IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
di Antonello Sciacchitano

Al di là del principio di causalità

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25 marzo, 2018 - 11:29
di Antonello Sciacchitano

Ovvero la memoria quotidiana di David Hume
 
03.13.2018
A un certo punto della propria evoluzione tecnica Freud si concentrò sul transfert dell’analizzante verso l’analista e trascurò il controtransfert dell’analista verso l’analizzante. Forse riconobbe di non saperlo dominare (bewältigen). Nelle lezioni introduttive alla psicoanalisi del 1916-17 non trattò mai il tema del controtransfert. Senza considerare l’affetto dell’analista, Freud si dedicò alla dimensione diacronica dell’anamnesi (Krankengeschichte, letteralmente “storia del malato”). Da bravo medico considerava il passato causa del presente. Con tale mossa salvò l’approccio medico ma mise a rischio l’analisi, la quale, invece, dovrebbe mettere a fuoco la sincronia dell’interazione affettiva tra analista e analizzante nell’hic et nunc della seduta, il primo dalla parte dell’oggetto (perduto), il secondo del soggetto (in evanescenza) in un pezzo di vita vissuta in comune nell’arco delle sedute.

L’inconveniente insito nell’opzione eziologica freudiana è di orientare la psicoanalisi in senso interminabile. Infatti, per quanto approfondisca l’analisi delle cause del passato sugli effetti del presente, la narrazione unilaterale non esaurirà mai la pratica psicoanalitica. Certe narrazioni psicoanalitiche oltre a essere incomplete sono tendenzialmente interminabili; come tutte le narrazioni, o non concludono o concludono in modo didascalico con la “morale della favola” – edipica nel caso freudiano. Di fatto, lungi dall’essere prove scientifiche, i casi clinici mirano a corroborare l’impianto dottrinario e scolastico delle varie psicoanalisi. La narrazione non liquida ma fissa definitivamente il soggetto ai transfert infantili, dando loro una configurazione conforme a certi dettami di scuola – a ognuno la sua.
 
03.14.2018
Dio è un artefatto del principio di ragion sufficiente; supporre una causa per tutto è supporre dio. Secondo tale principio, il dio dei cattolici ha generato addirittura un figlio dal nulla, cioè da una vergine. Tous se tient, cioè il nulla diventa tutto, grazie all’antropomorfismo del principio di ragion sufficiente, secondo cui la causa di tutto è il Divino Architetto.
 
03.15.2018
Viceversa, chi abusa del principio di ragion sufficiente sbarca inevitabilmente in territorio teologico. Successe a Freud con la metapsicologia pulsionale, dove le pulsioni agiscono da cause producendo soddisfazioni sessuali (allora sono cause efficienti) o ripetizioni dell’identico (allora sono cause finali, secondo la classificazione aristotelica). Nei saggi (romanzati) su L’uomo Mosè e la religione monoteista (1938) Freud dichiarò esplicitamente il proprio “imperativo bisogno di causalità” (gebieterisches Kausalbedürfnis). È la stessa coazione che porta a inventare favole, comprese le metafisiche, direbbe Kant.
 
03.16.2018
La narrativa dà man forte al principio di ragion sufficiente, raccontando storie di cause ed effetti. Lo stesso principio infesta la psicoanalisi freudiana, che si avvale delle narrazioni edipiche per giustificare la genesi dei sintomi nevrotici. Capisco perché certi colleghi psicoanalisti invochino la poesia, che non ha né impianto narrativo né pretese cognitive.
 
03.17.2018
Pur di non venir meno alla fede eziologica, Freud censurò l’analisi del controtransfert. Con quale meccanismo?
Il trucco fu semplice: isolare il transfert e separarlo dal controtransfert, Freud si chiamò fuori dal controtransfert e attribuì alla ripetizione dell’evento passato della storia del paziente, opportunamente modificato, la funzione di causa dell’evento presente. Al tempo stesso Freud ricadde nel discorso medico, che non può prescindere da considerazioni di causa (l’agente morboso che ha agito in passato) ed effetto (la malattia presente). La diacronia dell’ieri-oggi prevalse sulla sincronia dell’interazione in atto tra analista e analizzante. L’analisi diventò anamnesi medica e cessò di essere “attuale”. Non solo; ingabbiando il paziente nel transfert, Freud favorì le resistenze dell’analizzante che nel transfert ci sguazza, pur di non analizzarlo. Allora si può dire che nell’analizzante il transfert divenne resistenza all’analisi, grazie alla resistenza al controtransfert dell’analista Freud. Come regolarmente succede, la vicenda contro-transferale dell’analista precede e incanala il transfert dell’analizzante. Allora Freud ritrovava materializzata nella resistenza transferale del paziente la propria resistenza all’analisi.

