone che lo conoscevano non ne mancavano davvero, questo anzi era uno dei principali ostacoli della sua vita[15] – 
 
  • Gli altri sanno di lui, delle sue colpe. Le leggi sono opprimenti e insensate e non ammettono appigli; ognuno può essere il signor K., soggetto in balia di forze incomprensibili, soprattutto in certi periodi storici e in una certa società; e a queste forze strutturali se ne aggiungono altre costitutive della natura umana e proiettate paranoicamente sulla società stessa, in un reciproco alimentarsi –[16].
 
Il Super Io si alimenta nelle intenzioni inconsce e non delle azioni.[17]
La colpa è nella pulsione: il Super Io è una legge pulsionale: una legge, cioè che gode di essa ed è disumana, perché è una legge senza perdono e senza grazia.
  1. Il Super Io è il lato pulsionale della Legge e rende ogni vita sacrificabile.
  2. Il Sacrificio è il luogo in cui l’Es gode per il tramite del Super Io.
 
  • Gli effetti della legge tirannica del Super io la ritrovate nel suicidio di Neil in “L’attimo fuggente”[18]
  • La vita dei terroristi è dominata dal Super Io , che rende ogni vita sacrificabile[19].
  • Hitler ebbe gioco facile a soggiogare il popolo tedesco, facendo leva sull’assunto che la vita ha senso se votata a una causa e se si è disposti a sacrificarla per tale causa: cosa che stabilisce un primato (per Hitler e chi lo ha seguito) sugli ebrei “che, invece, sono attaccati alla vita!”[20].
 
SACRIFICARE IL SACRIFICIO Il vero senso della Croce –
Dio, attraverso il suo Figlio si è sacrificato per noi
Il sacrificio è quanto di più antitetico alla parola di Gesù  possa esserci e professato.
Dio ha il volto dell’Uomo e posso vedere Dio solo attraverso l’Uomo: è solo nell’incarnazione nell’uomo che Dio può manifestarsi nel mondo.[21]
È Dio che bisogna sacrificare e il Padre ha sacrificato il Figlio,  per sacrificare il sacrificio, perché esso fosse l’ultimo sacrificio, quello che rendesse l’uomo sacro e non sacrificabile.
 
La vera Bestemmia
“Cristo sulla Croce ci costringe a vivere nel mondo della colpa, perché è morto per noi!”
Questa forse è la vera bestemmia, dalla quale emerge la supplica:”Prego Dio perché mi liberi di Dio”.
In ciò ci conforta Agostino: ”Ama e fai quello che vuoi!”, che è quanto di più antisacrificale si possa dire.
Fino a quando la vita è offuscata dal fantasma sacrificale, ogni desiderio è impossibile e allora, come suggerisce Lacan nel Seminario VII, bisogna oltrepassare tale fantasma e porsi l’unica domanda che abbia senso: ”Ho agito (sto agendo) in conformità alla legge del desiderio che mi abita?”[22]
La Legge, nel Desiderio,  è liberata dal peso oppressivo della legge, cioè di quell’aspetto sacrificale che tendiamo ad attribuirle: emancipando così la vita dal Super Io.[23]
L’unica legge per l’uomo deve essere la Legge del Desiderio[24]; l’uomo deve fare la vita che desidera, nel rispetto dell’Altro: questa è la Vita Beata.
Donare la propria vita non è sacrificare la propria vita.
  • Quando una madre dedica se stessa al proprio figlio, pensate voi che lo faccia pensando di essere rimborsata? Ecco, questa è la divaricazione assoluta tra sacrificio e dono!
  •  
IL REGNO È ADESSO:  E LA CROCE È DONAZIONE ED È VENUTA PER SACRIFICARE IL SACRIFICIO
 
