L’incidenza[1] dell’insegnamento di Lacan nella pratica clinica del bambino psicotico è incontestabile, nonostante che Lacan abbia trattato direttamente di questo argomento solo in rari interventi. Questo insegnamento ha dato luogo nel corso degli ultimi decenni a diverse applicazioni, legate da un lato all’elaborazione della teoria analitica da parte di Lacan e dall’altro alla lettura che ne è stata fatta all’interno della sua Scuola.
Già negli anni trenta il giovane Lacan aveva risvegliato nella psichiatria il problema del soggetto attraverso lo studio della psicosi paranoica, come testimoniano la sua tesi in medicina e altri testi dell’epoca[2]. Era infine approdato alla psicoanalisi attraverso lo stadio dello specchio, in cui si manifesta nel bambino “la connessione di un certo numero di relazioni immaginarie fondamentali in un comportamento esemplare di una certa fase dello sviluppo”[3].
Bisognerà aspettare il momento inaugurale del suo insegnamento, iniziato nel 1953 con il suo “Discorso di Roma”[4], per ritrovare il quadro che permetterà una lettura sistematica e logica della scoperta freudiana ed anche della dottrina sulla psicosi. All’inconscio strutturato come un’imago, che riassume la teoria sulla scoperta freudiana nel primo Lacan, subentrerà l’inconscio strutturato come un linguaggio.
Questo assioma acquisterà nel corso del suo insegnamento accenti diversi anche per quanto riguarda la psicosi. In un primo tempo Lacan cercherà di provare che la psicosi non è la conseguenza di una dissociazione delle funzioni o di un deficit di ordine immaginario, ordine a cui si riduce ogni constatazione nel campo della realtà. E cioè non si diventa psicotici a causa dell’incidenza del versante immaginario del significante (un padre debole e despota, alcoolizzato o evanescente, una madre fredda o possessiva, simbiotica o incurante, o addirittura un trauma immaginario anche se ben concreto), ma si diventa psicotici a causa della mancata iscrizione simbolica del significante. Certo, gli elementi di ordine immaginario possono essere l’occasione dello scatenamento della psicosi, ma non ne sono la causa. La causa non è dovuta a una assenza di ordine immaginario, ma a una mancanza di ordine simbolico.
E’ questa la tesi che Lacan sviluppa nel seminario del 1955-56 sulle psicosi[5] e che codifica nel testo “Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento delle psicosi”[6]. Per Lacan, se l’inconscio non è un’inerzia immaginaria ma una struttura simbolica, si riordina così il destino del soggetto dell’inconscio: la ‘scelta’ della nevrosi, della perversione e della psicosi si effettua sulla base di tre modalità della negazione freudiana (Verneinung), da cui Lacan estrae la funzione di matrice simbolica dell’inconscio.
Nella rimozione (Verdrängung), tramite cui il soggetto ‘sceglie’ la nevrosi, si nega l’identità tra il soggetto e il significante: il significante non è il soggetto, ma è solo ciò che lo rappresenta per un altro significante. Nel rinnegamento (Verleugnung), tramite cui il soggetto ‘sceglie’ la perversione, si nega la differenza che intercorre tra l’immaginarizzazione dell’oggetto come facente parte della realtà (il pene) e le coordinate simboliche della significazione del soggetto (il fallo). Infine nella forclusione (la forclusion che traduce il termine freudiano di Verwerfung), tramite cui il soggetto ‘sceglie’ la psicosi, si realizza la negazione sul significante stesso: tramite questa negazione si rigetta il significante in quanto organo della rappresentabilità del soggetto.
Già negli anni trenta il giovane Lacan aveva risvegliato nella psichiatria il problema del soggetto attraverso lo studio della psicosi paranoica, come testimoniano la sua tesi in medicina e altri testi dell’epoca[2]. Era infine approdato alla psicoanalisi attraverso lo stadio dello specchio, in cui si manifesta nel bambino “la connessione di un certo numero di relazioni immaginarie fondamentali in un comportamento esemplare di una certa fase dello sviluppo”[3].
Bisognerà aspettare il momento inaugurale del suo insegnamento, iniziato nel 1953 con il suo “Discorso di Roma”[4], per ritrovare il quadro che permetterà una lettura sistematica e logica della scoperta freudiana ed anche della dottrina sulla psicosi. All’inconscio strutturato come un’imago, che riassume la teoria sulla scoperta freudiana nel primo Lacan, subentrerà l’inconscio strutturato come un linguaggio.
Questo assioma acquisterà nel corso del suo insegnamento accenti diversi anche per quanto riguarda la psicosi. In un primo tempo Lacan cercherà di provare che la psicosi non è la conseguenza di una dissociazione delle funzioni o di un deficit di ordine immaginario, ordine a cui si riduce ogni constatazione nel campo della realtà. E cioè non si diventa psicotici a causa dell’incidenza del versante immaginario del significante (un padre debole e despota, alcoolizzato o evanescente, una madre fredda o possessiva, simbiotica o incurante, o addirittura un trauma immaginario anche se ben concreto), ma si diventa psicotici a causa della mancata iscrizione simbolica del significante. Certo, gli elementi di ordine immaginario possono essere l’occasione dello scatenamento della psicosi, ma non ne sono la causa. La causa non è dovuta a una assenza di ordine immaginario, ma a una mancanza di ordine simbolico.
E’ questa la tesi che Lacan sviluppa nel seminario del 1955-56 sulle psicosi[5] e che codifica nel testo “Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento delle psicosi”[6]. Per Lacan, se l’inconscio non è un’inerzia immaginaria ma una struttura simbolica, si riordina così il destino del soggetto dell’inconscio: la ‘scelta’ della nevrosi, della perversione e della psicosi si effettua sulla base di tre modalità della negazione freudiana (Verneinung), da cui Lacan estrae la funzione di matrice simbolica dell’inconscio.
