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Ragazzi e giovani violenti a scuola

11 Mag 18

A cura di dinange

"Ohé! Non è che potete fare tutto quello che volete!“
(esclamazione di una docente di scuola media
di fronte ai suoi allevi irrequieti)

 


Un pedagogista, Franco Nembrini[1], intervenendo implicitamente (vedi video qui sotto) nella diatriba che ha opposto nelle settimane passate Michele Serra e alcuni suoi interlocutori, mostra in maniera lampante come sia le posizioni dell’uno che quelle degli altri guardano all’albero degli attuali conflitti intergenerazionali, dimenticando la loro perpetua iterazione nella plurimillenaria foresta del tempo.
Anche se poi, a mio modo di vedere, i conflitti fra generazioni nella foresta del tempo in cui le varie culture prendono vita non sono mai stati uguali a se stessi, ma hanno assunto di volta in volta i connotati cultural-specifici che ogni società in certo qual modo ‘suggeriva’.
 Quindi se il pedagogista può tirare avanti accontentandosi della bellissima battuta finale del rettore (Piantiamola di farci del male. L’educazione è un casino, va bene?! Ma è così da mo’!!!), noi psicoterapeuti non possiamo farlo, ed anzi siamo obbligati a cercare di vedere cosa c’è dietro il conflitto intergenerazionale attraverso una duplice ricerca che miri da una parte a comprendere il perché di questa perenne iterazione, dall’altra a cogliere gli elementi di specificità che il conflitto intergenerazionale assume col passare delle generazioni, delle culture, e – perché no – come esso si presenta in un determinato momento storico all’interno della varie classi sociali; che poi è quello che hanno tentato di fare Michele Serra e i suoi interlocutori.
In questo post a me preme mettere in evidenza gli elementi di specificità metropolitana, cioè nostra che tanto preoccupano gli addetti ai lavori e la gente comune. Ma non posso omettere ciò che da Van Gennep in poi è stato messo a fuoco sugli aspetti invarianti del fenomeno.
Secondo Van Gennep il passaggio dall’infanzia, come ogni passaggio, suscita una duplice e contrapposta angoscia: quella della comunità degli adulti di trovarsi di fronte ad una generazione che emerge, e che non pare disposta ad accettare i valori della tradizione, e quella degli ex-bambini che intuiscono di trovarsi di fronte ad una svolta che non si sa bene dove possa portare.
Per fronteggiare questa duplice angoscia ogni società cerca di cerimonializzare questo, come del resto ogni passaggio, scandendolo in tre step: cerimonie di uscita dall’infanzia – permanenza dei non più bambini in uno stato di margine – e cerimonia di ingresso del neofita nell’età adulta. Nelle società semplici tutto il passaggio era molto scandito, racchiuso in un tempo breve, e presieduto o da tutta la comunità adulta o da “sacerdoti del passaggio” da questa delegati a presiederlo.
Vari etnologi e psicoanalisti hanno poi confermato la fondatezza e la universalità del fenomeno: cito fra tutti la Calame Griaule che intravede in ogni cerimonia di passaggio all’età adulta questi elementi: a. l’essere sottoposti a prove fisiche; b. la presenza di insegnamenti sul piano religioso, sociale, sessuale, linguistico; la rivelazione dei segreti della vita; c. l’annullamento dei segnali di ambiguità sessuale (cioè la genitalizzazione sotto il segno della differenza); d. la mimesi di una morte e una rinascita come pantomime che alludono al parto; e. e infine la reintegrazione nella società sotto il segno del ri-apprendimento.
 
