La nostalgia è un’arma a doppio taglio: quando ci consente di trovare nel passato qualcosa che è simbolicamente riproducibile nel presente, essa ci rende la nostra vita più stimolante e vivibile; quando, al contrario, la dimensione simbolica è persa, la tendenza a riprodurre concretamente il passato, la “nostalgia perversa” (Romolo Rossi), che si viene così a creare, tende ad essere autodistruttiva: la ricerca dell’oblio del tossicodipendente (ricerca nostalgica della non esperienza, anteriore alla nascita della coscienza), la ricerca della pace della morte del suicida (ricerca della quiete e beatitudine intrauterine, anteriori alla nascita). Per valutare se una forma di nostalgia è sana o “perversa” è, innanzi tutto, necessario che questo sentimento sia riconosciuto come tale. Talora, infatti, la nostalgia si presenta paradossalmente con il travestimento del suo opposto: l’insofferenza per situazioni vecchie o abituali, e la ricerca smaniosa di esperienze nuove.
Gli individui avidi d’esperienze nuove (ambienti nuovi, attività nuove, partner nuovi, ecc.) in realtà sono i più conservatori e nostalgici di tutti: in tutto ciò che si presenta loro per la prima volta, ritrovano l’antica esperienza di una “prima volta”; rivivono l’esperienza del “vecchio” quando esso era ancora “nuovo”. L’esperienza più antica è quella che vivemmo nel grembo e tra le braccia di chi ci mise al mondo. Molte produzioni artistiche sono ricche di allusioni a questa vecchissima esperienza che si cerca di ritrovare in ogni avventura nuova. Nel “Casanova”, Fellini ebbe l’intuizione (a mio avviso, straordinaria) di presentarci il grande “tombeur de femmes” come un “mammone” alla ricerca, in ogni nuova partner, dell’antico affetto ormai perduto.
In casi estremi, quando la vita non offre (o non offre più) alcuna consolazione, è la morte che rappresenta la “nuova” esperienza, in cui ognuno può ritrovare la situazione più antica: quella dell’esistenza anteriore alla nascita, quando la persona che più ci amava ci ospitava nel suo grembo, anche se ora sarà la “madre terra” ad accogliere le nostre spoglie. Peter Pan, a dispetto della “onnipotenza” invincibile che dimostra nelle sue avventure, si rivela chiaramente il bambino disperato, abbandonato ancora piccolissimo dalla mamma. Non a caso, egli esclama: “La morte sarà la più grande avventura”.
Anche Baudelaire ci descrive come nostalgici i viaggiatori compulsivi, alla continua ricerca di persone e luoghi nuovi. Essi vogliono ritrovare, in ciò che è più lontano nello spazio, ciò che è più lontano nel tempo: il paradiso perduto anteriore o immediatamente successivo alla nascita. Quando innumerevoli viaggi si rivelano deludenti, non resta che un’ultima tappa:
O Mort, vieux capitaine, il est temps ! levons l’ancre !
Ce pays nous ennuie, ô Mort ! Appareillons !
………………………………………………………
Nous voulons, tant ce feu nous brûle le cerveau,
Plonger au fond du gouffre, Enfer ou Ciel, qu’importe ?
Au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau !
(O Morte, vecchio capitano, è tempo! Leviamo l’ancora! / Questo paese ci annoia, o Morte! Salpiamo! / (…) / Noi vogliamo, tanto questo fuoco ci brucia il cervello, / tuffarci nel fondo dell’abisso, Inferno o Cielo non importa. / Giù nell’Ignoto, per trovarvi del “nuovo”)
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