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C’è dell’Uno

29 Mar 18

A cura di alex.pagliardini

 

A volte sto sveglio la notte e mi chiedo:

Quale è il significato della vita?”

Poi mi arriva una voce che dice:

Sul qui e sul qua l'accento non va”

Charlie Brown

 

 

Premessa

Da alcuni giorni è disponibile nelle libreria il volume L'Uno perverso. L'Uno senza l'Altro: una perversione (Textus Edizioni), a cura di Alessandra Campo, che raccoglie i testi di diversi psicoanalisti (Massimo Recalcati, Franco Lolli, Silvia Lippi, Sergio Benvenuto e il sottoscritto) e di diversi filosofi (Rocco Ronchi, Felice Cimatti, Federico Leoni, Silvia Vizzardelli e la stessa Alessandra Campo).

Il volume, come si evince dal titolo, affronta lo scottante problema dell'Uno. Si tratta di un problema che ha attraversato la storia della filosofia e che Jacques Lacan ha avuto il “merito” di introdurre nella teoria e pratica psicoanalitica. Noi lacaniani da anni “sbattiamo le corna” contro il problema dell'Uno, contro il modo in cui Lacan lo pone. Da un po' abbiamo iniziato anche a scornarci tra noi a partire dal problema dell'Uno. Un giorno sapremo perché e ne sorrideremo. Confido che questo volume sia un primo e decisivo passo in questa direzione. Mi permetto dunque di riportare qui il mio breve contributo. Si tratta di un lavoro molto parziale e molto interno al lacanismo.

 

Tre Uno

All’interno dell’insegnamento di Lacan abbiamo diverse declinazioni del problema dell’Uno. Quello che cercherò di fare in queste pagine è di indicare tre possibili variazioni di questo stesso problema attraverso la nota tripartizione di Lacan. Detto altrimenti cercherò di indicare la versione Immaginaria dell’Uno, la versione Simbolica dell’Uno e la versione Reale dell’Uno. Alcuni riferimenti alla questione del sintomo mi permetteranno di dare qualche riferimento clinico sull’Uno e di accennare inoltre alla perversione. Quello che andrò a proporre è solamente una griglia all’interno della quale muoversi per maneggiare l’Uno. Sarà dunque assente una vera e propria argomentazione e spiegazione degli elementi che andranno a definirla – per questo non ci saranno citazioni, eccetto il passaggio iniziale.

 

Uno Immaginario

Partiamo da un passaggio di Lacan interno a una delle sue lezioni americane del ’66, la conferenza rimasta celebre, almeno per i lacaniani, in quanto vi si trova l'affermazione «l'inconscio è Baltimora all’alba»1.

Il passaggio da cui voglio partire però è un altro. Lacan sta parlando dell'Uno unificante – questa espressione ricorre spesso nel suo insegnamento. Mentre sta parlando dell'Uno unificante Lacan dice: «questa cosa non l’ho mai capita, oltre che psicoanalista sono anche uomo, e in quanto uomo la mia esperienza mi ha mostrato che la caratteristica principale della mia vita umana e, ne sono certo, di quella delle persone presenti – se qualcuno crede diversamente spero che alzi la mano – è che va, come diciamo in francese, à la dérive. La vita segue la corrente di un fiume; ogni tanto tocca la sponda, ogni tanto si ferma un po’ qui e un po’ lì, senza che ci si capisca niente. Il principio dell’analisi è proprio che nessuno capisce niente di quel che succede. L’idea che la condizione umana possieda un Uno unificante mi è sempre sembrata una bugia scandalosa»2. Si tratta di un passaggio molto denso.

Isoliamo un aspetto. Quando Lacan parla dell’Uno unificante parla dell’Uno immaginario. Che cosa è questo Uno immaginario? È l’esistenza di principio organizzatore dell’esperienza e dell’economia pulsionale. Tale principio organizzatore può essere inteso come unità a cui si tende, si tratta allora dell’ideale, in particolare dell’ideale della genitalità. Oppure può essere inteso come unità perduta che ci aspira e risucchia e alla quale nostalgicamente tendiamo.

Lacan considera scandalosa, come visto, l’ipotesi dell’esistenza dell’Uno immaginario, in particolare nella sua versione dell’ideale del buon funzionamento a cui l’essere umano tenderebbe e che organizzerebbe la vita psichica e inconscia. Ritiene al contempo delirante, o meglio concepibile solo in un orizzonte di delirio, l’idea dell’esistenza di un’unità perduta alla quale l’essere umano tenderebbe nostalgicamente, unità perduta che ci aspirerebbe e così facendo ci orienterebbe la vita.