Ora se noi passiamo dal generale al particolare, e cioè a quella che abbiamo definito l’adolescenza metropolitana autoctona di oggi, a prima vista risulta difficile riconoscere nelle modalità attuali secondo le quali viene cerimonializzato oggi il passaggio nella nostra cultura le coordinate cui si riferisce la Calame Griaule. Le ragioni sono nel prolungamento dei tempi del passaggio dovuto alle più ampie e impegnative esigenze di formazione, e nel fatto che gli adulti mediamente risultano scarsamente autocoscienti delle funzioni “sacerdotali” da essi oggettivamente svolte. 
Eppure a bene vedere è possibile riconoscere anche oggi, nei confini oltremodo dilatati nel tempo che lo caratterizzano, la presenza di un percorso cerimonializzato. Lo rileviamo nella modalità oltremodo specifica che l’adolescente odierno ha per risolvere il problema del clivaggio dentro di sé degli elementi maschili e femminili; nella propensione a marcare il proprio corpo con segni corporali indelebili e a sottoporsi a prove che mettono spesso a rischio la propria sopravvivenza, etc.- così come nella oggettiva istituzione dei docenti e di tutto l’ecosistema adulto che è in rapporto con l’adolescente come un corpus sacerdotale che presiede e attesta (spesso senza alcuna autoconsapevolezza) l’avvenuto passaggio.
È per questo che, come acutamente rilevato da Le Breton, oggi il percorso cerimonializzato si biforca e, a fianco alle cerimonie ufficiali presiedute da adulti scarsamente coscienti del ruolo sacerdotale da essi svolto, nascono – quasi a sottolineare un’intima esigenza del giovane alla cerimonializzazione del passaggio all’età adulta – quelle cerimonie intime parallele alle cerimonie presiedute dagli adulti di cui parla Le Breton.
Così come è possibile scrutare più a fondo per cercare di comprendere di quale soggetto parlando: e cioè se ancora sia possibile riconoscere nell’adolescente metropolitano di oggi il profilo di Edipo o, come vanno dicendo da tempo vari colleghi, se quello che abbiamo di fronte non abbia le specifiche caratteristiche di Narciso. Se cioè fin dalla nascita il bambino viene vissuto come un “vortice istintuale” da domare e da educare (ex-ducere!) sotto il segno della colpa; oppure se in esso è possibile intravedere un soggetto pieno di ogni grazia di dio che bisogna solo assecondare nelle sue enormi potenzialità.
Perché, se è vero – com’è vero – che ormai da più di una generazione noi stiamo tirando su dei Narcisi (ovviamente al maschile e al femminile, con tutte le differenze del caso), allora dobbiamo essere coscienti del fatto che coloro che ora si trovano a percorrere in processione questo lungo passaggio prima d’ora ne hanno attraversato degli altri, ognuno dei quali, soprattutto durante l’infanzia, ha contribuito a rafforzarli in questa presunzione di grandiosità. Provo ad elencarli, prendendo in considerazione solo le situazioni ottimali in cui può crescere il novello Narciso, e cioè tralasciando le situazioni più problematiche, che in ogni caso vanno inquadrate – così come quelle più schiettamente patologiche – all’interno di questo quadro.
Mi riferisco innanzitutto alle fantasie condivise che la coppia genitoriale odierna fa di fronte alla prossima nascita del figlio o della figlia[2] che, come quelle immediatamente successive alla nascita che vedranno coinvolto anche tutto il parentado, sono incentrate su attese di tipo quasi messianico. Ciò fa si che nella dialettica ‘personaggio temuto’ \ ‘personaggio amato’, che prelude alla istituzione dentro al bambino del Super Io e dell’Ideale dell’Io, quest’ultimo elemento tenda ad assumere un posto preminente all’interno del costituendo teatro rappresentazionale.
La eventuale frequenza del nido, e la quasi certa frequenza di una scuola per l’infanzia quasi sempre solidificano questo assetto poiché le educatrici, così come i genitori, sono cresciute esse stesse in un clima in cui la dialettica Super-Io \ Ideale dell’Io si è risolta così come ora tendono a perpetuare nella loro pratica educativa.
Sembrerebbe a prima vista che l’ingresso in latenza, l’impatto con la scuola elementare e con la selezione meritocratica possano imporre un limite e favorire l’emergere di un Super Io che spinga verso un ridimensionamento delle attese grandiose del bambino e del proprio contesto familiare, ma ciò non avviene sia per gli equivoci in tema di informalità che persistono in scuola elementare (ma a volte anche più avanti) sul piano del rapporto docente  e bambino  discente, sia perché l’ambiente familiare e in particolare i genitori continuano ad alimentare le attese messianiche, anche di fronte all’insuccesso più eclatante e alla mancanza di disciplina più evidente. È importante segnalare in proposito tutto il colossale equivoco cui si assiste sul piano dell’ipercinesi e dei disturbi di attenzione, che se da una parte possono testimoniare la fatica che molti bambini (maschi) fanno ad accettare anche le regole minime in base alle quali ‘quel luogo’, la scuola, si istituisce come scuola, dall’altra ci permettono di capire come anche quei bambini (in prevalenza le femmine) che le accettano lo fanno più in base ad un rispecchiamento narcisistico con le maestre che su base superegoica.
Il passaggio poi alla preadolescenza e all’adolescenza da una parte comporta una ancor più massiva presenza dell’Ideale dell’Io sul ‘vecchio’ palcoscenico del teatro rappresentazionale: un personaggio che oggi però diventa sempre più megalomanico e disposto ad assumere i cangianti panni del Personaggio Eroico di turno (Angelini, Bertani) che i media e le aspirazioni proprie della classe di appartenenza suggeriscono (e questo è il solo aspetto che Michele Serra ei suoi detrattori vedono); dall’altra, e spesso all’improvviso, un impatto con i propri limiti che la scuola ora impone.
Ed è questo che il ragazzo e il giovane non riescono a sopportare, e in certi casi neanche a vedere soprattutto nei casi in cui l’afosa presenza in scena del Personaggio Eroico ha contribuito a liofilizzare il senso del limite, a non vivere la dimensione della colpa, e a continuare ad eludere, come l’età in certo quel modo impone e la famiglia continua spesso a disporre, l'ingresso in scena dell’istanza superegoica.
In questa situazione chiunque fuori casa sia testimone della presenza del limite, della colpa, etc. va attaccato e distrutto; chiunque lo faccia in casa viene raggirato e deriso. E se per caso la voce o la semplice presenza del Super Io dovesse emergere – contro ogni ostracismo ed ogni negazionismo – su quel palcoscenico interno ecco che alla prosopopea del Personaggio Eroico potrebbero seguire la vergogna e l’autodistruttività.
 
