VOCI DAL SILENZIO
Messaggi in bottiglia agli/degli Specializzandi in Psichiatria
di La Primula Rossa

BELLI E PERDUTI: NOI SPECIALIZZANDI SENZA PATRIA

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14 maggio, 2018 - 21:45
di La Primula Rossa

Ambulatorio di Psichiatria, quasi fine del secondo anno di Specializzazione.
 
Oggi ho visitato Luca insieme al dott. S.
Luca è un ragazzo di 19 anni, anche se sembra molto più giovane, è bello, magro, dai capelli rossicci e lo sguardo ferito. Appena entra in ambulatorio si siede curvo, come volesse rannicchiarsi su se stesso, il suo corpo guarda l’angolo del muro, così da permettermi di vedere il suo volto a tre quarti, mentre gelosamente ne conserva una parte per sé. Guarda in basso, giocherellando con le dita, i suoi lineamenti sono malinconici, come i suoi occhi verdi che chiamano a raccolta i ricordi mentre parla delle cose che non vanno a casa, esprimendo, tuttavia, il desiderio di tornarci. Ora è in comunità e il fratellino rischia la stessa sorte. Da alcune frasi, tra le poche pronunciate, sembra sia un ragazzo intelligente e già saggio. Qua e là, il dott. S. gli strappa un sorriso, si percepisce che tra loro c’è intesa, un bel rapporto. Il dott. S. mi chiede di dargli un appuntamento per vederlo da solo nei prossimi giorni e raccogliere un’anamnesi approfondita, così Luca mi lancia un’occhiata di indifferenza, poi saluta senza guardarmi. Comprendo.
Uscito Luca, il dott. S. accenna qualcosa sulla costituzione del Sé e comprende che sono interessato, ma anche che non afferro pienamente, allora alza gli occhi con tenerezza ed io percepisco il vuoto nel mio sapere, mentre sottobanco, a bassa voce, come per non farsi sentire dai bastioni dell’accademia, di cui lui non fa parte, mi riempie la testa in una discussione che deraglia sempre di più su ciò che dovrei leggere. Non so da dove iniziare, se da Melanie Klein o da Russell Meares. Forse dovrei ripartire da un po’ di storia sull’inconscio e comprare Ellenberger oppure riprendere Jaspers, che mi sono fermato solo a pagina 55, visto che nessuno mi ha mai chiesto di preparare un Power Point su Psicopatologia Generale. Esco confuso, come se avessi acquistato delle sostanze stupefacenti da portare a casa e nascondere nel cassetto il prima possibile. Eppure succede spesso che in contesti ufficiali si sentano nomi altisonanti di psichiatri che hanno fatto la storia e costruito un sapere, ma l’antifona è sempre la stessa: se ci tenete, leggete e studiate, che è importante. Ed ecco noi specializzandi: una folta schiera di autodidatti confusi.
Col passare dei giorni, di tanto in tanto, penso a Luca, a quella indifferenza così sottile e pungente, penso a quante volte i pazienti ci guardano con sufficienza o disprezzo. Sulla PANSS c’è l’item “ostilità” e anche “mancanza di cooperazione”; e alla “depressione”, invece, che punteggio darei? Per quanto tempo sarà stato buttato sul letto senza uscire né mangiare, piangendo e pensando alla morte, mentre la madre si sballava? Sicuramente su “disturbo del controllo degli impulsi” dovrei dargli un punteggio alto: Luca ha rischiato di ferire il fratello perché non faceva silenzio. Il dott. S. fortunatamente non mi ha chiesto un punteggio, non credo lo avrebbe mai fatto, è un bravo medico, peccato che nessuno lo sopporti e debba stare attento a parlarne troppo bene, perché potrei aizzare sentimenti ostili ed essere travolto dalle faide interne alla Struttura.
Pensieroso, trascorro i giorni: mi sento inadatto, mi rendo conto che Luca, con la sua giovinezza e la sua malinconia, mi mette in difficoltà più di quanto non pensassi. Penso a quel saluto negato, alla sua dichiarazione di indifferenza, di distanza tra il mio mondo e il suo. Mi chiedo se sarò in grado di rompere quel muro di cemento armato e comprendere cosa c’è che non va. Così provo a cercare nei meandri della mia formazione universitaria qualcosa di adeguato, che mi suggerisca una strada per comprendere senza abbandonarmi troppo alle mie fragilità, ai miei pregiudizi o anche soltanto a ciò che l’intuito mi suggerisce. In quei meandri non trovo nulla, adesso che ci penso, è tutto lasciato al mio eventuale savoir faire, alla