 

Sintomo immaginario

Lacan sostiene che il fatto che tale faccenda dell’Uno immaginario sia una bugia scandalosa e un’idea delirante non esclude che sia operativa e operante nel soggetto. Per dirla in modo molto sbrigativo, possiamo intendere che la vita del soggetto si svolge e si dispiega nel legame con l’Altro. Nelle rotture e nelle faglie che si producono in questo legame di alterità – strutturali e contingenti – si innesta il tentativo di colmare tale faglia, tentativo che chiamiamo sintomo, e che è immaginario in quanto animato dall’Uno unificante e volto all’Uno unificante.

In tale ottica possiamo dire che “siamo malati d’Uno, di voler ridurre l’Altro all’Uno”. Mentre il sintomo come formazione immaginaria è nella nevrosi al sevizio del funzionamento simbolico, dunque dell'implicazione del soggetto nell'Altro, il sintomo perverso è una formazione immaginaria interna ad una logica puramente immaginaria di dominio, cioè diniego, dell'asse simbolico.

 

Uno simbolico

Cerchiamo ora di intendere l’Uno simbolico. Seguiamo ancora questa lezione, nella quale Lacan propone di considerare l’Uno da un’altra prospettiva, non da quella dell’Uno unificante ma quella dell’Uno della numerazione. Lacan scrive questo Uno della numerazione n+1. Dunque possiamo scrivere Uno=(n+1). N+1 si riferisce alla serie dei numeri naturali, è il modo per scrivere questa serie 01234567…n.

A Lacan interessa molto questa scrittura perché ben evidenzia la funzione dell’Uno nella serie. Nella serie l’Uno compare come uno dei numeri della serie, ma ad altro livello, ed è quello che interessa Lacan, l’Uno è: l’Uno che è ogni numero, – e che dunque si ripete e ricorre nella serie –, l’Uno aggiungendo il quale si ottiene il numero successivo – e che dunque si ripete e ricorre nella serie – l’Uno dell’eccezione, cioè il numero che non si conta, a partire dal quale si conta la serie – il fatto che sia il numero 0 è di poco conto per il nostro ragionamento, per il nostro ragionamento è significativo il ruolo dell'un numero che non si conta e attraverso cui si conta.

L’interesse per questa scrittura dei numeri naturali nella quale emerge il ruolo dell’Uno come “modo di contare” e dunque come “ricorrenza” ed “eccezione” che permette il contare, interessa Lacan per una ragione molto semplice, ossia che vi trova l’esemplificazione della sua logica del significante. Che cosa è l’Uno nella logica significante? È l’Uno del “conto per uno”, cioè che ogni significante conta per uno – come un significante –, che ogni significante conta per un significante che non si conta, e infine che manca sempre un significante per completare il conto.

Come spesso accade l’interesse di Lacan rispetto a una formulazione matematica è volto a sottolineare la prossimità con una sua concezione e al contempo a marcare una differenza – che poi spesso è la solita e sola differenza.

La scrittura Uno=(n+1) rende ragione solo in parte della funzione dell’Uno nella logica significante, cioè nel simbolico, vale a dire nell’Altro. C’è una complicazione. La logica significante è complicata dal fatto che si istituisce innestandosi nel vivente.

Dobbiamo dunque applicare una formula: l’incidenza del significante nel vivente istituisce la logica significante la quale cancella l’incidenza che la istituisce.

Diciamo allora che l’incidenza del significante nel vivente è Uno – questo è un punto decisivo. Tale incidenza, tale Uno, istituisce la logica significante, la catena significante, n+1 (cioè l’Altro, che dunque evidentemente è un Altro profondamente segnato dall’Uno), che cancella retroattivamente l’Uno che l’ha istituita. Da quel che sto dicendo risulterà evidente che l’interesse di Lacan per la scrittura Uno=(n+1) è anche relativa alla possibilità di intendere a partire da questa il ruolo e la funzione dell’Uno nell’Altro.

Abbiamo dunque:

a) incidenza del significante nel vivente (scriviamo tale incidenza come Uno o come S1);

b) istituzione della catena significante, della logica significante, cioè dell’Altro e del soggetto (scriviamo S1-S2 e $) che cancella, rimuove, S1 (l’Uno);

c) S1 cancellato non può non essere presente in S1-S2 $, cioè l’Uno non può non essere presente nell’Altro (e nel soggetto da questo determinato). S1 non può non essere presente in quanto è ciò che fonda S1-S2 $. Allo stesso tempo, e per la stessa ragione, S1 non può essere presente in S1-S2 $ come uno dei termini di questo sistema-funzionamento-soggettività.

