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LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: UN’INTRODUZIONE

10 Mag 18

Di mariazaccagnino

Per comportamento di attaccamento si intende qualsiasi forma di comportamento che porta una persona al raggiungimento o al mantenimento della vicinanza con un altro individuo differenziato e preferito, considerato in genere come più forte e/o più esperto. […] Il comportamento di attaccamento caratterizza l’essere umano dalla culla alla tomba. È con queste parole che John Bowlby definisce l’attaccamento, costrutto di cui è l’ideatore, nella celebre opera Costruzione e rottura dei legami affettivi (1982). L’attaccamento rappresenta, infatti, il legame che si istaura, fin dalla nascita, tra il bambino e chi si prende cura di lui e che si mantiene per tutto l’arco della vita, fino per l’appunto alla “tomba”. In particolare il bambino, dal primo anno di vita, inizia a manifestare una serie di comportamenti, sia di segnalazione (pianto, sorrisi e vocalizzazione) che di avvicinamento (gattonare, aggrapparsi al genitore), al fine di raggiungere il caregiver e stargli, così, vicino; è possibile affermare quindi che il bambino possieda una predisposizione innata, su base biologica, a sviluppare una relazione significativa verso quelle figure che gli forniscono non solo nutrimento ma sopratutto cura e calore.


 

Nella formulazione del legame di attaccamento, Bowlby si è ispirato, tra gli altri, ai contributi etologici di Lorenz sull’imprinting (1935) e agli esperimenti condotti sui macachi rhesus da Harlow (Harlow e Zimmermann, 1959). Entrando nel merito dei lavori citati, Lorenz notò che i cuccioli di anatroccolo, appena nati, seguivano la prima cosa in movimento che vedevano, fosse essa la madre, un essere umano, una scatola di cartone o persino un pallone (Bowlby, 1969). Tale evidenza ha portato ad ipotizzare l’esistenza di un legame che implicasse una richiesta di vicinanza che andasse oltre il semplice bisogno di nutrimento, come è stato riscontrato anche negli studi condotti da Harlow; infatti le scimmie neonate, separate dalla madre poche ore dopo la nascita e allevate in un contesto di laboratorio, preferivano trascorrere il tempo con un madre fantoccio ricoperta da una stoffa soffice e pelosa, in grado di offrire loro calore, piuttosto che quella costituita da solo ferro, a cui era appeso un biberon da cui nutrirsi.

Un altro dato importante, emerso dallo studio di Harlow, è che il legame che i cuccioli di macaco sviluppavano con il fantoccio più soffice e caldo era tale che, nel momento in cui gli sperimentatori mostravano loro uno stimolo pauroso (un pupazzo), essi cercavo protezione aggrappandosi a questo, riuscendo così a calmarsi e a tornare ad esplorare l’ambiente dopo poco tempo; il sostituto materno ricoperto di tessuto costitutiva, così, un rifugio sicuro in cui le piccole scimmie spaventate potevano trovare conforto e protezione. Tale meccanismo è proprio anche dell’essere umano, come riscontrato da Bowlby nei suoi numerosi contributi: la madre, infatti, rappresenta per il bambino un’importante fonte di protezione e di sicurezza oltre che di nutrimento e, in questo senso, il comportamento di attaccamento si attiva proprio nel momento in cui il bambino sperimenta una situazione di pericolo e di minaccia, terminando poi nel momento in cui viene ripristinato il suo stato di sicurezza. Sulla base di ciò, è possibile affermare che il legame di attaccamento assolva due importanti funzioni: da un lato la ricerca ed il raggiungimento di una protezione dai pericoli e dall’altro la funzione psicologica di garantirsi sicurezza e ottenere conforto dalle figure di riferimento.

In questo quadro acquista un’importanza fondamentale il concetto di base sicura, introdotto dallo psicologo britannico nel 1969, e cioè l’idea che la madre e soprattutto la relazione che con lei si instaura costituiscano per il bambino la base sicura dalla quale partire per esplorare il mondo e nella quale far ritorno per ricevere conforto e cura, nel momento in cui viene avvertito un pericolo o una minaccia da parte del mondo esterno.

Affinché la figura materna possa ricoprire tale ruolo, tuttavia, è necessario che sia disponibile a cogliere i segnali di paura e disagio manifestati dal bambino e che sia pronta ad offrirgli, poi, conforto e accudimento. In questo senso la sensibilità e la responsività della figura di riferimento verso i bisogni emotivi e fisici del bambino sono fondamentali per lo sviluppo delle abilità sociali e della capacità di regolazione emotiva. Tale affermazione assume maggiore rilevanza alla luce del fatto che, secondo la teoria proposta da Bowlby (1982), il comportamento di attaccamento è guidato da rappresentazioni cognitive interne, definite Modelli Operativi Interni (MOI) che si formano all’interno della relazione caregiver– bambino. Nello specifico, a seconda del tipo di risposta che il bambino riceve dai suoi genitori, nel momento in cui chiede loro aiuto e protezione, organizza un’insieme di aspettative e memorie che lo guidano nella costruzione dell’immagine che ha di sé stesso ed allo stesso tempo dell'altro. Pertanto, a partire da tali modelli, che vengono progressivamente interiorizzati, il bambino si crea delle aspettative non solo rispetto alle future interazioni che intratterrà con gli altri ma anche rispetto alle risposte che si attenderà negli scambi relazionali e comunicativi con loro (Bowlby, 1973).