mia empatia, che poi, in fin dei conti, se ce l’ho o non ce l’ho nessuno lo sa con certezza. Ciò che riesco a capire è che Luca è “discontrollato” e ho ben presente quale farmaco dare, ma per lui sarà una risposta parziale e in quanto tale non basterà. Forse è ancora presto per preoccuparmi, ma i miei colleghi più anziani sembrano lamentare la stessa sensazione. Pensavo che dopo  4 anni di Specializzazione in Psichiatria si potesse uscire dalla formazione universitaria dicendo di aver sperimentato (anche) gli strumenti per comprendere il mondo dell’Altro, al di là della propria predisposizione o intuizione, e avere almeno un’idea di come andare in profondità, oltre le categorie. Un’idea, chiedo solo un’idea.
Qui, dalla Base, l’importante è reclutare, capire in quale studio Luca può essere inserito. Obiettivo delle giornate: convincerlo a firmare il consenso, non appena si capisce se è bipolare, schizofrenico o disturbato nella personalità. No, non crediate che appaio un insicuro nella vita e nel lavoro, i miei colleghi mi fanno sentire bravo e a fare le valutazioni con SCID 5, PANSS, Y – BOCS, BULIT effettivamente me la cavo. In fondo, le valutazioni testistiche chi me le può contestare? Anche se non sai interpretare o comprendere, qualcosa tiri fuori, registrando dati di fatto. Non rischi di annaspare. C’è il delirio? Durante gli episodi affettivi o anche senza? Ci vuole fortuna a trovare un paziente che ti elenchi i criteri del DSM come vorresti tu, e comunque quando te li elenca c’è puzza di imbroglio e allora cerchi compromessi tra le crocette. Passo il tempo a ragionare su quanto sia soddisfatto un criterio, su quale farmaco prescrivere per alleviare un sintomo, non su come quel paziente vive il proprio tempo, l’Altro, la propria morale, le proprie colpe, i propri demoni, in quale atmosfera vive, quali sono i criteri per comprenderla e quindi arginare la sua sofferenza, al di là dei farmaci. Noi specializzandi, spesso, non sappiamo come fare, ma millantiamo autocontrollo e certezze. Noi siamo attori.  Combattiamo tra il destino e il libero arbitrio, come il Pulcinella di Bella e Perduta, visionario film di Pietro Marcello. Pulcinella, recuperato nella sua antica funzione di psicopompo, intermediario tra i vivi e morti, viene inviato sulla Terra a salvare il bufalo Sarchiapone da un sicuro macello e così inizia il suo lungo girovagare per una Patria bella e perduta, destinato a svolgere compiti di cui ignora le profondi ragioni. Lui, alla fine, toglierà la maschera.
A noi giovani inesperti i test possono dare una direzione, portano avanti le nostre ricerche, tolgono dall’imbarazzo di non avere altri strumenti, ma i pazienti vogliono essere ascoltati. E significare qualcosa. Non ho tempo per queste cose, dovrò tornare a casa a studiare per conto mio ciò di cui non potrò discutere con nessuno, se non in maniera estemporanea, cose che ormai sono appannaggio della filosofia e della storia, radici culturali destinate a morire, che l’Università dovrebbe invece insegnare in maniera sistematica, con serietà ed un preciso criterio. Sì, certo, continuo imperterrito a farmi domande più grandi di me, e tra una consegna e l’altra qualcuno mi risponde frettolosamente, qualche strutturato che mi vuole bene, che ha fatto il suo corso e che prova tenerezza e stima per la mia curiosità, come il dott. S., ma sento che non basta, che così neanche i test sono attendibili. Non pretendo che la Scuola di Specializzazione diventi un Scuola di Psicoterapia o di Filosofia, ad ognuno la libertà di scegliere il proprio percorso quando sarà il momento, ma in essa non sta rimanendo traccia alcuna delle sue radici umanistiche, se non in pillole. Mi appare come un’istituzione in cui il non sapere costituisce la giusta misura. Un non sapere che abito, col fiato sul collo dei pazienti che non s’arrendono. Sento che c’è un mondo che non riesco ad afferrare, e non parlo al plurale per non peccare di generalizzazione, ma vorrei tanto farlo per non sentirmi troppo solo.
Adesso Luca mi aspetta, bello di una bellezza che sembra non condividere nulla con me, ma che da me si aspetta qualcosa. E anche questa volta qualcosa dovrò inventarmi.
 