 
IL DIBATTITO[25]
LA PRIMA DOMANDA (mia):
  1. All’invito della moderatrice a porre domande,  segue il solito momento di  silenzio che a me comincia a sembrare troppo lungo, facendomi temere la dichiarazione di commiato e di chiusura del Convegno;
  2. Timore perché una domanda vorrei farla, ma cercando di evitare che sia la prima. Questo perché, sapendo che in ogni domanda si nasconde sempre o un po’ di aggressività o un po’ di compiacenza (o una mescolanza di tali sentimenti) e una certa quota di narcisismo e di ansia, ritengo che nella prima, tali aspetti possano essere rilevabili  in misura maggiore: “Che non sia questa una visione sacrificale della domanda?”;
in più mi soffermo a pensare: “Ritenendo che il Professore abbia notato la mia presenza, penso che si aspetti una mia domanda”: non troppo convinto, alzo la mano e procedo:
 
  • “Gentilissimo professor, ricordo che un giorno le chiesi se definendo Lacan il più grande pensatore del soggetto di tutto il Novecento[26], collocasse automaticamente Freud nel XIX secolo ed ella mi rispose con un sorriso;
ora  mi viene in mente una risposta che potrebbe toglierci dall’imbarazzo di una risposta difficile: tale risposta è simile a quelle che dette un critico musicale alla domanda di chi  fosse il più grande musicista di tutti i tempi: “Beethoven” e a quella successiva: “Più di Mozart?”  rispose: “Mozart è la musica!”
Ecco quindi una possibile risposta:  “Lacan è il genio della psicanalisi; Freud è la psicanalisi”.
 
  • “Questo ricordo è riemerso nell’ascoltarla e nell’avere percepito, nella sua relazione,  una forte connotazione freudiana, in quanto mi sembra che abbia privilegiato l’aspetto intrapsichico, rispetto a quello intersoggettivo, cosa che mi ha spiazzato, aspettandomi una relazione che traesse spunto da specifici passaggi del suo testo “Desiderio, Godimento e Soggettivazione” nei quali viene trattato, seppur stringatamente, ma con questo approccio all’Altro, il concetto di sacrificio.  
Cioè ritenevo cioè che parlasse
  • del sacrificio di quei soggetti che annientano la loro singolarità assoggettandola al Desiderio dell’Altro[27],
  • del sacrificio che si officia in tanti setting analitici,  delle risorse dell’inconscio, negando ad esso il respiro e la potenzialità che l’inconscio acquisirebbe nella sua apertura e nella sua risignificazione alle luce delle necessità future; del sacrificio che si compie nel  tentativo dissennato di spodestare l’Es per fare posto ad un Io adattato e conformato a una Legge senza Desiderio.[28]
Casella di testo: 85A tale proposito, gentile professore, mi sovviene un passo de “L’interpretazione dei sogni”  in cui Freud parla di come l’autoflagellazione da parte di certi mistici sia un’azione che tende ad annullare e ad  espiare ciò di cui si sentivano colpevoli: “l’avere avuto, nel sonno e nel sogno, uno sfogo fisiologico di pulsioni sessuali troppo a lungo e innaturalmente represse”[29].
 
LA RISPOSTA
“Lacan enfatizza, ancor più rispetto a Freud, l’aspetto pulsionale dei Super Io e ne rileva gli aspetti punitivi, sadici, vendicativi, tirannici. È un simmetrico e contrario dell’Es, – anzi ne è un prodotto – e l’Io si trova lacerato tra le pulsioni dell’Es verso il godimento del tutto e il Super Io che lo spinge al godimento del Nulla, della rinuncia e del sacrificio: spinge il soggetto al godimento masochistico per la rinuncia e il cedimento sul proprio Desiderio”.
 