In base a una coincidenza che vale quel che vale, cioè poco, azzardo una congettura clinica. Voltando le spalle al controtransfert, Freud si identificò all’amico e mentore Breuer, che, per probabili ragioni contro-transferali interruppe il trattamento di Anna O. In realtà costei si chiamava Bertha, come la madre di Breuer, morta quando lui aveva tre anni. I due amici, in seguito diventati ex, per non dire nemici, resistettero in momenti diversi alla presa del controtransfert per ragioni rimaste sostanzialmente non analizzate.
 
03.18.2018
Il principio di ragion sufficiente, che a ogni evento attribuisce una causa specifica, è in realtà un potente inibitore del pensiero. L’inibizione eziologica è doppia: da una parte impedisce l’astrazione, dall’altra ostacola l’innovazione.

Primo punto. Impedire l’astrazione significa rendere impossibile passare dai molti all’uno, a prescindere dalle differenze qualitative e quantitative dei molti – a prescindere dalla loro natura e dal loro ordinamento, diceva Cantor parlando degli insiemi di elementi. In genere l’astrazione matematica procede per identificazione, in un senso diverso da quello psicoanalitico; infatti, si identificano tra loro elementi che sono in relazione di equivalenza. L’insieme delle classi di equivalenza forma un nuovo insieme: l’insieme quoziente per la relazione di equivalenza.

Se ogni causa può produrre un solo effetto predeterminato – si chiama determinismo – è impossibile unificare effetti diversi sotto un’unica causa. Risulta, allora, impossibile pensare le molteplicità in termini insiemistici, cioè matematici. Per esempio, in termini eziologici non si arriva a pensare, come invece i Pitagorici pensarono – anticipando di 24 secoli Evariste Galois – l’insieme dei numeri pari come il numero Pari, e l’insieme dei numeri dispari come il numero Dispari, una diade che riproduce in piccolo le proprietà algebriche dei numeri reali. (Pari si comporta come lo 0 nella somma, Dispari come l’1 nella moltiplicazione, a patto di porre 1+1 = 0).

Di fatto quasi mai il matematico o il fisico parlano di cause;[1] preferiscono generalizzare, cioè astrarre, spesso arrivando a semplificare e a chiarire. Il matematico non pratica lo scire per causas dello storico, inaugurato in Occidente dagli Erodoto e dai Tucidide. Fa la storia della propria disciplina senza ricorrere al principio di causalità; tratta le congetture come antecedenti e i teoremi come conseguenze. In genere preferisce la sincronia alla diacronia. Cerca modelli della struttura, se esistono. Prima di impegnarsi a raccontare come la struttura evolve, verifica che i possibili modelli della stessa struttura siano tra loro equivalenti (isomorfi); allora dice che la struttura è categorica; in caso contrario – quello più interessante in psicoanalisi – dice che la struttura è non categorica.

Secondo punto. Impedire l’innovazione significa rendere impossibile apprendere il nuovo attraverso modelli epistemici alternativi, per esempio, i paradigmi delle rivoluzioni scientifiche secondo Kuhn. Il procedimento meccanicistico di apprendimento dall’esperienza è attivo già a livello biologico; esso crea o distrugge connessioni tra componenti elementari, per esempio i neuroni cerebrali, che interagiscono attraverso sinapsi (o “barriere di contatto”, come già nel Progetto di una psicologia del 1895 le chiamava Freud, connessionista ante litteram), aprendo nuove vie nervose o chiudendo le vecchie. La plasticità neuronale è frutto del costante rimaneggiamento di inibizioni (in rosso) e/o facilitazioni (in verde). Si formano così veri e propri circuiti computazionali nuovi (Alain Turing, Macchine intelligenti, 1948), di volta in volta rimodellati in base alle esperienze acquisite.

