La frammentazione in quattro parti delle forze politiche, di cui nessuna costituisce davvero una riconoscibile polarità nel reale conflitto che attraversa il paese (l’enorme iniquità nella distribuzione di redditi e sacrifici), è l’ingarbugliata eredità delle elezioni politiche recenti. Tra le due soluzioni di governo possibili (PD-M5S o Lega-M5S) è stata preferita, sponsorizzata (in modo strumentale) da quasi tutti, la più destabilizzante. Quando, venuti i nodi al pettine, è scoppiato un inedito e altamente preoccupante conflitto istituzionale tra le forze della maggioranza costituenda di governo e il presidente della Repubblica, una parte dell’opinione pubblica di stampo progressista si è schierata subitaneamente dalla parte di quest’ultimo dietro lo slogan “io sto con mattarella”, diffuso in rete in modo capillare.
Ci si sarebbe aspettati che, dato il carattere costituzionale del conflitto, il sostegno fosse rivolto direttamente al presidente, in difesa, a torto o a ragione, della sua correttezza, e non alla degnissima persona ricoprente questo ruolo. Sennonché della correttezza e intelligenza della gestione degli affari istituzionali non importa, sembrerebbe, niente a nessuno.
Nel momento di una disastrosa sconfitta, Mattarella è visto e ingaggiato come ultimo campione a disposizione a cui aggrapparsi da un popolo di persone colte e democratiche, e alquanto garantite sul piano sociale, che, perduto il suo naturale alleato politico (i ceti sociali più svantaggiati ridotti a uno stato di precarietà intollerabile), brancola nel buio. Sennonché l’ingaggio che offre, limita la portata del progetto politico da realizzare al mantenimento delle proprie visuali e delle proprie sicurezze, quando la realtà indica, invece, brutalmente la necessità di cambiare registro di interpretazione.
Non sorprende che progetti di questo tipo affidati al campione di turno nascano, di fatto, morti. Capita che qualcuno dei leader investiti (sempre come ultima “ancora di salvezza”), restato particolarmente impigliato nella sua improbabile funzione di salvatore, nel momento fatale in cui la morte è riconosciuta, di ciò non voglia proprio sapere niente. Impropriamente immedesimato con il cadavere di un progetto, con cui è stato sedotto e abbandonato, si oppone alla sua sepoltura e infetta la Polis.
Il presidente della Repubblica ha l’esperienza per evitare simili ingaggi e la necessaria saggezza per lasciare alla divina provvidenza il compito delle resurrezioni. Anche perché, indipendentemente dalle sue intenzioni e dalla correttezza delle sue azioni, un errore politico importante l’ha già commesso. Opporsi alla nomina come ministro di un economista in odor di non essere gradito ai falchi dell’austerità europei, per proporre poi come premier di sua scelta (privo di qualsiasi mandato da parte degli elettori) un esperto di tagli di spesa (ex dirigente del FMI), non era il miglior modo per rassicurare i cittadini. Essi proprio perché paventano un futuro di “lacrime e sangue” hanno traslocato in massa nel campo del nazionalismo.
Agire in modo da rafforzare sul piano psicologico, che è determinante, ciò che si combatte, l’antieuropeismo, non è un bel risultato. E non lo è stata neppure l’azione nefasta di regalare l’elettorato delle M5S alla destra.
Le belle parole in difesa dell’Europa non dicono niente a chi, orfano del suo passato, si sente estraneo al presente e minacciato dal futuro. Non si può difendere l’Europa dimenticando la democrazia, concedere al razzismo il ministero dell’interno per ottenere l’obbedienza ai mercati sul piano dell’economia.
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