Quanto sopra riportato della risposta, è il senso della stessa o quel senso che io ho inteso,  ma
  1. per evitare una eventuale arbitrarietà dell’interpretazione e
  2. per una migliore comprensione dei lettori,
ritengo opportuno riportare integralmente, cioè senza ritocchi, un passo de ‘”L’Uomo senza Inconscio”, nel quale il tema[30] del Super Io viene trattato esaustivamente.
  • [31]Da questo punto di vista, dal punto di vista del Super-io, il soggetto è  sempre colpevole. Più precisamente, Freud in II disagio della civiltà giunge a dire che mentre gli impulsi libidici si trasformano in sintomi, quelli aggressivi tendono ad alimentare il senso di colpa. E la grande ragione clinica della Klein: l'aggressività è in un rapporto fondamentale con la colpa. In II disagio della civiltà Freud elabora un dottrina inaudita del senso di colpa: il Super-io sociale comanda la rinuncia alla pulsione in cambio della iscrizione nel programma della Civiltà, ma più si obbedisce al comandamento superegoico più il senso di colpa aumenta.
È questo il circolo vizioso del Super-io freudiano: più si obbedisce al suo comando più ci si sente colpevoli. Questo significa – ben al di là della prospettiva aristotelica che concepisce la colpa come una mera incoerenza nel governo dell'Io – che non è la censura che interdice il piacere, ma che, paradossalmente, è proprio l'attività di censura che nutrendo il Super-io diventa essa stessa una fonte estrema di godimento. In questo senso il rimprovero del Super-io non è un'attività della coscienza morale ma si manifesta come un prodotto dell'Es. E questo il grande interrogativo clinico sollevato dall'ultimo Freud: di quale colpa si tratta a livello inconscio?
Nel Seminario VII Lacan affronta direttamente questo problema. La sua risposta è che si è colpevoli non tanto in rapporto al dovere stabilito dal Super-io, ma in rapporto al desiderio inconscio come tale. La colpa etica consiste precisamente nell'allontanarsi dal proprio desiderio.
  • Ogni volta che si cede sul proprio desiderio c'è senso di colpa inconscio.
 
Recalcati, nella risposta, evidenzia come sia errato intendere La Legge come un qualcosa che sia contro il Desiderio, bensì la legge è di per sé costitutiva del Desiderio.
 
LA SECONDA DOMANDA
La seconda domanda chiede chiarimenti sul rapporto tra  bios e linguaggio, tra istinto e cultura  e di come e quanto essi incidano sugli assetti psichici e  sulle vite delle persone.
 
LA RISPOSTA
Recalcati risponde affrontando due aspetti della questione e cioè
  1. quello riguardante la presa del linguaggio sul soggetto
  2. quello che riguarda la differenza tra istinto animale e pulsione.
 
La presa del Linguaggio
Con Sartre[32] e con Lacan, sostiene che le nostre vite sono segnate da un fantasma, che è il modo in cui il soggetto interpreta, inconsciamente,  il desiderio dell’Altro.
Introduce il concetto di come noi siamo già, ancor prima di nascere, immersi in un mondo simbolico: senza che lo nomini, capisco che faccia riferimento a Gustave Flaubert, quando afferma che noi già prima di nascere, siamo parlati dal linguaggio, inteso come aspettative dei nostri genitori, che già si prefigurano o sperano in un sesso specifico del nascituro, con conseguente scelta di un ventaglio ristretto di nomi che, nell’immaginario dei genitori, dovrebbero determinarne desiderati e desiderabili  destini (nomen omen), al quale il nascituro, si augurano, si adegui e faccia proprio.
Si attivano verso il nascituro,  una serie di proiezioni e di azioni concrete, nella fantasia illusoria che esse  possano determinarne sesso e destino.  
 
Recalcati aggiunge anche che per molti è spesso impossibile affrancarsi totalmente dagli effetti del fantasma, e anche se esso non ha una presa totale su di noi,  
  • uno stigma lo lascerà comunque
  • esso aleggia ed aleggerà sempre e comunque anche in chi riesce ad affrancarsi da esso e in chi  è riuscito a – “inventarsi il proprio avvenire, pur essendo stato nella sua infanzia l’avvenire degli Altri”[33] -.
Un fantasma che opera sempre nel nostro inconscio e che si oppone a ogni  tentativo del soggetto umano “di affrancarsi da ogni causalità deterministica” un fantasma “che si oppone   alla convivenza di due inconsci:
  • quello già scritto, come “sistema di segni”, come aggregato di tracce mnestiche e
  • quello come un che di non ancora realizzato, una virtualità, una discontinuità, uno  scarto,  sempre possibile,  dal destino fissato dalla ripetizione[34]
 
Un Fantasma che alimenta l’Inconscio come automaton, pilotato irrisovibilmente dalla giostra della ripetizione e della circolarità; fantasma  che cerca di negare l’accesso all’inconscio come tyche: un fantasma che tende ad opporsi all’apertura di riscritture, di possibilità, di necessità, di incontri  futuri del già scritto.
 