(da “Le scienze”, 370, giugno 1999, p. 96)

In effetti, nella teoria bayesiana (soggettivista) delle probabilità l’esperienza modifica la probabilità a priori della causa e la verosimiglianza dell’effetto, data quella causa; con tali dati la teoria calcola la probabilità “inversa” che abbia agito una certa causa, dato l’effetto osservato (abduzione, secondo Peirce).

Le connessioni stabilite dal principio di ragion sufficiente, invece, sono rigidamente prefissate in funzione di schematismi idealistici, spacciati per oggettivi, che non variano nel tempo e riducono la probabilità a frequenza di eventi favorevoli sugli eventi totali. L’idealismo è l’incombenza dell’eterno, che fa ritorno come identico, in un programma conservatore benaccetto al potere stabilito. Gaudet mens mea aberrare, dichiarava Cartesio; ma l’erranza epistemica non è nelle corde del pensatore eziologico, da sempre fissista e idealista, cioè asservito al potere.

Perché regge, allora, il principio di ragion sufficiente ed è tanto gettonato? Semplicemente perché dà certezze ideologiche, che fanno gola sia ai governanti sia ai governati. Poco importa che siano false; importa che siano assunte e praticate come incontrovertibili nei modi stabiliti dall’ideologia vigente, tipicamente l’ideologia medica, costruita su conferme mai confutate. Si realizza così l’accordo stabile, essenziale alla vita civile, tra semantica (le essenze ideali) e sintassi (il sapere organizzato in modo teorematico). Già Platone lo pretendeva: “Conoscenza è l’opinione vera accompagnata da ragione (logos) e opinione senza ragione è al di fuori della conoscenza” (Teeteto, 201d). La psicoanalisi, invece, mette in discussione la fissità della concordanza sintassi/semantica già nell’analisi del lapsus.[2]
 
03.18.2018
Nel setting analitico la posizione dello scienziato non è tenuta dall’analista ma dall’analizzante, che seduta dopo seduta mette scientificamente alla prova sperimentale le proprie costruzioni teoriche per falsificarle. La resistenza alla psicoanalisi è un caso particolare ma esemplare di resistenza alla scienza, purtroppo comune a tanti scienziati, non solo agli psicoanalisti. Sembra che l’impresa scientifica moderna sia individualmente insostenibile. L’individuo non regge la scienza, come dimostrano le fallacie di tanti grandi scienziati. Perché? Perché le congetture scientifiche sono generalmente false e perciò sono da confutare, ma il singolo uomo di scienza rimane affettivamente legato ad esse; allora delira, cioè le ritiene vere, anche se sono state falsificate dal proprio collettivo di pensiero.

Spingendolo su vie che confermano l’eziologia individualistica (per esempio edipica), l’analista rinforza le naturali resistenze dell’analizzante alla scienza in nome di una vana ricerca storicistica della “singolarità assoluta”.[3] Così Freud stilava casi clinici “che si leggono come novelle, privi del marchio della serietà scientifica” (v. S. Freud, Studi sull’isteria. Epicrisi Elisabeth von R., 1895).
Il rigore anamnestico del resoconto clinico non basta per accedere al fatto scientifico. Anche un caso giudiziario può essere ricostruito in modo rigoroso senza essere scientifico. Per fare scienza occorre “calare” il caso clinico in un contesto di ricerca collettiva di casi simili e diversi, coordinati da congetture falsificabili: il cosiddetto “modello” o, secondo Kuhn, “paradigma”.

Oggi, per (ri)aprire la psicoanalisi al discorso scientifico, abbiamo bisogno di nuove congetture sul controtransfert, lasciato cadere da Freud.
 