 
La trasformazione parte dalla libertà d’espressione, cosa spesso implicitamente negata alla nostra categoria. Questo spazio, dunque, si presenta come uno spazio libero e, per chi preferisce, anonimo. Uno spazio di dialogo tra molti, da condividere e far vivere con spirito critico.
 
Potete pubblicare, come utenti registrati della rivista, i vostri interventi rispondendo in calce oppure potete inviare contributi da pubblicare, spedendoli in formato WORD a questo indirizzo: laprimula2.0@gmail.com.
In questo modo potrò pubblicare le vostre parole per voi, rispettando rigorosamente l'anonimato se richiesto.

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Commenti

Ciao Primula Rossa,
un bel suono emettono le parole che hai usato per descrivere quello che stai attraversando nelle corsie della formazione. Io psicologo e psicoterapeuta che ho attraversato i corridoi della formazione condivido le domande che ti poni, e spero di trovare nel mio cammino altri come te; alcuni già li ho trovati, ma non sembrano mai abbastanza. Non ho qualcosa da aggiungere a quello che tu hai espresso nelle righe e tra le righe, ma vorrei condividere con te e con gli altri che vorranno contribuire al dialogo che chiedi con forza di avviare, le parole di Rainer Maria Rilke:
“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore e…
cerca di amare le domande, che sono simili a
stanze chiuse a chiave e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte che non possono esserti date
poiché non saresti capace di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora.
Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga,
di vivere fino al lontano
giorno in cui avrai la risposta.”

Caro Giuseppe, grazie per aver condiviso queste bellissime parole di Rilke che, come una tempesta, fanno risalire a galla sentimenti profondi che si rivelano preziosi.

Cara Primula Rossa, c'è uno smarrimento che concerne la tua generazione, quella che è costretta a giocare con le ombre della caverna platonica, ridotte a icone, mentre il mondo della vita è fuori, tagliato dalla luce radente, di cui il display della caverna coglie solo i pallidi raggi. Ma è una caverna iperconnessa, che non ti dice nulla di Luca, e ti dice tutto su tutti i Luca del mondo. Ma nulla, su quel volto di traverso, su quella magrezza, su quella bellezza. C'è uno smarrimento che ha colto, invece, dalla prima all'ultima, tutte le generazioni di psichiatri. E' lo smarrimento di chi deve rendere visibile l'invisibile, tradurre in parole il fremito della carne, mettere su un pentagramma l'urlo della follia. Dunque sappi che tu, oggi, sei attraversato da due smarrimenti. Quello tuo e dei tuoi compagni belli e perduti. E quello che aspetta chiunque di noi al passo della sfinge. Non so se questo può risollevarti. Potrebbe servirti trasformarlo in un metodo: si diceva che l'ontogenesi ricapitola la filogenesi. Ti tocca, dunque, con o senza guide, ripercorrere da Ippocrate a Kraepelin la strada dissestata, stratificata, friabile e a tratti senza orme della nostra disciplina. Sapevamo di non avere certezze quando abbiamo deciso di interrogare la follia. Il costrutto incorporato dal bastione accademico è solo un'icona globalizzata. Finalizzata alle carriere scientifiche. Incontrerai gli occhi di Luca. Ci sarai solo tu davanti a lui. Insieme spezzerete le catene di Pinel, in qualche modo, per uscire a riveder le stelle, cercando di non naufragare dolcemente in questo mare. Il mare non entra nella buca di sabbia di un item, ma nel mare si può galleggiare, si può navigare, ci si può anche lasciare andare. Ognuno di noi prima o poi trova il suo ritmo, con quello che viaggia sulla voce delle onde. Tu troverai il tuo. Già un occhio esperto lo intravede. Nel bastione rimarranno sterili ad algebrizzare con le icone. Ti ricorderai sempre di Luca. Per il resto non ci saranno rimpianti. Grazie per avermi, in questa piovosa e illune notte di guardia, fatto sentire meno solo. Grazie per questa tua voce dal silenzio.

Caro Gilberto Di Petta, grazie per aver raccolto il mio smarrimento, che nelle sue parole diventa una freccia che trova il suo bersaglio. Il momento in cui mi trovo è quello dell’arciere che tende la corda e cerca la mira, che si ferma ad aguzzare la vista, a cercare il baricentro del suo corpo, che ascolta il suo cuore battere e col respiro prova a rallentarlo, che percepisce i suoni e gli odori intorno a sé per accogliere quelli buoni ed allontanare quelli che disturbano la sua concentrazione.
Soffermarsi sulla reale condizione che gli specializzandi vivono non servirà certamente a migliorare il processo di trasformazione dell’accademia, ma almeno si può aspirare a nutrire sentimenti altrimenti soffocati che possono mettere in collegamento persone anche molto lontane e diverse tra loro. Perché se è vero che ci sono specializzandi che tentano di combattere la propria ignoranza col metodo che lei consiglia, ce ne sono tanti altri che si abbandonano ad uno stato di rassegnazione, pur avendo in sé semi buoni da coltivare. Per questo credo sia necessario metterci in collegamento e nutrire la motivazione ad attraversare quella “strada dissestata, stratificata, friabile e a tratti senza orme” con spirito critico e desiderio di sapere.

Grazie ancora per aver partecipato così intensamente a questo dialogo.

Bisogna dire che spesso i pazienti gravi fanno lo stesso, perché è la grave psicosi che fa interrompere la capacità del paziente di vivere il proprio tempo e cronicizza la relazione intorno al farmaco, mentre ogni emozione diventa sintomo.

Certamente Manlio, ma alla base della cronicizzazione intorno al farmaco ci sono molti elementi, tra cui sicuramente la gravità della malattia, ma spesso anche l’incapacità dello psichiatra di comprendere ed entrare in relazione con essa (se non attraverso i farmaci).


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