Nella rimozione (Verdrängung), tramite cui il soggetto ‘sceglie’ la nevrosi, si nega l’identità tra il soggetto e il significante: il significante non è il soggetto, ma è solo ciò che lo rappresenta per un altro significante. Nel rinnegamento (Verleugnung), tramite cui il soggetto ‘sceglie’ la perversione, si nega la differenza che intercorre tra l’immaginarizzazione dell’oggetto come facente parte della realtà (il pene) e le coordinate simboliche della significazione del soggetto (il fallo). Infine nella forclusione (la forclusion che traduce il termine freudiano di Verwerfung), tramite cui il soggetto ‘sceglie’ la psicosi, si realizza la negazione sul significante stesso: tramite questa negazione si rigetta il significante in quanto organo della rappresentabilità del soggetto.
"Maternità granitica" (Giulio Paci)
Una prima lettura dell’inconscio strutturato come un linguaggio permette dunque a Lacan di ricentrare il problema della rappresentabilità o no del soggetto tramite il significante. Una seconda lettura metterà l’accento sul rapporto tra questo soggetto e il godimento interdetto che è la versione lacaniana della perdita dell’oggetto.[7] Questo secondo momento della teorizzazione di Lacan avrà come fulcro il seminario del 1964 sui quattro concetti fondamentali della psicoanalisi[8] ed è all’origine delle note aggiunte da Lacan al testo degli Scritti sulla psicosi.
Due dei rari interventi di Lacan sulla psicosi infantile sono di questo secondo periodo[9]. Lacan sposta l’accento da monte, e cioè dalla preclusione del significante, e quindi dalla non rappresentabilità del soggetto nella catena significante, a valle, e cioè agli effetti di questa non rappresentabilità sul soggetto nei suoi rapporti con il godimento interdetto. Questo spostamento di accento è dovuto alla necessità logica di rendere conto di ciò che la clinica mostra: non tutto è significante, c’è qualcosa che resiste realmente al simbolico, ed è ciò che Lacan chiama l’oggetto a, l’oggetto del godimento interdetto con cui il soggetto del significante si trova in rapporto nel fantasma.
La “Nota sul bambino”[10] è per questo esemplare: il bambino può occupare la posizione del sintomo o la posizione di oggetto. Il bambino occupa la posizione del sintomo quando rappresenta la verità della catena significante in cui è iscritto. Ma se il bambino è in correlazione come sintomo di una coppia (di significanti), questo vuol dire che il significante può rappresentarlo e che quindi non ha ‘scelto’ la psicosi. Quando invece il bambino è in correlazione come oggetto del fantasma (materno), e satura questo fantasma secondo le modalità della struttura della soggettività della madre, diventa allora ‘oggetto’ del fantasma e non ha altra funzione che rivelare la verità di quest’oggetto. Il bambino non è allora rappresentato simbolicamente nella catena del desiderio, ma realizza invece nel fantasma dell’altro (materno) la presenza dell’oggetto del godimento interdetto. Il bambino quindi, quando l’altro (materno) non è sbarrato dal simbolico (la metafora paterna), invece di esistere come significante del desiderio, è l’oggetto del godimento: in questo caso il bambino ‘sceglie’ la psicosi.
L’insegnamento di Lacan di questo periodo permette di mettere in ordine le diverse ‘risposte’ che il bambino dà in quanto soggetto, circa la sua posizione nei confronti del desiderio dell’Altro (sia che la metafora paterna abbia funzionato oppure no). Possiamo così distinguere la posizione del bambino come sintomo, quando risponde con la nevrosi, quella del bambino come feticcio (legata alla significazione fallica) quando risponde con la perversione e quella del bambino come oggetto (non legata alla significazione fallica), quando risponde con la psicosi.
E’ interessante notare che per Lacan l’analista ha più possibilità di intervento nel caso del bambino-sintomo. In effetti il sintomo, essendo della stessa natura del significante, si può accoppiare con altri significanti (per esempio con il significante del transfert) e può quindi farsi domanda rivolta all’Altro. Più difficile invece è la manovra quando il bambino occupa il posto dell’oggetto, per il fatto che l’oggetto, essendo un elemento non significante, oppone una resistenza particolare a lasciarsi addomesticare dal simbolico.
[1] Testo tratto da “Nota sul bambino e la psicosi in Lacan”, in La psicoanalisi, n°1, Astrolabio, Roma, 1987, pp. 103-110.
[2] J. Lacan, Della psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità, Einaudi, Torino, 1980.
[3] J. Lacan, Scritti, 2 volumi, Einaudi, Torino, 1974, p. 179.
[4] Vedi J. Lacan, “Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi” (in Scritti, pp. 230-316) e “Discorso di Roma” (Lacan e altri, Il mito individuale del nevrotico, Astrolabio, Roma, 1986, pp. 30-58).
[5] J. Lacan, Il seminario. Libro III. Le psicosi (1955-56), Einaudi, Torino, 2010.
[6] Scritti, cit., p. 527-579
[7] S. Freud, “Inibizione, sintomo e angoscia”, in Freud. Opere, 10, pp. 278-317.
[8] J. Lacan, Il seminario. Libro IX. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), Einaudi, Torino, 2003.
[9] J. Lacan, “Allocuzione sulle psicosi infantili” (1967), in Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, pp. 357-366; e “Nota sul bambino” (1969), sempre in Altri scritti, cit., pp. 367-368.
[10] Cit.