03.19.2018
Non è un gioco di parole. La lezione che lo psicoanalista freudiano può trarre dall’inibizione di Freud ad assumersi il controtransfert è la raccomandazione etica di agire contro il transfert dell’analizzante perché falso amore. Tuttavia, a discolpa della “svista” morale di Freud, non casuale, ma sistematicamente ribadita a favore del “ricordare” contro l’“agire”, va detto che il medico, se non è scientifico, non è attrezzato a riconoscere il falso, fino al punto di prendere per falsa malattia, cioè simulazione, una vera patologia come l’isteria. In pratica assumere il controtransfert può voler dire voler bene al proprio paziente, nonostante i suoi transfert positivi o negativi. Per venirne a capo ci vuole una piccola dose di eroismo ovvero di spregiudicatezza. L’esempio? Socrate con Alcibiade. Si rilegga nel Simposio di Platone la confessione pubblica di Alcibiade del suo vano tentativo di sedurre Socrate. Grazie alla propria isteria, Socrate resistette al transfert di Alcibiade, che in realtà amava Agatone.
 
03.20.2018
“L’Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gli anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia” (A. Manzoni, I promessi sposi, Introduzione).

Inventando l’inconscio come struttura discorsiva atemporale, Freud vinse la battaglia contro il Tempo ma perse la guerra. Il Tempo non fu completamente sconfitto da Freud; fu solo rimosso. In tutta l’opera di Freud il tempo fa ritorno come il rimosso ritorna nel sintomo nevrotico. Per sua stessa ammissione, il sintomo di Freud, la sua coazione, fu il principio di ragion sufficiente; la ragione è che il tempo agisce come luogo dove la causa produce il suo specifico effetto. Il tempo di sapere fu per Freud il tempo eziologico. Anche senza sapere dell’elucubrazione di Lacan, l’analista sa per esperienza clinica che il sapere eziologico, essendo un sapere intellettualistico (idealistico), non basta per curare. L’analizzante può sapere razionalmente la causa del proprio sintomo senza arrivare a modificarlo. L’analisi si fa al di là delle cause. In questo senso la concezione lacaniana del transfert come processo che istituisce il soggetto supposto sapere la causa del desiderio inconscio condivide la stessa debolezza della freudiana.[4]

L’analisi dell’inibizione dell’analista Freud potrebbe cominciare sospendendo la portata dell’eziologia freudiana, filo rosso di tutta la sua metapsicologia pulsionale. È quello che tento di fare qui. Ma è solo l’inizio, non dico del postfreudismo, che non ebbe esiti brillanti; dico invece del prefreudismo, che faccia tornare Freud a quelle premesse scientifiche che furono in gran parte disattese già nel 1895.

Il 1895 fu un annus mirabilis per Freud, quando si sincronizzarono eventi diversi, appartenenti a un fascio di diacronie parallele e problematiche, tuttora da sbrogliare. In quell’anno Freud pubblicò gli Studi sull’isteria in collaborazione con Breuer; avviò ma cestinò il progetto di una psicologia scientifica; gli nacque Anna, una figlia forse non desiderata, destinata a fare da infermiera al padre, esattamente come la sua pseudo-omonima Anna O., da cui Breuer fuggì in preda al controtransfert. Storie di ordinaria psicoanalisi.

Forse oggi c’è bisogno di una psicoanalisi straordinaria.



[1] Spesso il biologo cede al discorso eziologico, data la sua prossimità al discorso medico.
[2] Con un semplice controesempio Gettier dimostrò che la richiesta logocentrica è necessaria ma insufficiente a caratterizzare il sapere giustificato. V. Edmund L. Gettier, Is Justified True Belief Knowledge?, Analysis, 23, 1963, p. 121.
[3] Dalla microbiologia sappiamo che la popolazione di batteri che ospitiamo aale superfici esterne del nostro corpo – tubo digerente e pelle ­– è dieci volte superiore a tutte le nostre cellule.
[4] Lacan è strettamente freudiano quando battezza l’oggetto a “oggetto-causa del desiderio”. Sull’errore del soggetto supposto sapere v. J. Lacan, La méprise du sujet supposé savoir (1967), in Id., Autres écrits, Seuil, Paris 2001, p. 329. Lì Lacan tenta di sortire dall’impasse del contro-transfert proponendo all’analista di “trovare la certezza del proprio atto nella struttura dell’errore del soggetto supposto sapere” (ivi, p. 338). È un passo avanti rispetto a Freud.

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