Un’ultima nota sulla post-adolescenza, cioè su quello che per molti giovani d’oggi è un ingresso postumo nell’età adulta: la precarizzazione del lavoro e la nascita della famiglia lunga (Scabini) hanno profondamente inciso anche su quest’ultima fase del lunghissimo cerimoniale che accompagna il giovane nel mondo dei grandi.
Quando Edipo compiva quest’ultimo passo il personaggio megalomanico che anche nel suo caso aveva imperato in adolescenza lentamente cedeva il passo a quello che era il redivivo Super Io che aveva imperato in lui o in lei ancor prima, e cioè per buona parte dell’infanzia e della fanciullezza. Era il riemergere di questa presenza che forniva un sostegno prezioso al neo-adulto affinché rinunciasse ai sui sogni adolescenziali e si accontentasse di essere abitato da presenze meno pretenziose e molto utili per affermazione sul piano della vita adulta.
Narciso intanto, come abbiamo appena visto, non ha mai dialogato seriamente con queste parti; anzi, proprio non le conosce, e se le scopre fuori di sé è abituato a “mettere mano alla rivoltella”! E questo già non aiuta. Ma c’è un altro impedimento che a mio avviso spesso risulta essere più decisivo nel rendere oltremodo penoso questo momento al Narciso neo-adulto: la grossa incertezza che aleggia fra un lavoretto e l'altro, e che è questa: sono entrato o meno nel mondo adulto? (Laffi); se cioè il suo lavoro è sufficientemente in grado di permettergli di vedersi e programmarsi nel futuro, e se conseguentemente la sua propensione alla vita di coppia poggia su qualche fondamento certo.
È per questo che secondo me poi, di fronte all’enorme stuolo di narcisi (cioè di personalità anaclitiche), quello che io chiamo il residuo anancastico, che ha da sempre molta più confidenza col Super Io edipico e riparativo, nel mondo del lavoro ha sempre partita vinta, e in quello degli affetti più capacità di tenuta.
 
Bibliografia
 
  • Angelini L. Bertani D., Il personaggio eroico in adolescenza, in: Angelini, Bertani (a cura di), 2005, “L’adolescenza nell’epoca della globalizzazione, Unicopli, Milano
  • Calame Griaule G., cit. in: Jeammet Ph., 1992, Psicopatologia dell’adolescenza, Roma, Borla
  • Laffi S., 1999, Il furto: mercificazione dell’età giovanile, L’ancora del mediterraneo Ed., Napoli
  • Le Breton D., 1999, Signes d’identité. Tatouages, piercings et autres marques corporelles, Paris, Métailié
  • Scabini E.., 1997, Giovani in famiglia fra autonomia e nuove dipendenze, Vita e Pensiero, Milano,
  • Van Gennep A., 1981, I riti di passaggio, Boringhieri, Torino
 

[1] Rettore dell’Istituto “La traccia” di Bergamo
[2] tenendo presente che le nuove possibilità offerte dagli sviluppi della tecnologia della gestazione possono far nascere le più disparate fantasie di coppia etero, omo, e chi più ne ha più ne metta!

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