Sulla base, quindi, delle modalità di cura ricevute, il bambino potrà sviluppare diversi pattern di attaccamento, definiti per la prima volta da Mary Ainsworth, dopo aver coniato il paradigma sperimentale della Strange Situation Procedure (SSP). Entrando brevemente nel merito di questa procedura, essa prevede che il bambino, tra i 12 ed i 18 mesi, ed il suo caregiver vengano introdotti in una stanza con dei giocattoli e che siano esposti, progressivamente, ad otto episodi di circa tre minuti ciascuno, in cui si alternano la presenza e assenza del caregiver e di un osservatore sconosciuto. L’obiettivo della Strange Situation è, quindi, mediante il ricorso a momenti di separazione e riunione, quello di sottoporre il bambino ad una condizione di stress moderato ma crescente nel tempo, al fine di mettere in luce i suoi comportamenti di attaccamento verso il genitore (Riva Crugnola, 2012) ed anche i Modelli Operativi Interni interiorizzati da lui nel suo primo anno di vita.

Sulla base di ciò, tale procedura permette di identificare tre tipologie di pattern di attaccamento: sicuro, insicuro evitante, insicuro ambivalente (Ainsworth, Blehar, Waters, & Wall, 1978).

  • Attaccamento sicuro: i bambini che presentano un attaccamento sicuro, ritengono la madre una “base sicura” per le loro esplorazioni, avendo acquisito fiducia rispetto alla sua disponibilità ed accessibilità in caso di bisogno. Pertanto questi bambini hanno una rappresentazione di sé come degni d’amore e dell’altro come degno di fiducia, poiché disponibile e pronto a rispondere alle loro richieste di aiuto e di conforto. Tali rappresentazioni sé-altro, permettono ai bambini, durante la SSP, di esplorare attivamente l'ambiente con la presenza rassicurante della madre, di protestare in caso di separazione da lei, ma di essere facilmente consolati nel momento della riunione.

  • Attaccamento insicuro evitante: i bambini che sviluppano un attaccamento insicuro evitante, invece, hanno sperimentato, nel primo anno di vita, una madre poco sensibile e disponibile alle richieste di attaccamento, che li ha portati a vedere sé stessi come non degni di cure e l’altro come non disponibile nel caso di bisogno. Sulla base di tali rappresentazioni dunque, durante la SSP, essi mostrano indifferenza rispetto alla separazione dalla figura di attaccamento ed evitano il contatto fisico ed emotivo con questa nel momento della riunione; i bambini, infatti, tendono a minimizzare le emozioni negative e a non esprimerle, spostando l’attenzione sui giocattoli presenti nella stanza. Nonostante però il ricorso a questa strategia di autoregolazione e l’apparente tranquillità manifestata, è stato dimostrato che i bambini evitanti presentano, nel corso degli episodi salienti della Strange Situation, un livello di stress maggiore rispetto a quelli sicuri, rilevato mediante la misurazione della frequenza cardiaca e del tasso ematico di cortisolo (Spangler e Grossmann, 1993). Pertanto è come se il bambino avesse imparato a “disattivarsi”, sapendo che l’adulto non può fungere da regolatore delle emozioni che prova né tanto meno rispondere ai suoi bisogni di cura e accudimento.

  • Attaccamento insicuro ambivalente. I bambini che presentano questa tipologia di attaccamento, invece, hanno esperito una madre intrusiva ed iper-controllante, spesso imprevedibile nel rispondere alle loro richieste. Durante il paradigma della Strange Situation, quindi, i bambini insicuri-ambivalenti tendono a protestare vivacemente nel momento della separazione dalla madre e a resistere ai suoi tentativi di consolazione durante il ricongiungimento con essa, continuando a piangere e rifiutandosi di tornare ad esplorare l’ambiente. In altre parole, non potendo vivere la madre come "base sicura" e non avendo la garanzia di una sua costante disponibilità ed attenzione, tali bambini hanno imparato a richiedere in modo eccessivo (molto e/o frequentemente) per essere sicuri di ottenere almeno un po' di quello di cui hanno bisogno.

Alcuni anni dopo la classificazione di tali pattern, Main e Solomon (1986) notarono, da parte di alcuni bambini, la messa in atto, durante la SSP, di comportamenti che non trovavano una classificazione nei tre stili sopra riportati, come nei casi di congelamento (freezing) quando il genitore rientrava nella stanza. Così gli autori hanno introdotto e definito una quarta categoria: l’attaccamento disorganizzato/disorientato; i bambini che sviluppano questa tipologia di attaccamento hanno, solitamente, madri con una storia personale difficile, spaventate e/o spaventanti, più sintonizzate sui propri bisogni che su quelli del proprio figlio, verso il quale mostrano comportamenti incongruenti. A causa di questi atteggiamenti, il bambino si creerà delle rappresentazioni molteplici, dissociate e frammentate di sé stesso e dell’altro, tanto da essere esposto, in adolescenza, ad una più alta probabilità di sviluppare patologie di tipo dissociativo (Riva Crugnola, 2012).

Alla luce di quanto esposto, è possibile affermare che esista, quindi, uno stretto legame tra le prime esperienze relazionali vissute del bambino e il suo successivo sviluppo affettivo, psicologico e sociale; nello specifico la responsività e la disponibilità del genitore rispetto ai bisogni manifestati dal proprio figlio sembrano assumere, in questa prospettiva, un ruolo rilevante non solo per la capacità di regolare le emozioni, ma anche per la formazione di modelli sé-altro che permettano al bambino di avere fiducia negli altri e, quindi, di sviluppare relazioni sociali adeguate.

In tale cornice teorica dunque, come scrive lo stesso Bowlby (1979), assume una rilevanza fondamentale, all’interno della relazione con il caregiver, l’essere riconosciuti nel proprio “bisogno di essere amati, di essere desiderati, voluti, nutriti d’amore, accettati per quello che si è”.

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  1. admin

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