Istinto e Pulsione
Come Darwin, Freud accorcia anche lui la distanza tra animali e uomini, pur restando tale distanza incolmabile, in quanto lo schema istintuale dell’uomo è alterato dalla pulsione[35].
La quota pulsionale, che resta e resiste dopo lo svezzamento, ad esempio, dà luogo a tabagismo, a bulimia. Cioè a un godimento ultraistintuale.
La pulsione è l’effetto di un montaggio surrealista dell’istinto[36].
Un po’ di umanità l’animale la mostra quando è ammalato, ma se l’animale non sta male, non è prossimo alla morte,  non ne ha l’idea.
L’umano, invece, non può esistere se non come essere pensante alla morte: “mia e dei miei morti, di cui io sono fatto”[37].
L’animale è immortale e il perverso vorrebbe essere immortale, come un animale.
I riti, le simbolizzazioni distinguono la vita umana e quella animale: per Lacan la sepoltura separa la vita umana da quella animale.
Come Leopardi invidia la condizione di oblio del gregge[38], noi invidiamo l’assenza di angoscia degli animali.
Sì anche nel mondo animale c’è linguaggio, ma un linguaggio fatto di segni, un linguaggio nel quale  non c’è Arte[39]!
 
P.S. le note senza riferimenti ad opere o ad autori, sono mie considerazioni


[1] Quando ero Preside
[2] Il marito, incuriosito dai “report”  dalla moglie, sui miei corsi, essendo padre di un figlio adolescente, aveva subito comperato, al tempo dei miei consigli, “Cosa resta del Padre?” di M. Recalcati.
[3] G. Severin – retro copertina – de “I vangeli alla luce della psicanalisi” di Francoise Dolto.
[4] https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/12/21/fedeli-la-ministra-dellistruzione-piu-migliore-di-sempre-ecco-la-nuova-perla-grammaticale/4053225/ : Stefano Bartezzaghi assolve la Ministra perché sostiene,  “la Ministra intende “sempre più, migliori”: cioè una ipotetica virgola legherebbe il più a sempre,  e il tutto sarebbe un rafforzativo di avverbio di tempo o di modo, liberando nel contempo, “migliori” dal piùMa se voi ascoltate il video di cui sopra, la Ministra dice Sempre, ….. più migliori! È quella pausa dopo sempre e l’enfasi su più migliori che lega inesorabilmente il più a migliori e la Ministra all’ignoranza.
 
[5] M. Recalcati – Desiderio, Godimento e Soggettivazione – pag. 427 – ed  Cortina
[6] Facile e scontata parafrasi di quanto riportato precedentemente
[7] Recalcati parla della sua prima adolescenza e della sua perplessità quando, riferendo in Confessione della sua ricerca di conoscenza e consapevolezza del proprio corpo, si sentiva ammonire dal prete come questa azione facesse  “Sanguinare il cuore della Madonna”.
[8] Mio: È l’alternarsi della suzione con il gioco di sguardi e di lallazioni tra madre e figlio, che tempera la perdita di godimento della suzione: che non sia questo alternarsi uno degli aspetti del plusgodere?  Che non sia proprio il succedersi diacronico della soddisfazione biologica e psicologica a cominciare a determinare l’integrità psicofisica, della persona? Che la bulimia e l’anoressia non traggano alimento anche da una mancata sottrazione del seno (avevo scritto del “senso”) o ancor più da una assenza di parola e di sguardo della madre, in una fase così arcaica della vita? O dal mancato alternarsi delle due fasi, ognuna delle quali assume senso dall’altra?
[9] Mio: Quindi diventare un soggetto umano.
Poi su questo aspetto, ci sarà la seconda e ultima domanda del dibattito, che vedremo in seguito.
[10] Mio: “L’Altro ricorda un Altro; l’Altro è “contaminato” da processi proiettivi e da investimenti identificativi; l’Altro è traguardato in riferimento  al contesto o al tic nel quale lo cogliamo; l’Altro è l’Oggetto Sé Kohutiano e vale per quello che può fare per noi, per la funzione che vorremmo svolgesse o temiamo possa svolgere; l’Altro è il nemico, l’amico; l’Altro è la nostra stessa essenza.
“Nel mondo umano, l’amore porta sempre, in maggiore o minore misura, il fantasma dell’odio”.
 