Uno nell’Altro

Allora la domanda che tormenta Lacan e a partire dalla quale muove la sua riflessione è: come è presente l’Uno nell’Altro? E cioè, come è presente S1 (l’incidenza significante) nella catena significante (S1-S2 $)?

Possiamo subito dire che è presente come ciò che manca nella catena significante, nell’Altro, come significante in meno, come -1. L’incidenza significante istituisce l’Altro e dunque il soggetto, un Altro barrato e un soggetto barrato, cioè mancanti, attraversati da una mancanza, dalla mancanza di un significante, dal -1. Questa barra, questo -1 è il come è presente l’Uno dell’incidenza significante nel rapporto Altro-soggetto che istituisce.

Ho scritto ‘istituisce’ perché non si deve commettere l’errore di pensare che questa logica della genesi dell’Altro e del soggetto si compia una volta sola, o una volta per tutte. Bisogna pensare, e non è facile farlo bene, che questa genesi si compie sempre, si sta sempre compiendo. Un modo per pensare ciò è intendere questo meccanismo come sempre in atto. Abbiamo subito una conseguenza, su cui Lacan ha molto insistito. Ossia che il -1 si ripete, si ripete incessantemente nel funzionamento dell’Altro e dunque del soggetto. La ripetizione del -1, cioè del significante che manca, è il tratto unario. Possiamo dunque iniziare a scrivere con S1-S2 la catena significante e con S1S1 il tratto unario che sempre si ripete nella catena significante. Un significante rimanda a un altro significante, questa è la definizione minima di significante, dunque S1→S2→S3→Sn. Nel fare ciò però, dall’altro verso potremmo dire, ogni significante ripete la cancellatura di S1 iniziale, dunque produce -1, determinando la ripetizione di ciò, ripetizione di ciò che è il tratto unario.

Possiamo scrivere S1S2S3S4 come catena significante, la quale inevitabilmente è anche S1S1S1S1 ossia ripetizione del significante Uno, quello dell’incidenza significante, cancellato. Non bisogna fare l’errore di pensare che il tratto unario sia un significante particolare. Il tratto unario è che tutti i significanti sono un significante, e cioè da un lato si concatenano ma dall’altro, e proprio nel fare ciò, ripetono la cancellatura di S1 iniziale. La scrittura S1S1S1 indica proprio la ripetizione del significante che manca, dunque tale ripetizione è proprio per questo il tratto unario. Ripeto, tutto ciò ci deve far capire che tutti i significanti nel loro concatenarsi, da un lato nel far ciò producono senso e significazione dall’altro al contempo producono e ripetono S1S1S1S1.

Detto altrimenti la catena significante produce la ripetizione e la ricorrenza del significante che manca ripetizione e ricorrenza che altro non è che la presenza dell’S1 iniziale – quello dell’incidenza – cancellato nella catena, il come è presente S1 iniziale cancellato nella catena. Tale ricorrenza e ripetizione possiamo scriverla S1S1S1S1 – questo è il tratto unario, è l'Unario di cui parla Lacan.

 

Sintomo simbolico

In questo sistema il sintomo si configura come una sostituzione significante. Il soggetto diviso dispiegato nel sistema significante incontra all’interno di questo “l’Uno di troppo”, un significante particolare, fuori catena, sganciato dagli altri, che incarna la ripetizione del -1, cioè del tratto unario. Tale significante viene chiamato da Lacan ‘significante del trauma’. Il sintomo consiste nella sostituzione di questo con un altro significante – che corrisponde al rimosso e ritorno del rimosso di Freud –, cosa che produce una coppia fissa di due significanti – il che dà vita a un’anomalia ripetuta nel sistema significante, cioè al sintomo. Questa coppia – il sintomo – sorge dunque come effetto della risposta del soggetto al problema del -1 – della sua ripetizione che è l’Unario e della presentificazione di ciò che è il trauma – con cui si trova alle prese. Il sintomo è un modo per assicurare il -1, cioè per localizzarlo e dargli una certa consistenza e al contempo un modo per assicurarsi dal -1, cioè per non essere appesi e sospesi alla sua ripetizione. Sto qui parlando del sintomo nevrotico. Il sintomo perverso, la logica del sintomo perverso, si iscrive all'interno di questo “meccanismo”, determinando però una radicale variazione, ossia il diniego del -1 e non il suo mantenimento assicurato.