[11] Mi sono persa la spiegazione di Recalcati sulla somiglianza tra padrone e cane: io ritengo, ma è una mia interpretazione, che egli legasse questa somiglianza agli effetti del fantasma, proiettato dal padrone e che sembra produrre un’azione morfogena e modellante sul cane. “E il padrone  modella il proprio cane a sua immagine e somiglianza!”
[12] Questa citazione me ne  riporta alla mente una di Sermonti: ”Il rischio di cercare Dio è quello di trovarlo!”
[13] Breve pausa di Recalcati: l’indice puntato a interpretare  la madre, e poi l’aggiunta del complemento di colpa, “Per Te!”,  già chiaro anche senza la sua esplicitazione, ma esplicitato per non dare scampo e  condannare il figlio alla “voce della coscienza”, alla tirannide del Super Io.    
[14] Sul Super Io Recalcati ritorna nella risposta alla I domanda, che troverete più avanti.
[15] -Mie annotazioni da  Il Castello pag. 841– da  “Le opere di Franz Kafka”  pei Meridiani – Prima edizione 2006 –
[16] Una mia libera considerazione sull’allusione a Kafka e alle due opere citate da Recalcati
[17] Qui aggiungerei la teoria kleiniana e freudiana sulla genesi del senso di colpa:   a) il sentimento che coglie il soggetto al momento dell’acquisizione della costanza dell’oggetto e a cui segue la posizione riparatoria/depressiva; b) il senso di colpa nella posizione riparatoria della fase edipica.  
 
[18] Nel suicidio di Neil, il Super Io paterno,  introiettato dal figlio, è il suo carnefice e il Super Io del figlio è il carnefice del padre, condannato a una colpa senza redenzione.
[19] Mi sembra che per quanto riguarda il riferimento al Sacrificio dei fondamentalisti islamici, le cause si possano ritrovare sia nel registro dell’Immaginario e cioè nell’illusione di un “Al di là”  in cui si potrà godere di tutto ciò che non è capitato nella vita terrena, sia  nel registro del Simbolico, cioè in una ricerca disperata di senso, di tanti che nella nostra società, si sentono emarginati, marginalizzati rispetto a valori ai quali non  è loro concesso accedere: tanti e troppi,  che per sentirsi vivi almeno per un attimo, sono pronti a morire. Cioè, morire per vivere almeno per un attimo,  per percepire almeno per un attimo, il senso della propria vita.
 
“[20] È  estremamente scorretto puntare al fatto che gli Ebrei lottino tutti insieme con i loro simili – o piuttosto li saccheggiano – e concludere da questo che essi abbiamo una certa idea del sacrificio di sé.” – La Mia Battaglia (Mein Kampf) –  Adolf Hitler –
 
 
[21] Mio: Se non ci fosse l’Uomo, chi penserebbe Dio? Ci potrebbe essere un Dio al quale nessuno pensa? E se sì, a fare cosa? A giocare a dadi? Ritengo che se un fine c’è, nell’universo, è possibile solo se in esso esiste chi si pone la domanda se le cose abbiano un fine: Dio non è morto, morirà quando nessuno lo penserà più.
[22] E non al debito
[23] Mio: Io intenderei: piuttosto che emancipare la vita dal Super Io, si dovrebbe emancipare il Super Io dal suo lato opprimente e sadico e lasciarlo, come autorevolezza del passato nella funzione di un riferimento psicologico e comportamentale.
Come difatti aggiunge Recalcati: “Un Super Io che dia l’anelito alla perfezione”
[24] Mio: “Un Desiderio che si coniuga alla perfezione alla Legge è quella che spinge a manifestare la propria singolarità, in funzione e in rispetto dell’Altro, nella logica del carattere prettamente intersoggettivo della soggettività umana; in quella cioè che coniughi il proprio utile più nobile con quello della umanità intera.
[25] In verità la domanda è stata formulata in modo più parziale e meno chiara, accompagnata, altresì, da una considerazione  gratuita, che voleva essere un complimento e si è trasformata in una gaffe, che fa il paio con la risposta che un signore, pensando di farle un complimento, dette ad una signora attempata che gli chiedeva come la trovasse:” Lei non può che migliorare!”. Io, per complimentarmi con Recalcati per la sua chiarezza espositiva e la sua capacità di “tenere la scena”, avrei voluto dirgli che benchè “buchi” lo schermo, è ancora più piacevole ascoltarlo dal vivo: la frase che ne è uscita è stata: “Lei viene meglio dal vivo che in televisione”.
È ovvio che poi  ho riflettuto sulla possibile motivazione inconscia della gaffe: il timore, già verbalizzatogli una volta, che la sua immagine si possa offuscare per un eccesso di esposizione mediatica.
[26] Introduzione di “Desiderio, Godimento e Soggettivazione, pag XV, prime due righe
[27] Questo aspetto del sacrificio, non trattato o non colto da me durante la relazione, è comunque espresso chiaramente a pag 13, nell’introduzione del libro e nel paragrafo “Fare tutto per l’Altro” del libro “Contro il Sacrificio” a pag. 66.
[28] Lacan, nel Seminario I a pag. 287 afferma che “il progresso di un'analisi non riguarda l'ingrandimento del campo dell'ego, non è la riconquista da parte dell'ego della sua frangia d'incognito, [ma] è un vero capovolgimento, uno spostamento […], un declino dell'Immaginario del mondo, un'esperienza al limite della depersonalizzazione." M. Recalcati – “Desiderio, Godimento e Soggettivazione” – pag. 10
[29] In verità questa è una mia estrapolazione arbitraria, ma ritengo logica, del passo  a pag. 85 de “L’Interpretazione dei Sogni” – ed. 1973 nell’Universale Bollati Boringhieri – “ Hildebrandt dunque rinviene la fonte dell'immoralità onirica nei germi e negli spunti di impulsi malvagi che attraversano la nostra anima durante il giorno in forma di pensieri di tentazione, e non esita a tener conto di questi elementi immorali nella valutazione morale della perso­nalità. Sono i medesimi pensieri e la medesima valutazione di essi — che, come è noto, indussero le persone pie e i santi di ogni epoca a lamentarsi di essere grandi peccatori”.
 
[30] A proposito di tema, a me non interessa se vado fuori tema deviando da un report fedele del dibattito (cosa che per me lascia il tempo che trova), ma interessa che, chi legge, capisca il senso dei temi affrontati, anche se ci sono delle forzature rispetto al reale botta e risposta del dibattito. Affermo ciò con la convinzione che sia questo il modo di essere più fedeli alle tesi proposte e affrontate nella serata.
[31] Massimo Recalcati – “L’Uomo senza Inconscio” Raffaello Cortina Editore pag. 233
[32] L’Idiota della famiglia – J.P. Sartre
[33] M. Recalcati – Desiderio, Godimento e Soggettivazione – pag. 456 – ed  Cortina
 
[34] Ibidem – pag. 428 –
[35] Cioè, credo, dalla capacità dell’uomo di simbolizzare, dal suo essere nato nel simbolico (forse anche nell’immaginario?)
[36] I Fantasmi, le Immagini e cioè il Simbolico e l’Immaginario traducono l’istinto in pulsione. E il sogno e l’inconscio, sono i riferimenti del surrealismo.
[37] Un modo (meccanismo di difesa) di elaborazione  del lutto è il processo di identificazione con i propri morti ai quali permettiamo di continuare a vivere in noi, perché noi possiamo continuare a vivere.
[38] O greggia mia che posi , oh te beata, Che la miseria tua, credo, non sai! Quanta invidia ti porto! Non sol perché d'affanno quasi libera vai; ch'ogni stento, ogni danno, ogni estremo timor subito scordi”. versi 105 – 111-  di Canto Notturno di un Pastore Errante dell’Asia;
 
[39] L’Arte è l’insieme di tutto ciò che traduce l’istinto in pulsione: fantasmi, immagini, immaginario, simbolico.

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  1. admin

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