 

Uno reale

 

Fino ad ora abbiamo seguito Lacan nel tentativo di intendere l’Uno nell’Altro, ossia il taglio significante, l’incidenza significante, il trauma, nella catena significante da ciò istituita, nel rapporto Altro-soggetto così istituito.

Abbiamo seguito Lacan nel suo intendere l’Uno a partire dall’Altro, cioè a partire da come è nell’Altro. Lacan dà molto valore all’Uno, al suo ruolo fondativo e al suo ripetersi. Allo stesso tempo è fortemente convinto che questo Uno non sta che nell’Altro e che dunque è nell’Altro e solo nell’Altro che possiamo reperirlo, intenderlo e maneggiarlo.

Ebbene quando Lacan afferma c’è dell’Uno afferma che ha deciso che le cose non stanno così, ossia che occorre dire, pensare, maneggiare l’Uno in sé, l’Uno tutto-solo, e non più – o meglio non solo – sempre e solo l'Uno a partire e attraverso l’Altro.

C’è dell’Uno afferma: c’è l’incidenza in sé, il taglio in sé, la marchiatura in sé. In sé vuol dire che l’incidenza non è che incidenza, che il taglio non è che taglio, che la marchiatura non è che marchiatura.

Ma incidenza, taglio, marchiatura, operati da chi? Occorre rispondere: operati da nessuno. Ma incidenza, taglio, marchiatura, agiti su chi? Occorre rispondere: agiti su niente.

Non si tratta più di intendere e maneggiare “chi taglia chi” e “che cosa taglia cosa” ma di intendere e maneggiare che c’è taglio, c’è marchiatura, c’è incidenza che sta sempre accadendo e sta sempre accadendo sempre e solo come tale, cioè come taglio, marchiatura, incidenza. Questo è l’Uno reale, questo è “c’è dell’Uno”.

Questo costringe a uscire dall’idea che c’è taglio del significante – cosa da noi stessi affermata in queste pagine, ma che appunto è valida solo per l’Uno simbolico. Questo costringe anche a superare l’idea che con questo Uno si sta affermando che c’è taglio della lalingua – operato dalla lalingua. Occorre così affermare che c’è taglio, c’è marchiatura, c’è incidenza, e il prendere corpo di ciò è lalingua – Un-corpo – ed è la sostanza godente – Un-corpo.

 

Sintomo reale

Procediamo in modo molto schematico. Abbiamo il taglio in sé, la marchiatura in sé, il c’è dell’Uno, l’Uno-tutto-solo (momento logico 1a). Poi abbiamo la deposizione e fissazione di ciò, che è il sinthomo – ecco il reale del sintomo (momento logico 1b). Ecco che il reale del sintomo è automatico, cioè casuale e senza implicazione del soggetto.

A questo momento segue la risposta a tutto ciò, cioè la negativizzazione di questo e la sua implicazione nell’Altro. Qui sorge il soggetto. A questo punto, e solo a questo punto, siamo nell’asse simbolico (momento logico 2). Pertanto solo nel momento 2, momento in cui c’è la differenza tra e non solo la differenza in sé del momento 1, esistono appunto ‘distinzioni tra’, e possiamo dunque parlare di sintomo nevrotico, di sintomo perverso ecc…

Dunque la perversione come categoria diagnostica – come ogni categoria diagnostica, così come ogni ‘differenza tra’ – sta solo nel momento 2 e non ha niente a che fare con l’Uno reale – che sta nel momento 1. Se invece intendiamo la perversione come figura concettuale, siamo in prossimità dell'Uno reale? Cioè se intendiamo la perversione come Sade e non come sadismo, come sadiana e non sadica ci troviamo nei pressi del momento 1 o nei pressi del momento 2? La questione si fa più complessa. In prima battuta però, se stiamo a quel che Lacan dice di Sade, ci troviamo al cospetto di una volontà di accedere al reale, all'Uno reale, cosa che di per sé indica la negazione – ancora diniego – del reale, dell'Uno reale.

 

1 J. Lacan, Of structure as an inmixing of an otherness. Prerequisite to any subject whatever, in Richard Macksey & Eugenio Donato, The Languages of Criticism and the Sciences of Man, Johns Hopkins University, Baltimore, 1970, p. 188. (Traduzione italiana di Sabina Terziani)

2 Ivi, p. 189.

 

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